ALDA MERINI – CONFESSIONI DI UN POETA. RACCONTI

 

ALDA MERINI – CONFESSIONI DI UN POETA. RACCONTI

ACQUAVIVA – DICEMBRE 2006

 

A cura di Giuseppe D’Ambrosio Angelillo

 

*Il libro, acquistato usato, contiene in prima pagina il timbro “IL SINDACO Giuliano Pisapia”

 

CONFESSIONI DI UN POETA p. 1

Io sono molto ricca: non ho mai accumulato soldi né roba. Sono una donna felice per quanto me lo consenta la mia salute.

Vorrei tanto insegnare questo agli uomini: dimenticare se stessi vuol dire amarsi. Vorrei tanto insegnare agli uomini che l’egoismo è una terra sterile[…] (p. 5)

Così io sono un’esegeta, un mistico, un disordinato cronico. Ma sono una donna libera, nel senso che non aspetto nessun ospite. L’unico ospite a cui aprirei volentieri la porta è la Morte. La Morte, questa compagna di viaggio che ti porterà un giorno in un paese sconosciuto dove chissà quali cose straordinarie possono pure accadere. (p. 7)

La Morte è come l’Amore: colpisce in modo inaspettato. (p. 8)

Il Poeta certo ama e muore sconfitto come tanti altri, ma come tanti altri almeno non crede di aver capito qualcosa mentre invece non ha capito niente. Il Poeta almeno sa che è e rimane un ignorante. Il Poeta non impara mai niente durante tutta la sua vita, ma almeno quando ama non ha paura di guardare in faccia nemmeno la Morte. (p. 9)

 

UN AMORE GIALLO p. 12

Quando mi addormento afflitta in una notte di solitudine sono felice che torni mattina. E mi dice che sono viva. Magari per un giorno solo. Ma quel giorno potrebbe bastare. (p. 13)

 

UN UOMO SENZA CUORE p. 16

C’è gente che muore d’amore. Di abbandono, di silenzio, di solitudine. (p. 17)

Così credo che alla base della cattiveria umana c’è solo qualche cretino che non sa per niente che tutti noi non vivremo mica in eterno. (p. 18)

 

IL GAY

Ho considerato la situazione dei gay, compresa quella dell’uomo che amo e che non capisco. Ce ne sono alcuni simpatici altri patetici fino all’inverosimile. Non si capisce, ma aldilà degli interessi e di questi ‘‘rapporti” penso che vada di moda un certo dandismo. Il dandy culturale trovatore bell’aspetto vestito ricercato cicisbeo del 2000. (p. 19)

Del gay si può pensare tutto meno che sia sincero. Il lato oscuro del suo carattere lo fa parente di quel male oscuro che si vantano di avere, infatti sono depressi. Non sono mai ubriachi perché si astengono dalle virtù e quindi per loro anche l’ubriachezza è un vizio.

Però scopano. Ma che cosa? E forse si desiderano.

Ho provato a deviare la mia sessualità per un dandy e mi è venuto un orrendo mal di testa. Ho provato a amare un prete e mi ha mandato al diavolo. (pp. 19-20)

Una volta ho fatto spogliare un gay e l’ha fatto con tutta naturalezza. Non ci ho trovato niente di interessante: anatomicamente era un uomo normale.

lo però sono rimasta ferma sul dubbio dell’anima. I sospiri d’amore, ma da che parte escono i sospiri d’amore di queste persone?

Non è che si tratta di flatulenza o di amarissima irripetibile scorreggia? Persino Dante diceva: “e quindi fece del suo cui trombetta”. (p. 21)

A questo punto non ho risolto il quesito tanto che avvilita da tanta contusione di gay, ambiguità, pornografia, spogliarelli e via dicendo quando mi fermano per la strada e mi dicono:

“Ma lei è Saffo Divina?”

Io rispondo:

“Si, ma anch’io faccio aria” (p. 22)

 

L’AMORE DI QUASIMODO p. 23

Il mio abbandono del maestro non fu per motivi di scelta ma perché nella mia mente allora giovane e sconsiderata non capivo che Quasimodo amava la mia poesia. (p. 24)

Me ne andavo perché volevo farmi una famiglia, avere dei figli. Proprio quelli che mi furono tolti.[…]

Ero giovane e mi davano fastidio i rumori roboanti della notorietà. Anche adesso sono così. (p. 25)

Non volevo ne fama né privilegi ma semplicemente la solarità della vita. […]

Quasimodo, e d’altronde anche Pascal, mi rimproveravano sempre la mia umiltà e il mio non voler apparire. Comunque a educarmi veramente alla letteratura forse fu Scheiwiller ma anche mio padre. (p. 26)

Ho sempre voluto morire da sola, in un angolo sconosciuto, dimenticata da tutti. Il mio travaglio interiore era la ricerca della parola.

Quasimodo mi aveva capito e non mi aveva trattenuta. (p. 27)

Cosi fece Quasimodo e cosi io, che me ne andai da lui ricca dei suoi insegnamenti, ricca di tutta la vita con lui, ricca dei mille orpelli che mi aveva regalato per finire nella povertà assoluta.

Me ne andai alla ricerca del dio migliore, il dio mio migliore di cui non aver mai paura: il dio Dolore.

avidamente allungo la mia mano

dammi il dolore cibo quotidiano”.

Il dolore è come il demonio, ma io non ho paura. Sopra il dolore il Poeta vince con la sua penna. (p. 29)

 

SCRIVERE È PERICOLOSO p. 35

È questo che non vuole fare l’uomo: rendere ciò che ha ricevuto, ringraziare e tornare dal suo benefattore. Ma i figli tornano sempre. Non si capisce se tornano per ringraziare o per ammazzare chi li ha generati. (p. 40)

 

L’ANGOSCIA p. 41

Tutti domandano cos’è l’angoscia. L’angoscia è una serie di forze geneticamente compresse da una propria personale struttura che a un certo punto s’inceppano nel loro cammino.

Il responsabile della follia è quasi sempre chi ti sta vicino. […]

L’angoscia è una forza dirompente spostata dall’istinto di evasione verso qualcosa di evanescente ma concreto. Uno di questi sintomi è il cambiamento di casa, l’abbandono di un amore, il crimine. Sperando che uccidendo chi ti sta di fronte tu elimini l’angoscia. (pp. 41-42)

In effetti la vecchiaia è un lungo ripensamento di quello che poteva essere e non è stato.

Ma cosa poteva essere? Non lo sapremo mai. Io vorrei domandare a tutta la gente attorno e ai giovani cosa vogliono dalla vita. Non lo sanno. (p. 43)

Il parroco ricco non potrà non condannare il parrocchiano povero peccatore, peccatore perché non ha pecunia. Mentre il delinquente si trova i migliori avvocati e si ritrova libero.

La Chiesa ama il peccatore danaroso, suscettibile del perdono di Dio. Come Barabba o Pilato.

Gesù Cristo non è mai risorto. È sempre appeso al legno. E non s’è mai capito perché un uomo che poteva cavarsela si è invece fatto uccidere per gente così stupida. (p. 44)

 

LA NOSTRA COMUNE ORIGINE p. 60

Io sono tremendamente sola al di là della marea di ammiratori che dicono a parole di volermi bene. (p. 64)

 

LA TOLLERANZA p. 95

Perché anche la bellezza è una disgrazia. La bellezza attira le mosche. Attira anche gli esseri più rivoltanti perché è come il miele. E una cosa del genere è certamente una sventura. (p. 96)