ROBERT BRASILLACH – LETTERA AD UN SOLDATO DELLA CLASSE ‘40


ROBERT BRASILLACH – LETTERA AD UN SOLDATO DELLA CLASSE ‘40
EDIZIONI IL SETTIMO SIGILLO – Collana COLLEZIONE EUROPA n. 6 – 1997

Traduzione: Mario Prisco

Titolo originale: Lettre à un soldat de la classe soixante

AI RAGAZZI DELLA CLASSE ‘80
Di Gianfranco de Turris p. 7

PREMESSA
Di Gianfranco de Turris p. 13

ROBERT BRASILLACH, POETA DEL FASCISMO
Di Adriano Romualdi p. 19

LETTERA AD UN SOLDATO DELLA CLASSE 40 p. 47

È pensando a questo bambino, che sarà un giorno un soldato della classe 1960, che scrivo queste pagine sulla guerra, dal fondo di una prigione. (p. 50)

5 novembre 1944

È la prima volta, insomma, che incontro la Società, con tutto il suo residuo di Medio Evo, i suoi uscieri, le sue catene, i suoi sbirri, i suoi ermellini, i suoi tòcchi e le sue toghe. Il momento vale la pena d’essere vissuto. E poi, la Giustizia, è una bella parola, la Giustizia, questi seimila anni di errori giudiziari. (p. 52)

Per me chiederanno certamente la pena di morte accusandomi d’intelligenza con il nemico e di tradimento. […]
Devo confessare a me stesso, come a tutti gli altri, che non provo alcun rimorso, tanto meno inquietudine. So di avere il cuore puro, anche se ho sbagliato in qualcosa. Per quanto mi sforzi, non riesco a darmi l’apparenza della minima contrizione. Non mi ricordo; in quest’ora che posso considerare, senza lirismi, di totalità sincerità,d’aver mai tradito il mio Paese, né tentato in alcun modo di farlo. (p. 53)

6 NOVEMBRE

Mi sembra che non sia io il protagonista di quest’avventura. (p. 53)

Io, che non mi riconosco nell’astrazione del Tradimento di cui mi si accusa, non posso che essere indifferente a tutta questa commedia. (pp. 53-54)

Ma in ogni caso eccomi dunque accusato di tradimento per aver cercato, in tempo di guerra, un’intesa con la Germania che occupa il mio Paese. M’accorgo di tutta l’assurdità di questo processo, della sua ingiustizia. (p. 55)

La convivenza dei Francesi e dei Tedeschi è così terminata con una successione di tragedie, omicidi ad opera di partigiani, atroci rappresaglie, che danno a questo conflitto l’aspetto di una guerra del XVI secolo. Ciò non ha aiutato i popoli a comprendersi. E a questo bisogna senz’altro aggiungere la portata delle misure antiebraiche. Io sono antisemita, ho imparato dalla Storia l’orrore della dittatura giudaica, tuttavia mi sembra e mi è sempre sembrato inammissibile che si siano così spesso separate le famiglie, strappati via i bambini, organizzate delle deportazioni che sarebbero state ugualmente illegittime anche se non avessero avuto come fine recondito la morte pura e semplice. Non è così che si risolverà la questione ebraica. E aggiungo che se questi metodi hanno aumentato in Francia l’odio per la Germania, tuttavia l’antisemitismo resterà ormai radicato nel popolo francese, e il ritorno degli Ebrei non sarà certo visto di buon occhio. […]
Ecco esposti assai onestamente, anche se grosso modo, alcuni dei motivi di astio che un nazionalista può nutrire nei confronti della Germania. (p. 57)

Un giorno, gli alunni delle scuole apprenderanno (mi sono rassegnato all’idea) che per quattro annidi seguito di Tedeschi non hanno fatto altro che fucilare Francesi agli angoli delle strade, mentre la verità è che molti Francesi non si sono neppure accorti, per così dire, dell’occupazione, e alcuni di quelli che, a parole, le erano più ostili si sono abbondantemente arricchiti alle sue spalle. […]
cioè prima del dilagare della guerra civile, e quasi ovunque, questa occupazione fu, a dir poco, corretta nelle sue forme e nei rapporti con la popolazione, anche se alcune misure di ordine generale non si rivelarono affatto opportune. (p. 58)

Sono stato dapprima un semplice curioso della Germania anteguerra, della sua rinascita, dei suoi miti, della poesia nazionalsocialista con le sue feste grandiose e il suo romanticismo wagneriano.
Sono stato quindi un collaborazionista convinto, dicendomi che doveva infine cessare questo dissidio che da tanti secoli mandava alla morte tanti giovani. E, poco a poco, mi sono senza dubbio spinto più lontano. […]
A mano a mano che il mito della collaborazione si faceva più vago, che la riconciliazione diventava più difficile, che le colpe s’accumulavano da una parte e dell’altra, contemplavo con nostalgia sempre crescente quel che mi era parso necessario, e mi dicevo che un giorno o l’altro, a qualunque costo, quell’impresa si sarebbe pur dovuta intraprendere di nuovo. […]
Altri riprenderanno, forse sotto forme diverse, questo desiderio di riconciliazione che è stato il sogno di tanti spiriti dissimili[…]. (p. 59)

10 NOVEMBRE

Dato che queste note rivestono innanzitutto un carattere politico, intendo continuarle per indagare ciò che in avvenire rimarrà di quello che noi abbiamo chiamato Fascismo. A mio giudizio questa parola è quell’insieme di idee e più ancora di miti che abbiamo così chiamato, e che non sempre conserva molti rapporti con Fascismo italiano. Il Fascismo italiano, è un’opera di vent’anni, straordinariamente caduca. […]
Ma ha avuto il torto di voler far fare la guerra a un popolo che non la voleva[…]. (p. 61)

Il nostro Fascismo non è quello italiano.
Molto tempo fa pensavamo che il Fascismo fosse una poesia, la poesia stessa del XX secolo (insieme al comunismo, senza dubbio). E mi dico che ciò non può morire. I fanciulli che saranno poi giovani di vent’anni, apprenderanno con oscura meraviglia questa esaltazione di milioni di uomini, i campi della gioventù, la gloria del passato, le sfilate, le cattedrali di luce, gli eroi pronti alla lotta, l’amicizia tra le gioventù delle nazioni ridestate, José Antonio, il Fascismo immenso e rosso. So bene che il comunismo ha anch’esso la sua grandezza, ugualmente esaltante. (pp. 61-62)

Mi si concederà che nella Rivoluzione Fascista, la nazione è assunta ad un significato più inebriante, più marcato, e la nazione è essa stessa poesia. (p. 62)

Resta soltanto il fatto che il Fascismo ha avuto al suo passivo una dittatura poliziesca, spesso pesante. (p. 63)

È certo che la sua straordinaria poesia ci è vicina, e che il Fascismo resta la verità più esaltante del XX secolo, la sua nota dominante. Le critiche che possiamo muovergli sono da imputarsi a carenze sul piano nazionale, ad errori contingenti, a difficili condizioni di vita, alla guerra (e in tal caso le democrazie hanno commesso i medesimi errori, se di errori si tratta). Ma il suo calore, la sua grandezza, il suo fuoco meraviglioso, è tutto quanto gli appartiene. Un campo della gioventù nella notte, l’impressione di far corpo con l’intera nazione, le lapidi dedicate al ricordo degli eroi e dei martiri del passato, una festa totalitaria, sono questi gli elementi della poesia fascista, ed è ciò che costituisce la follia e la saggezza della nostra età, è ciò che fra vent’anni la gioventù, dimentica delle tare e degli errori, guarderà con oscuro desiderio ed inguaribile nostalgia. (pp. 63-64)

12 NOVEMBRE

Penso che, nella misura in cui la storia riuscirà ad essere imparziale, essa riconoscerà l’importanza degli uomini della “collaborazione”. Non parlo di coloro che hanno fatto il doppio gioco, ma di quanti hanno svolto un’azione leale. (p. 64)

Senza la collaborazione dichiarata avremmo avuto molto prima le rivolte, il terrorismo, i franchi tiratori e di conseguenza rappresaglie sempre più dure e un metodico saccheggio delle ricchezze. (p. 65)

31 DICEMBRE

Degli indegni scrittori, che si sarebbero uniti, dieci anni orsono, per difendere qualsiasi condannato di ogni nazionalità, permettono senza protestare che oggi si condannino a morte degli uomini che non erano neppure amici della Germania, e una stampa isterica pretende di interpretare un’opinione pubblica sempre più terrorizzata. […]
Fra quindici giorni, mi presenterò innanzi a uno di questi tribunali, ai quali non riconosco il diritto di giudicarmi, e occorrerò pertanto interpretare la propria parte nella commedia, poiché l’essenziale è comportarsi bene, fino in fondo: la conclusione della morale resta infatti l’esteriorità. La vanità di questo compito non me lo fa apparire meno necessario. (p. 73)

Come sopportare la pace relativa, il Natale, il piacere, nelle lontane terre, mentre coloro che hanno creduto a quello in cui io stesso credevo sono in prigione o dinanzi ai plotoni d’esecuzione? Non si abbandonano i camerati, anche se non si è più sempre della stessa opinione. (p. 74)

Ti chiedo solo di non disprezzare la verità che noi abbiamo cercato, gli accordi che abbiamo sognato al di là di ogni disaccordo, e di conservare le due sole virtù alle quali io credo: la fierezza e la speranza.

ROBERT BRASILLACH
Fresnes p. 75