VLADIMIR MAJAKOVSKIJ – LA NUVOLA IN PANTALONI. POEMA


VLADIMIR MAJAKOVSKIJ – LA NUVOLA IN PANTALONI. POEMA
ACQUAVIVA – II ed 2001

TRADUZIONE: Marija Achmatova e Giuseppe D’Ambrosio Angelillo
EDIZIONE ANNOTATA

PREMESSA
Di Giuseppe D’Ambrosio Angelillo p. 5

Con la pezza
piena di sangue
del mio cuore,
combattente e fiero,
provocherò i pensieri
che vi rimbalzano
nei cervelli rammolliti,
come grassi galoppini
sopra divani puzzolenti.
Siatene certi: vi disprezzerò in abbondanza. (p. 9)

Se vuole,
andrò pazzi per il piatto di carne,
e, cambiando umore come il cielo,
sarò incensurabilmente delicato,
se vuole,
non un uomo,
ma una nuvola in pantaloni!
Non credo all’esistenza
di Nizza in fiore!
Di nuovo andrò glorificando
uomini lasciati a terra,
come malati all’ospedale,
e donne lacere,
come proverbi.

Pensate che sia nel delirio
di una febbre da malaria?
È accaduto.
È accaduto ad Odessa. (pp. 10-11)

Ora non mi riconoscerebbero mai:
un intrico vivo
che si lamenta (p. 11)

Così,
gigante,
mi affaccio alla finestra,
si squaglia il vetro sulla mia fronte.
Sarà amore? O cosa?
E come?
Piccolo? Grande? […]
Ancora, ancora
la mia faccia
contro la faccia sfregiata
della pioggia,
aspetto,
schizzato dai rovesci
della risacca metropolitana. (p. 12)
Maledetta!
Non ti basta dunque nemmeno questo! (p. 13)
La notte s’impantana sempre più
nella stanza
e dal fango
non riescono a sollevarsi
i miei occhi pesanti.
D’improvviso le porte balbettano
come se la stamberga
battesse i denti per il freddo.
Sei entrata tu,
perentoria come un “Eccomi!”.
Poi, torturando
i tuoi guanti di camoscio,
hai detto:
“Sa?
Mi sposo”. (p. 14)
Ma io vedevo
solamente una cosa:
che lei era
come la Gioconda da rubare.
E l’hanno rubata. (p. 15)
E sento
che l’Io
mi va stretto.
C’è dentro qualcuno
che caparbio
vuole ancora venir fuori. (p. 16)
Ultimo grido,
almeno tu
recita piangendo nei secoli
che io brucio!

Sia per me la gloria!
Non certo mi metto alla pari
con i grandi.
Su tutt oquello che loro hanno fatto
io sballo il mio Nihil!
Non voglio mai
leggere niente.
I libri?
Ma smettiamola una buona volta!
Un tempo credevo
che i libri venissero fuori così:
viene il poeta,
socchiude appena le labbra
e subito candido e pieno d’ispirazione
canta:
“Suvvia! Mica faccio i complimenti!”
E invece si scopre
che, prima di creare,
i poeti
vagabondano a lungo
e s’induriscono
mentre nella fanghiglia del cuore
sguazza silenzioso
lo stupido pesce dell’immaginazione. (pp. 19-20)

Io,
disprezzato dalla mia generazione,
come un noioso racconto osceno,
vedo arrivare
dalle montagne del tempo
l’uomo che per tutti è invisibile. (p. 25)

Dove gli occhi quotidiani
si fermano mozzati,
alla testa di folle incontentabili
e con la corona di spine
della rivoluzione
viene avanti il 1917.
Io sono il suo profeta
e tra voi sono
dovunque è il dolore.
In ogni lacrima che cade
io crocifiggo me stesso.
Ormai non si può perdonare oltre.
Ho dato alle fiamme le anime
dove si coltivava la gentilezza.
E questo è più arduo che espugnare
mille e mille Bastiglie.
Quando, annunciando con la rivolta
la sua venuta,
andrete incontro al liberatore,
l’anima vi straccerò di dosso,
e la calpesterò
per farla grande.
Ve la ricadrò solo insanguinata.
Come una bandiera. (p. 26)

Da voi,
che siete ingraciditi dall’amore,
da voi,
che avete riversato lacrime
nei secoli,
mi allontanerò
incastrando a monocolo
il sole
nel mio occhio divaricato.
E, incredibilmente travestito,
me ne andrò per il mondo
a deliziare e appassionarmi;
e, avanti a me,
condurrò alla catena Napoleone,
come un cagnolino.
Tutta la terra,
coricandosi come una donna,
dimenerà le forme,
vogliosa di darsi (p. 29)

Non accadrà più nulla.
La notte verrà,
a sbranare
a divorare. […]
Io mi acciambello
in fondo alle bettole,
inondo di vino
l’anima e la tovaglia,
e vedo
in un angolo due occhi rotondi.
Con gli occhi se ne viene nel mio cuore
la Madre di Dio. (p. 33)

Io,
che celebro la macchina
e l’Inghilterra,
forse, nel più comune Vangelo,
sono semplicemente
il tredicesimo apostolo.
E quando oscena
la mia vove rimbomba,
ora per ora
per giorni interi,
forse Gesù Cristo annusa
i bei fiorellini della mia anima.

Maria! Maria! Maria!
Fammi entrare, Maria!
Non posso restare per strada! (p. 35)

La pioggia
schizzava di singhiozzi
il marciapiede,
ladruncolo stretto tra le pozzanghere
che, bagnato fradicio,
lecca i cadaveri delle strade
trafitti di pietre.
E sulle ciglia bianchicce,
si!,
sulle ciglia ghiacciate
gocciolano lacrime dagli occhi,
si!,
dagli occhi abbassati dalle grondaie.
Il grugno della pioggia
si succhiò tutti i passanti,
ma grassi figuri splendevano,
in fila nelle carrozze:
crepavano alcuni,
così sazi da schiattare,
e attraverso le crepe
il grasso fluiva,
colava dalle carrozze
come un ruscelletto immondo,
fatto anche di
pane già mangiato,
di cotolette putride
mezzo masticate. (p. 37)

Maria,
non lo vuoi un uomo come me?
Fammi entrare, Maria![…]
Apri!
Mi fanno male!
Vedi? Conficcati nei miei occhi
gli spilli
dei tuoi bellissimi capelli!
M’ha aperto.
Piccolina!
Non aver paura
se sul mio collo taurino
stanno come una montagna sudata
donne col ventre bagnato:
è che mi porto dietro,
con la mia vita,
milioni di infiniti amori puri
e milioni di milioni
di sordidi amoriciattoli.
Non aver paura
se nella bufera dei tradimenti
mi abbraccerò di nuovo
a migliaia di graziosi visetti. (pp. 38-39)

Concediti, Maria!
Maria!
Ho paura di scordarmi il tuo nome,
come il poeta ha paura di scordarsi
qualche
parola venuta
dalle pene della notte,
per grandezza pari a Dio. […]
Maria,
non vuoi?
Non vuoi!
E allora,
deluso e triste,
prenderò ancora il mio cuore
bagnato di lacrime
e lo porterò
come il cane
si porta
nella cuccia
la zampa schiacciata da un treno. (pp. 40-41)

Rallegro la strada
col sangue del cuore,
e sulla polvere della giubba
mi s’appiccica addosso
e m’infiora. […]
E quando i miei anni
avranno ballato fino in fondo,
d’un fiotto di sangue
si coprirà la traccia
che porta a casa dal padre mio.
Uscirò fuori
sporco delle notti
passate nei fossati,
mi siederò al suo fianco,
mi chinerò
e gli dirò in un orecchio:
“Signor Dio, ascolti! (p. 41)

Onnipotente,
lei ha inventato un paio di braccia,
e ha dato
a ciascuno una testa,
perché non ha fatto in modo
che senza tormenti di potesse
baciare, baciare, baciare?!
Pensavo che lei fosse un gran Dio
capace di tutto
e invece lei è soltanto
un incompetente
e piccolissimo deuccio. (p. 43)
Lasciatemi!
Non mi fermerete.
Che io menta
o dica la verità,
non potrei essere più calmo.
Guardate:
di nuovo hanno decapitato le stelle
e sanguina il firmamento,
come un macello!
Ehi, lei!
Cielo!
Si tolga il cappello, prego!
Io me ne vado via! (p. 44)

NOTE p. 47