VINICIO CAPOSSELA – I CERINI DI SANTO NICOLA. RACCONTINO INFIAMMABILE PER VOCI, SUONI E CANZONI

VINICIO CAPOSSELA – I CERINI DI SANTO NICOLA. RACCONTINO INFIAMMABILE PER VOCI, SUONI E CANZONI
INEDITION FRITTFLACC ETCETERA – FRTTFLC002 – DICEMBRE 2017

È la notte di Natale e Secco, che vive ormai da tempo in strada, si aggira nei dintorni della stazione Centrale in cerca di cartoni e legna da bruciare per scaldarsi. Durante la cerca, in terra trova per caso una strana scatola di cerini “che recava stampata un’icona preziosa ed una scritta antica: CERINI DI SANTO NICOLA”. La raccolse, se la mise in tasca e tornò al suo bidone, con il resto della roba che aveva trovato. Ravvivò il fuoco che si alzò come un falò oltre la latta, illuminandogli il viso”. (p. 7)
Poi, “attratto dal fuoco venne verso di lui un altro uomo. Era grosso di corporatura, e pareva un grande gatto striato”. (p. 7)
Il nuovo arrivato gli propone di bere insieme il poco vino annacquato che trae seco. Secco, ovviamente, accetta. Mentre una coppia di barboni litiga per poi rappacificarsi poco distante, l’uomo del vino racconta il motivo che lo ha spinto a divenire barbone e loquace: l’abbandono della moglie per un uomo più simpatico e ciarliero… Giungono intanto anche lo Slavo con il carrello carico (“molti bagagli… molto onore!”) e una latta di vino da dieci litri, nonché la prostituta Fatima, lo Zoppo e tanti altri…
Mentre principia il brano “Santa Claus è arrivato in città”, Secco tocca la scatola dei misteriosi cerini, dotati evidentemente di un qualche potere magico che lo scuote nel profondo spingendolo a farsi loquace…
È la volta del brano “Le case”…
Accende quindi uno dei cerini, sulle note di “In clandestinità”, invitando tutti i presenti a raccontare le proprie storie, quello del miglior ricordo con l’ausilio di un cerino ciascuno…
“[…]e un calore gli venne da dentro, che gli sciolse la mente e gli attizzò la fantasia[…]. A ognuno il suo, bisogna che la proviate questa fiamma… e inizierò io per primo, che per primo l’ho sentita… E vi dirò del mio migliore ricordo, della notte in cui le nostre anime veloci incontrarono Louis Prima, il cantante più natalizio che mai ha inciso una canzone di Natale!” (p. 15)
Nevicava copiosamente, in Riviera, ricorda Secco. Con gli amici si reca in un locale dove si tiene un concerto dei Witnesses e del carismatico Louis Prima. Scettici i compagni sulle prime, travolti dalla performance dell’artista poi. Ricordo memorabile per il Secco, sulle note di “Voglio essere come te”…
Il racconto successivo è quello di uno sconosciuto individuo: “Era questi uno che indossava sempre il cappello da marinaio, di quelli blu tutti lisi, e il giaccone da nostromo, ma che non partiva mai per nessuna destinazione”. (p. 22). L’uomo racconta di come passasse con altrettanto miserabili compagni le giornate presso la BETTOLA DEL BETTOLIERE. “eravamo di quei marinai che non erano mica andati da nessuna parte”. (p. 23) Lì, una sera della vigilia, dopo uno scampanellio e un canto ammaliante e incomprensibile, appare un cormorano reale che tappa la bottiglia dove si trova il bancone del locale trasportandoli lontano, inabissandosi nel mare dove li consegna a un delfino argentato e luccicante. Questo li conduce alla corte di Nettuno, dove i pesci e i mostri marini ivi riuniti sono intenti a festeggiare il Natale di Atlantide e “l’arrivo del grande Capodoglio, il Baleno di Natale”. (p. 25)
“Noialtri, da dentro la nostra bottiglia, osservavamo abbagliati il montare del festeggiamento, così coreografico… così fantastico”. (p. 27)
Il Grande Calamaro, dispettoso, afferra la bottiglia e, agitandola come quella di uno spumante da stappare, li fa schizzare oltre il mare, facendoli tornare nella bettola…
“e volammo ancora in alto, per l’aria e fino alla terra conosciuta, dove cadendo attraverso lo scappamento del camino, ci ritrovammo seduti tutti e sei ai nostri soliti posti nella ben conosciuta Bettola del Bettoliere… (p. 29)
“Canzone a manovella”…
Il racconto successivo è opera dell’immaginazione dello Slavo… In cerca di una luce della Cupa per rischiarare le strade per le creature selvatiche e mostruose della notte, lui e gli amici si recano allo scasso di Ilijevic, di tutto fornito, su indicazione di conoscenti. L’uomo, ossessionato dall’accumulo, ha quello che cercano: “Cerchiamo un albero di Natale […] adatto a emanare quella luce della Cupa… che tanto conforta le creature della notte selvatica”. (p. 32)
Nel tornare verso l’uscita, il ricettatore finisce risucchiato da una lavatrice che lo uccide centrifugandolo… “Recuperammo in tutta fretta il puntale dell’albero della Cupa e tra le pozze di neve sporca raggiungemmo il furgone. Misi in moto in fretta e la nebbia ci si rinchiuse dietro”. (p. 37)
Ancora le note di “Canzone a manovella”…
Un misterioso figuro afferma quindi di aver avuto a che fare di un pumminale e di voler raccontare quanto d’incredibile capitatogli…
“Ho sentito parlare di pumminali! Beh, io lo so bene, di che cosa si tratta… che una volta ne incontrai uno…” Così disse e parlò…
*
“Qualche santo ci dev’essere al tempo di Natale, e fu quello che mi salvò dal Pumminale.
Che è Natale, la strettoia da dove l’anno deve passare… e per quella stretta tutti i fantasmi si danno l’appuntamento… masciare…. Pumminali… e malabestie… quando le ombre si allungano la notte…. Che di notte si è più soli che di giorno, e cala l’oscurità dell’inverno, che d’inverno si è più soli che d’estate… e a Natale, che alla fine si è più soli di tutti… (p. 38)
Tornato nel paese, lo trova deserto…. Aperta la porta di casa… Forse opera di una masciara… Eccolo invece in presenza di un mostruoso pumminale che, a sorpresa, anziché ucciderlo gli passa di fianco fuggendo via di nuovo in strada a intonare al chiaro di luna “La notte è bella”…
La porta l’avevo chiusa, ma la trovai aperta… che le masciare bene le sanno aprire, già che possono entrare dalle serrature… perciò entrai e sentii rumore, e poi un verso, come un grugnito… però era un ringhio… come quattro cani messi insieme… lo vidi appena… (p. 40)
Ma… mi saltò di fianco… se ne uscì come una scimmia e sentii soltanto l’aria fredda che spostò… perché mi passò vicino, e si buttò di fuori… nella notte… nei vicoli. […]
Era il Pumminale… il mannaio… il cane mannaro… quelle creature disgraziate che nascono di mezzanotte della notte di Natale… (p. 41)

Sempre più gli individui ora radunati attorno al bidone… Ma ecco che di lontano avanza, tra la neve, un pianoforte a rullo condotto da un ambulante e dalla figlioletta, diffondendo in aria una piacevole melodia… La storia è quella dei pianoforti usati ammassati a Lubella. Lì, uno di loro, la notte di Natale, un Dutsen, decide di avanzare fino a pianofortessa Blutner. Un’orgia di suoni provenienti dagli altri pianoforti, consente al Dutsen di rincuorare la Blutner e danzarci assieme…
Terminata la musica de “I pianoforti di Lubecca”, il gruppo resta silente, fino al rintocco delle campane di mezzanotte. Tutto intorno notano il transito dei fedeli diretti alle rispettive chiese, finendo per parlare del Paradiso e intonare “Non c’è disaccordo nel cielo”…
“Così cantarono insieme; come in un coro di voci mute… un inno cerimoniale…” (p. 51)

*

Terminato il canto, passata la mezzanotte, campanelle, campanacci e guaiti annunciano l’arrivo di Sante Natale in cerca del pacchetto di cerini perduto…
Il fuoco andava spegnendosi ed anche i cerini erano terminati. E un senso d’inquietudine stava come impadronendosi del gruppo. Ma, passata la mezzanotte, dal fondo del piazzale… si udì avvicinarsi un grande tramestio di campanelle e campanacci, di zampe e di guaiti… (p. 52)
Arrivò, annunciato da uno stuolo di cani. […]
[…]i cani che lo tiravano su una 127 rossa con due tavole inchiodate al posto delle ruote…
Era lui… Sante Nicola! Solo e malaccompagnato! Così venne, e così si pronunciò… (p. 52) Musica di “Santo Nicola è arrivato in città”…
Santo Natale racconta la propria storia di emigrato, e di come abbia abbandonato la cura dei regali a Babbo Natale, limitandosi a distribuire i cerini che donano il dono della parola a chi li accende, scaldando il cuore e consentendo di aprirsi agli altri…
Eh, ho conosciuto la sofferenza perché nel cuore degli altri ho conosciuto il mio, ma sempre mi sono sentito solo gra tutti gli altri, solo e malaccompagnato… Così ho cominciato con le strenne e i regali, perché nessuno me li faceva a me… Ma poi non ne ho voluto più… la gente si è fatta avida… e chi li abbada più! I desideri!… (p. 54)
Così l’affare dei desideri l’ho lasciato a Babbo Natale, che a lui gli riesce meglio. Mi sembra più capace, più organizzato! E poi io dei desideri non mi fido! E ve lo dico! Bisogna fare attenzione a quello che si desidera, che poi magari è capace che si avvera! Io per me mi sono tenuto soltanto questi cerini, così illuminanti… e momentanei! Che accendono la fantasia e donano la loquenza. Sembrano poco, ma non glieli ho lasciati. Li tengo per me, e li regalo… e il regalo qual è? La buona favella, che è brutta la povertà di non sapersi parlare, ed è ricchezza che non si compra, ma va tenuta curata, che se no le parole ti lasciano e si resta soli… e soli non è meglio che malaccompagnati! Perché siete voi il regalo uno dell’altro… (p. 55)
Così dicendo, buttò un poco di quei suoi fiammiferi nel bidone… e alzarono una fiamma così luminosa e inconsistente da apparire come un sole cadente… […]
[…]diede inizio al suo festeggiamento, con grande fracasso, come all’uso antico, quello dei folli… dove gli ultimi diventano i primi e i primi si fanno ultimi. (p. 56)

Avviati i festeggiamenti dopo l’accensione di altri cerini gettati nel bidone, i poveri diventano ricchi di favella, implorati dai reduci benestanti delle messe di cedergliene una parte…

“Un poco d’eloquio… per carità…” così questuavano, “per favore, soltanto un poco di parole! Dammi una parola… e dammela…” dicevano, insistenti e bisognosi. E gli altri, che ne erano ricchi, concessero elemosine superbe… e grassi motti, e sparsero favelle in profusione di parole belle… sempre accompagnati di quel Sante Nicola, fattosi invisibile dietro alle sue campanelle… (p. 57) Brano: Campanell

I CERINI DI SANTO NICOLA. Soundcloud.com/la-cupa/i-cerini-di-sante-nicola

POSTFAZIONE

Si è tenuto da parte un solo dono, dei cerini di legno, una cosa da niente che però compie un grande miracolo: dona la capacità di sapersi parlare, dona la possibilità del racconto e perciò della com-passione, della com-prensione. La capacità di vedere nelle disgrazie degli altri anche le nostre e dunque assolversi ed essere in qualche modo fratelli: tutti disgraziati alla pari. (p. 60)
[…]resta il fatto che la solitudine più grande è parlare, urlare per le strade senza che nessuno sia disposto ad ascoltare. Che è poi quello che fanno tutti, chi per strada, chi per rete: molti urlano e pochi si ascoltano. […]
E che il dono del dialogo, del sapersi parlare è sempre un dono prezioso, che non ha bisogno di vetrine e tredicesime per essere donato. (p. 61)