PIERRE DRIEU LA ROCHELLE – DIARIO DI UN DELICATO

PIERRE DRIEU LA ROCHELLE – DIARIO DI UN DELICATO
SE – Collana PROSA E POESIA DEL NOVECENTO n. 71 – I ed Ottobre 1998

DIARIO DI UN DELICATO
Journal d’un délicat p.

Amo Jeanne nei suoi difetti. La sua pelle da ginnasta è mortificata da un eccesso di cure, ma quando il desiderio è più forte dell’orrore che talvolta provo per questa epidermide, mi dico: «L’amo perché il mio amore è più forte dell’odio ».
Ha troppi muscoli. Ma anche denti meravigliosi. […]

Mi chiedo se tale gioia sostituirà l’altra, la gioia di esser solo mentre guardo il Partenone. Solo non per egoismo, ma spogliato degli altri per spogliarmi di un io che vive solo per reazione automatica a loro. E rimanga solo questo pensiero, che è un albero nell’universo.

Un uomo vile crede di poter diventare un uomo coraggioso, Ma un uomo coraggioso – almeno dal momento in cui ha varcato quella soglia – crederà di poter diventare vile? No, sta qui tutta la differenza tra loro. (p.11)

Come gli indù del Vedanta, gli ebrei della Kabbala hanno il senso dell’inaccessibile e dell’inalterabile.
Per giungere alla vera nozione del divino, occorre i perdere l’immagine di un Dio, per quanto sublime sia.
Nella Kabbala, gli ebrei superano l’idea grossolana di Dio, dissolvendola in molteplici idee intermedie tra l’infinito e il finito. Ma la Kabbala, così tardiva, sarebbe esistita senza l’influenza delle alte speculazioni ariane?
semiti devono tutto quello che c’è di più alto nella loro religione a popoli non semiti – egiziani, sumeri, che hanno ispirato i caldei – e agli ariani. Tutta la Kabbala si trova già nelle Upanishad e nei Gatha, in Pitagora e in Platone. La Kabbala, quando si forma, due secoli prima o due secoli dopo Cristo, attinge di volta in volta alle fonti ariane più antiche e a quella più recente, la filosofia di Platone. (p.12)

Ogni mattina, quando mi sveglio, sogghigno, mi convinco che è l’ultimo giorno di lavoro. Mi ripeto: « Non è possibile, non sono io quello che lavora, che va nel suo ufficio, per quanto bello sia ». Perché il mio ufficio è bello. […]

Ecco un popolo arrivato alla maturità, che sa di avere fatto la sua parte, la sua parte terrestre, la sua parte umana. Questo popolo cessa di essere umano: gli uni partono verso uno spirituale senza ritorno, gli altri tornano all’animale.
Osservo Jeanne muoversi. Mi affascinano i gesti di una donna che vive al mio fianco; sono stupito che una donna possa vivere al mio fianco. Nessuna donna ha mai abitato a casa mia. Tutt’al più vi ha passato la notte. Oppure si viaggiava insieme. Da vero libertino, ho conservato sempre una specie di castità; mai una donna è penetrata, si è installata nel mio intimo. (pp.13-14)

Per me invece la storia è una boccata d’aria, una liberazione, È con essa che mi difendo dall’uomo e mi riapproprio dell’umano. (pp.15-16)

« A questo: il cristianesimo deriva dal pensiero ariano, come ogni cosa indiana e di conseguenza ogni cosa. cinese, giapponese, E anche a questo: gli ariani odierni, che hanno dovuto diventare antisemiti, non devono ripudiare il cristianesimo perché semita. Vi devono ritrovare il loro bene… Quanto alla morale degli schiavi presente forse nel Vangelo, vi cadono tutte le civiltà esauste. In altra forma – molto meno losca, certo – la si ritrova nel buddhismo, che è un pensiero puramente ariano e per nulla ebraico ».(p.17)

Cerco continuamente la solitudine per consegnarmi alla paura.
La paura è sempre stata in me. Da bambino mi sono gettato, appena cosciente, nell’abitudine profonda della solitudine. Ma allora non avevo paura, così almeno mi sembra. Mi fermavo per lunghi momenti e ascoltavo il silenzio. La mia attenzione era viva, briosa, mi dava il senso di un crimine squisito, di un furtarello ingegnoso, di un bel tiro: rubavo la gloria intima al mondo.
Ora è diverso. La solitudine diventa paura, e la paura angoscia. Per un nonnulla un’angoscia improvvisa mi afferra, come se mi chiudessi lentamente la porta su un dito; sono io che chiudo la porta. Cerco questa angoscia. Più procedo nei giorni e più so che le cause immediate che scelgo per l’angoscia sono assurde, risibili: raccogliere nella carne la parola di un nemico, non sentire più il piacere di pensare, avere paura di morire vecchio. Pretesti. (pp.18-19)

Aspetta il momento in cui potrà ancora gettarsi su di me per strapparmi parole, gesti, sospiri, grida.
Non ha bisogno dei miei pensieri, si accontenta .delle parole. Mio malgrado, la mia sostanza passa nelle parole.
Nonostante il mio distacco dagli esseri e dalla vita (già molto segnata quando lei è giunta), desidero ancora abbandonarmi a lei; ma quando mi abbandono, mi perdo. Scioglie i miei nodi a uno a uno. La guardo mentre mi disfa. Eppure mi fa orrore l’avarizia. (p.19)

Sono dunque un esteta, se non posso vivere senza rivedere il Partenone? Ma sono stato toccato al cuore da quel colore di miele striato di rosa, infinitamente punteggiato di cristalli.
Si può essere innamorati di un oggetto. Il Partenone non è il più bell’oggetto del mondo? Tra le meraviglie del Messico e dell’Egitto non ho visto niente che me lo faccia dimenticare.
E senza dubbio sarei innamorato di Jeanne allo stesso modo, se potesse mostrarmi un’anima così resistente, così solida, così eterna. (p.22)

La perfezione del còrpo di Jeanne mi dovrebbe indurre a eternare la forma umana e dunque a far nascere un altro corpo dal suo.
Non temo affatto, di saccheggiare il suo corpo rendendolo gravido; ho im senso troppo vivo della caducita di ogni cosa e non mi sfuggono i primi, impercettibili cedimenti della sua carne. Non mi sono mai sognato di guadagnare un’ora sulla morte di un giorno o un giorno sulla morte di un anno. (pp.25-26)

Da qualunque parte mi giri, in questo popolo sventurato vedo soltanto una perdita totale del senso delle leggi. Hanno perduto il senso sia del sesso che della politica. Non sanno più co- s’è un capo, cos’è un uomo, cos’è Parte, cos’è la religione. Prendono gusto unicamente a ciò che è fuga dalla vita, in ogni ordine di cose. (p.26)

A volte mi valuto dal punto di vista sociale e allora sono un uomo come gli altri; altre volte dal punto di vista della filosofia e della religione, e allora non m’importano le ingiunzioni della natura e della società. Sono soltanto l’uomo nel mezzo del cosmo, tra Dio e il nulla, tra le grandi immagini indicibili che sono tutto il mio problema e tutta la mia realtà, che segnano i limiti estremi al di là dei quali voglio prolungare all’infinito il mio slancio. Allora non posso più occuparmi di Jeanne e del suo richiamo terrestre, né del mio popolo e della sua decrepitezza che grida nel deserto. (p.28)

Se scivolo nella solitudine, nel distacco dalle cose e dagli esseri, e se non nell’estasi mistica, almeno nella contemplazione intellettuale, non è forse perché tutto ciò è un pretesto per fuggire la vita e corteggiare la morte? (p.30)

Ecco un’immagine metafisica che dice abbastanza bene il mio bisogno di essere dell’altro e di questo mondo, della contemplazione e dell’azione, di essere fuori della creazione e nella creazione. (p.31)

Ma il cattolicesimo è il peccato originale, la grazia, l’amore di Dio e del prossimo. Tutto questo in me vive poco, o quasi sublimato. (p.33)

Spesso, sulle rive della Senna, guardo un uomo che pesca con la lenza. Guardo quell’uomo ridotto al gesto più attenuato, più immobile. Mentre c’è la caccia, l’aereo, la rivoluzione, la guerra, l’asceta. Ma l’animale in lui è ancora più invadente; un animale che pensa solo a mangiare, a bere, a spassarsela con la minor spesa. […]
Da una parte ciò che è di Dio, dall’altra ciò che è della terra; da una parte ciò che è del sacerdote, dall’altra ciò che è del guerriero. Un tempo, nella giovinezza, ero dell’ordine guerriero; poi ho oscillato violentemente dall’ordine guerriero a quello sacerdotale e viceversa. Adesso che, con l’età e secondo la legge, mi pongo nell’ordine sacerdotale, talvolta rimpiango ancora l’altro. E così perché nella società in cui vivo non esiste più, in nessun modo, quell’equilibrio; allora sento il bisogno di ripristinarlo in me. Ma non posso più farlo se non attraverso un’operazione dello spirito. (p.34)

Gli uomini che avrei potuto essere o che sono stato. Da ragazzo c’era in me il germe di un monaco, il germe di un santo: riappare adesso. L’invecchiamento mi restituisce il candore. Ma è bandito per sempre dalla santità colui che non è stato santo nella giovinezza, nell’età della lotta, della scelta libera e atroce, e lo diventa soltanto nell’età della necessità. Che disperazione vedersi sconvolto dal grande amore e ricordare una così lunga perdita! (pp.36-37)

Qual è l’immagine di questa perdita, di questa fusione di due egoismi? Il figlio. Orribile un ménage senza il figlio: alla lunga è solo un reciproco annullamento (o la lotta ristagnante di due egoismi risvegliati), e questo annullamento diventa bello quando si trasfigura, si esalta in abnegazione. Il figlio, anche se più tardi diventa una persona brutta e stupida, è la vita che rinasce e giustifica il suicidio comune dei genitori. (p.40)

eanne non mi desidera più, lei desidera un altro essere. I suoi abbracci sono trappole, abissi dove m’attende e mi trascina.
Orribile e misteriosa operazione: la moltiplicazione. Sul piano dell’intelletto, ci sono popoli che non ne hanno mai scoperto il principio e non sanno che addizionare addizioni.
Jeanne mi vuole ancora – e si vuole – in un figlio. Ma non sarà più né lei né me. Il suo sogno è impossibile, questo figlio non sarà noi. Sarà un’indipendenza, un’ingratitudine, un ego. (p.41)

Non posso impedirmi di guardare in continuazione le persone intorno a me, e questo è un grande peccato, perché più le guardo e più le odio. Un odio tranquillo, dolce, gioviale, che forse non le ferisce mai, ma sicuramente ferisce me. Non sarebbe più sano odiarle attivamente, invadendole, sfruttandole? (p.42)

Voler prendere è aver paura di perdere. (p.43)

La paura di avere un figlio è dovunque e in nessun luogo. Mille pretesti, ma nessuno valido. Agisce solamente la paura in sé: la paura di vivere, la paura di manifestarsi, di muoversi, la paura di essere.
Ma no, è già la desuetudine a essere, il bisogno inestinguibile di andare al di là dell’essere. (p.46)

Io che invecchiando, man mano che la vita è più calma e regolata, mi sento l’anima come un vaso sempre più sensibile e friabile, percorso da crepe leggere che passano come brividi, io sento come una tregua. Cosa sta succedendo? (p.47)

Quando non ci sono più eroi, non ci sono più santi. Occorre una grande forza vitale per criticare la vita: con lo stesso movimento atletico l’uomo accetta e rifiuta la vita. (p.50)

In quei brevi studi ho appunto notato che in un periodo di decadenza i migliori sono quelli che si trovano all’apice, che ne esauriscono il veleno. (p.51)

Quello che voglio è una religione che trovi un equilibrio tra il Corpo e l’anima, tra il mondo e Dio. C’è Dio e C’è la creazione. La creazione non è cattiva, ma è un mistero in comprensibile, insondabile. Perché Dio ha fatto il mondo? Può darsi che l’opera d’arte, la bellezza giustifichi la follia del finito. (E anche l’atto di carità, d’amore? Ma questo mi sfugge all’infinito.) In ogni caso il male è soltanto il momentaneo allontanamento da Dio. Il peccato originale è il processo di dilatazione del divino, la sofferenza che comporta, le concatenazioni che implica. Ma tutto questo è compensato dalla gioia, dalla grazia. Ce per noi una gioia in seno alla creazione, preludio della gioia del ritorno a Dio. E noi possiamo gioire e fortificare la nostra anima solo nell’equilibrio del nostro corpo. (pp.52-53)

Stamattina Jeanne, al risveglio, mi ha guardato negli occhi come non mi aveva mai guardato, nemmeno in questi ultimi giorni in cui mi scrutava così profondamente, guardandomi o non guardandomi, con occhi che non si curavano più di essere belli o di piacere, e mi ha detto: «Sono incinta».
Silenzio della mia anima. Ieri non ho risposto nulla a Jeanne. Ho guardato l’isola che non ha accusato il colpo che ho ricevuto e che* con un suono sordo, ho restituito a Jeanne. L’isola è là, brutta, avvolta di bellezza, come un sasso opaco in un fazzoletto di seta colorata; l’isola è muta come me: ho detto a Jeanne: « Ah, bene».
Ero terribilmente immobile, ho avuto vergogna della mia immobilità, ho voluto fare un gesto, l’ho presa tra le braccia. Senza dire nulla, si è lasciata stringere, con un gemito impercettibile, aspettando un grido che non è venuto. C’è stato subito, in me, un rifiuto decisivo. (p.60)

Sono solo, solo. Cosa c’è in fondo a questo sentimento della solitudine? Il divino separato da se stesso si ricongiunge, si rinserra dolcemente. Dio è Dio, e io non sono più. Solo per un impercettibile errore mi distinguevo e discernevo. La delizia della solitudine è sentire questa incorruttibile unità di Dio.
La passante ha occhi d’acqua. (p.63)

l mondo non è Dio è io non sono Dio. Ma Dio solo è. Appaio come un impercettibile e fuggitivo fremito quando Dio si rigira nella sua immobilità.
Su un piano inferiore, il mondo sta a me come io sto a Dio. La mia anima è una ruga sul mio spirito e su questa ruga l’apparenza delle cose è una ruga ancora più impercettibile. […]
Dico Dio per abitudine occidentale. Ma la parola non ha niente in comune con la nozione grossolana e ridicola di Geova.
Più che Dio c’è il divino; c’è quello che gli indù chiamano il Sé, l’Atman, o anche Brahman.(p.64)

Non voglio avere figli perché non voglio oscurare Dio. Mi basta il mio io, inutile aggiungere quello di Jeanne. È passato il tempo in cui mi nutrivo delle rozzezze del mondo. E venuta l’ora di bruciare tutto come una vittima sull’altare del sacrificio. (pp.65-66)

Diceva sempre di amarmi, di amare solo me. Le credevo, ma la cosa mi sfiorava appena, perché pensavo che avesse bisogno di un uomo in pianta stabile e che
io, meglio di un altro, le sembrassi quest’uomo.
Sentivo che presto non avrei più desiderato fare l’amore con lei, che presto non avrei più desiderato fare l’amore con una donna.
Quanto all’amore, di cui qui non si sta parlando, l’avevo conosciuto. Ma il ricordo era sepolto con quello del dolore. La donna più bella del mondo non suscitava più alcuno slancio in me. D’altronde non avevo mai desiderato, e nemmeno guardato, le donne più belle; le vedevo prigioniere del loro prestigio, fatalmente votate al denaro e alla frivolezza.
Avevo una sete audace di solitudine, di silenzio, di quei rischi che sono il silenzio e la solitudine. Se dessi un figlio a Jeanne, cosa diventerebbe vicino a un uomo che la guarda con crescente indifferenza? Lo sostituirebbe, come aveva già fatto durante le sue assenze. (p.69)

Mentre Jeanne era davanti a me, umile e supplichevole, e anche tremendamente spezzata e piegata alla mia implacabile decisione, immaginavo le serate nel piccolo appartamento con le urla del bambino, la difficoltà di leggere, di scrivere, di meditare. E soprattutto il lento e fatale spostamento di tutte le energie, delle sue e delle mie, al servizio del bambino. Non ci saremmo più appartenuti. (p.72)

Come era bella, Jeanne, il 1° luglio 1934…
La vita era. davanti a me e rifiutavo la vita. Perché sapevo che la mia decisione era immutabile. Anche Jeanne lo sapeva ed era decisa a seguirmi nella mia decisione. C’era in me un terribile rifiuto della vita, dell’amore. Ammiravo Jeanne e non amavo Jeanne. Vedevo la sua bellezza e vedevo i difetti della sua bellezza; vedevo il suo carattere leale e i nodi entro cui si strozzava questa lealtà. (p.75)

Ma nella vita c’è anche la negazione della vita. C’era in me una fame di solitudine, di purezza, di immobilità. Noli me tangere.[…]
L’infinito crea il finito e rimpiange l’infinito. Dio vuole rientrare in Dio. (p.76)

Non appena ebbi portato fino in fondo la mia durezza verso Jeanne facendola partire da sola, mi visitò il fantasma della tenerezza e corsi a raggiungerla a Parigi. (p.80)

I grandi conquistatori sono dei grandi conquistati. Sono vinti dal bisógno d’azione che sta divorando gli uomini: e questo bisogno d’azione, limitato alla politica, non è che il primo grado. Il secondo grado, più completo, sarà la religione. (p.83)

A quelli che possiedono la fede e la grazia, che sono impegnati nel cammino dell’ascesi e della mistica, occorre molto amore per giustificare il loro apparente rifiuto dell’amore umano. Occorre molto amore divino per perdonare il rifiuto dell’amore umano.[…]
Riflesso dell’educazione, non c’è dubbio, poiché l’intelligenza mi spinge verso una gioia più purificata. Il centro della mia vita è la vertigine della solitudine. Ne ho sentito la morsa, feroce e ineluttabile, quando ho lasciato che Jeanne se ne andasse dall’isola. (p.84)
Sapevo che Jeanne era sposata da due anni.
« Suo marito è al fronte? ».
«Sì».
Tutta la sua persona esprimeva un disagio doloroso, una ripugnanza. Cosa più che comprensibile. Perché ero andato a trovarla? Per curiosità, ma una curiosità mescolata a un interesse ansioso.
Era felice? Mi appoggiavo alla speranza che lo fosse. In quella gioia cercavo un sollievo ai miei rimorsi, lontani e intermittenti.
Era sempre molto bella. Sempre quel corpo così diritto e perfettamente fasciato nel suo vestito di musco
Solo una magrezza un po’ emaciata la minacciava. C’era sul viso quella ricchezza di sentimenti che mi farà sempre preferire una donna matura, anche se non bellissima (non era affatto il caso di Jeanne), alla più bella ragazzina del mondo, impregnata della stupidità dell’inesperienza,
« Non mi deve chiedere perché sono venuto a trovarla, Jeanne. C’è una domanda che avrei voluto farle in un altro tempo, e che ormai non ha più senso ».
« Se sono felice? Se l’ho dimenticata? Lei mi ha fatto troppo male perché possa dimenticarla. Sono stata molto felice in questi due anni. Ma ora sono infelice». (p.87)

«Sono molto infelice per un’altra ragione, che la riguarda ».
Il mio amor proprio era spento, ma un attimo dopo si riaccendeva la vanità. Ed ecco fremere in me la soddisfazione di sapere che avevo ancora un ruolo nella sua vita. Ma non senza inquietudine.
« Mi dica, Jeanne ».
« Dall’inizio della guerra, desideravo tanto avere un figlio ».
Questa volta abbassai gli occhi. Indovinai. Orrore!
« Non può averne? ».
«No. Dopo la nostra piccola storia, quattro anni fa, mi rimase soltanto un’ovaia. Si ricorda? ».
«Sì».
«Ebbene, alla fine ho perso anche quella. Non potrò più avere figli. Non potrò più dare un figlio all’uomo che amo. E, se verrà ucciso, con lui morirà anche il suo nome. Ecco quel che pensa al fronte ». (p.88)

NOTA
Di Milo De Angelis p.88

CONVERSAZIONE CON ARAGON
Di Frédéric Grover p.93

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