PAOLO CARILE – CÉLINE OGGI L’autore del Voyage au bout de la nuit e di Rigodon nella prospettiva critica attuale. BULZONI, ROMA, 1974

 

PAOLO
CARILE – CÉLINE OGGI
L’autore
del Voyage au bout de la nuit e di Rigodon nella
prospettiva critica attuale.
BULZONI,
ROMA, 1974
Nel libro “Céline oggi” pubblicato da Bulzoni nel 1974, Paolo Carile analizza la figura di Céline alla luce della prospettiva critica di quel periodo. 
L’autore inizia con la disamina di due lavori dedicati all’analisi politicoideologica dello scrittore. Il primo è Morand, Les idées politiques de L.-F. Céline, 1972; il secondo di T. Kunnas, Drieu la Rochelle, Céline, Brasillach et la tentation fasciste.
Nel capitolo successivo Carile analizza i contributi della critica tematica e psicanalitica, partendo da Jean-Pierre Richard, proseguendo poi con André Smith, Albert Chesneau, ancora Smith (con La Nuit de Louis-Ferdinand Céline).
Al capitolo IV, Le analisi stilistiche, Carile passa in esame i saggi dedicati all’analisi del rivoluzionario stile celiniano, fattisi più profondi e numerosi a partire dagli anni Settanta (Gunter Holtus, Jean Guénot, Albert Chesneau, Frédérick Vitoux).
Il capitolo V, “Proposte per nuove ricerche”, è, a nostro avviso, la parte più interessante del libro. L’autore auspica infatti l’avvio di ricerche concernenti la formazione culturale dello scrittore (p.es le materie di studio universitarie, letture
filosofiche, storiche, politiche e letteriarie; le sue conoscenze artistiche e musicali). Una ricerca insomma, che recensisca scrittori e pensatori da lui citati, nonché le fonti dei pamphlets (p.es Gobineau, Elie Faure, Nesta Webster) e gli influssi di Lombroso, Chamberlain, Lapouge. Ulteriore aspetto da trattare è quello relativo alla comicità.
Molto interessante è anche il successivo capitolo: Céline e il pubblico.
Lo scrittore e i mass media
. Carile ricorda qui la massiccia presenza di Céline in numerose trasmissioni radiofoniche e televisive (dal 1957 al 1973) e dei vari progetti, mai realizzati, di trasporre in film un suo romanzo.
Nell’APPENDICE, Carile propone gli scritti di Céline sulla stampa collaborazionista (1941-1944), 26 in tutto, seguiti da una breve descrizione dei giornali e delle riviste in cui apparvero.
INTRODUZIONE
p.9
Per quanto tragiche e indimenticabili possano essere state le circostanze storiche nelle quali il medico-scrittore fu coinvolto, era tempo, ormai, che la sua opera non ne venisse più condizionata, che la comprensibile condanna politica non soffocasse ancora una delle voci più originali della letteratura francese.
Oggi,
infatti, grazie al nuovo corso degli studi celiniani si riconosce
finalmente, senza riserve ai suoi scritti un posto di primissimo
piano nel quadro della narrativa europea del Novecento. (p.12)
I
CÉLINE
E LA CRITICA ALLE FRONTIERE DELLO SPAZIO NARRATIVO p.31
II
SULL’IDEOLOGIA
POLITICA p.37
[…]
le sue idee politiche dovevano trovare necessariamente un
collegamento, un raffronto con i dibattiti ideologici dell’epoca.
[…]
nel complesso la sua ideologia non sfugge al suo tempo, al clima
culturale e sociale che l’ha nutrita e nel quale andava
ricollocata.
Anche
sul piano letterario — ma quest’aspetto non è toccato dalla
Morand — i pamphlets (gli scritti con un carattere politico più
accentuato) non sono il frutto imprevedibile di una crisi di
«epilessia verbale» senza rapporto con una tradizione letteraria;
al contrario, come si può vedere dal libro di P . Dominique, Les
polémistes français depuis 178946 (peraltro non utilizzato dalla
studiosa) l’opera polemica celiniana per il suo contenuto
ideologico si iscrive in un filone di pamphlétaires particolarmente
fecondo dalla terza Repubblica in avanti. (p.41)
[…]
non è difficile trovare riscontri a livello tematico, tra alcuni
motivi […] tipici della corrente letteraria di ispirazione
cattolico-tradizionalista […] e analoghi temi della narrativa
celiniana fino a Les Beaux Draps. Il libro di Jacqueline Morand si
spinge di rado fino agli anni a cavallo dei due secoli e non mette
abbastanza in luce, a nostro avviso, l’influenza di una vasta area
della pubblicistica e della letteratura di quell’epoca
sull’ambiente piccolo-borghese dove trascorse la giovinezza lo
scrittore, influenza che ci pare invece notevole nella formazione di
certi ’archetipi’ mentali a cui lo scrittore rimase, in fondo,
tenacemente legato. Non è difficile scorgere in quel mondo
letterario e giornalistico una chiara predominanza di posizioni
ideologiche che, con varie motivazioni, per lo più dettate da fumose
mitologie pseudoculturali, esaltavano il nazionalismo,
l’antirazionalismo, indulgevano nel culto di un âge d’or di tipo
feudale privo di qualsiasi realtà storica, non nascondevano il loro
antisemitismo e la loro xenofobia. (p.42)
[…]
si richiama ad una Weltanschauung sostanzialmente reazionaria e
patriottarda, sganciata, in fondo, dalla reale problematica sociale e
culturale del momento, ma molto diffusa a quasi tutti i livelli della
società francese.
La
generazione di Celine, Bernanos, Drieu La Rochelle, Rebatet si nutrì
degli scritti, delle polemiche giornalistiche di questi « grandi »
nazionalisti dei primi decenni del secolo. La maggior parte dei temi
presenti nei libelli celiniani potrebbe trovarsi, ad esempio,
sfogliando « La libre parole », « L’Action française» , « Je
suis partout » e tante altre pagine, più o meno occasionali, che si
pubblicarono in periodici prima dei pamphlets stessi. Nazionalismo,
anarchia, populismo, antisemitismo, fascismo, antimilitarismo sono
componenti, in alcuni casi contraddittorie, di un clima storico che
ebbe forse il suo momento culminante tra gli anni trenta e lo scoppio
della seconda guerra mondiale ma che affonda le sue radici nelle
polemiche, spesso assai violente ,dell’inizio del secolo. (p.43)
Per
determinare l’ideologia politica celiniana la studiosa enuclea
cinque temi caratterizzanti (pacifismo; antisemitismo; socialismo;
anarchismo; fascismo) e, esaminando tutte le fonti, letterarie e non,
ricostruisce la posizione dello scrittore rispetto ad essi. Seguiamo
la partizione proposta anche se, a volte, con la sua relativa
rigidezza, essa può impedirci di cogliere appieno le sfumature e le
contraddizioni di un pensiero espresso quasi sempre in ton o
paradossale.
Il
pacifismo è il primo tema, in ordine di tempo, ed anche il più
intenso e duraturo; presente in tutta l ’opera in m odo diretto o
’per contrasto’, attraverso cioè una raffigurazione della
guerra[…].
Nel
pacifismo radicale di Céline la Morand distingue tuttavia due
aspetti: il primo è rappresentato da una rivolta individuale contro
la guerra, in senso lato, e contro tutte le manifestazioni di
bellicismo, il secondo, caratteristico dei libelli, è invece
originato da una presa di posizione violenta anche se contingente, è
un grido di allarme rivolto ai propri connazionali contro il pericolo
di un altro conflitto mondiale.
Il
tema del pacifismo si connette poi con quello dell’anarchismo,
visto che la motivazione che lo sostiene è frutto di un
individualismo assoluto e rispecchia l’atteggiamento di un uomo
solo che pretende non tener conto della società e delle sue regole;
e si connette altresì con l’antisemitismo, in quanto gli ebrei
sono visti da Céline come i protagonisti di un complotto
internazionale contro gli ariani, sono ritenuti i veri responsabili
della guerra ormai prossima. L’antisemitismo più delirante dello
scrittore risulterebbe dunque, paradossalmente, una conseguenza del
suo pacifismo.
La
studiosa francese fa il punto anche su questo tema cruciale
dell’ideologia celiniana. A suo dire l’antisemitismo di Céline
si sarebbe manifestato per la prima volta nel 1937 con Bagatelles. Lo
scrittore sarebbe stato influenzato dal clima antisemita
particolarmente violento di quegli anni. (pp.45-46)
Essa
sottolinea tuttavia che le manifestazioni dell’antisemitismo
celiniano vanno connesse ad altre fobie dell’artista, fra le quali
emerge un acuto sentimento della decadenza della società
occidentale. (p.47)
I
pamphlets, come i romanzi, diventano opere lettera in cui le idee, i
sentimenti sono un pretesto per far scattare nell’autore un
meccanismo allucinatorio, sorgente inesauribile di reazioni
stilistiche. Questo aspetto non sfugge tuttavia alla Morand (p.48)
[…]
Céline manifesta, verso la natura e la condizione umana, un
pessimismo senza speranza. Alla rivolta contro i valori consacrati,
agli atteggiamenti di estrema indipendenza e di critica
incondizionata, al ruolo compiacentemente assunto di hors la loi, che
lo accomunano agli anarchici, si uniscono un pessim ism o radicale,
una diversa concezione dell’ordine sociale che lo allontanano
invece da questi. Mentre gli anarchici si qualificano nel sostenere
il rifiuto di ogni forma di autorità e nel predicare la libera
associazione degli individui, per Céline invece, in conseguenza
della sua sfiducia nell’uomo, « le pouvoir s’impose coercitif et
trascendent » ; secondo lui u n ’autorità forte e permanente
costituisce un elemento indispensabile al buon funzionamento della
vita sociale per il fatto che esercita un freno sugli impulsi
sregolati dei singoli individui.
L
’ultimo tema scelto da Jacqueline Morand per qualificare le
caratteristiche dell’ideologia politica celiniana è quello del
fascismo, con il suo corollario collaborazionista nel periodo
bellico. […] Tale qualifica, diffusa dalla stampa e alla quale
contribuì indirettamente lo scrittore con il suo antisemitismo
conclamato, accompagna ancora sovente l’immagine che del romanziere
possiede il lettore comune. Nella maggior parte dei casi il termine
’fascista’ è usato come semplice sinonimo di ’antidemocratico,
di ’antiprogressista’. (p.50)
In
effetti certi elementi essenziali del fascismo risultano del
tuttoestranei al pensiero celiniano […]
Per
quello che si riferisce infine al collaborazionismo di Céline è
importante distinguere la posizione degli anni 1937-1938, apertamente
filogermanica […] da quella assunta invece durante l’Occupazione.
Il
giudizio della Morand, su questo secondo momento, ci sembra tuttavia
un po ’ troppo frettolosamente volto all’assoluzione e merita
qualche rettifica. (p.52)
Non
dimentichiamo infatti che la sua firma apparve una trentina di volte
sui giornali parigini collaborazionisti, per lo più in calce a
lettere indirizzate ai direttori di questi periodici o a risposte ad
interviste. […]
il
bersaglio principale dei suoi furori erano gli ebrei, i comunisti,
l’Inghilterra, il movimento della resistenza in genere, mentre
nulla egli trovò mai da dire contro la politica dell’occupante.
L’accusa
di collaborazionismo non è quindi del tutto ingiustificata anche se
il « collaborazionismo » celiniano va inteso con le limitazioni e
le caratteristiche sue proprie. La mite condanna del tribunale, se si
pensa soprattutto all’infuocato clima dell’epurazione (un
quotidiano commentava il verdetto della giustizia con questo titolo:
Séance de réhabilitation de l’agent de la Gestapo Célìne), sta
a dimostrare che perfino la giustizia diede un’interpretazione
analoga all’atteggiamento dello scrittore negli anni 1940-1944 ,
riconoscendone l’atipicità.
Da
questa serie di puntualizzazioni si può dunque evincere che parlare
di Celine fascista è improprio: lo scrittore manifestò soltanto
alcune affinità con certi atteggiamenti ideologici dell’estrema
destra ma fu estraneo ai principi peculiari dei movimenti fascisti e
che, nonostante il suo particolare antisemitismo e anticomunismo, non
collaborò, in modo organico e impegnato, con i nazisti. (p.53)
Per
quanto concerne le idee politiche di Céline lo studio di T. Kunnas
raggiunge e conferma nel complesso le conclusioni della Morand, non
sarebbe quindi di grande utilità dilungatisi. […]
Se
si fa astrazione, ancora una volta, dalle caratteristiche letterarie
degli scritti del romanziere, per soffermarsi sulla valutazione di
quel bagaglio ideologico, pare ormai chiaro che le idee politiche di
Céline di per sè stesse non hanno nulla di originale’ e dopo quanto
si è detto non è difficile accorgersi che riflettono molto di più
la mentalità, lo spirito, dei primi anni del secolo piuttosto che la
problematica reale degli anni Trenta-Quaranta quale era dibattuta
dalle forze politiche e sindacali più sensibili.
Céline
dunque, ideologicamente, è ’sorpassato’ anche per il suo
tempo[…] (p.56)
III
I
CONTRIBUTI DELLA CRITICA TEMATICA E PSICANALITICA p.63
Il
primo tentativo di una lettura “en profondeur” della narrativa
celiniana risale all’estate del 1962, quando Jean-Pierre Richard
pubblicò sulla “Nouvelle Revue Fraçais” il saggio: La nausée
de Céline. […] Il critico francese rileva come, fin dalle prime
pagine del Voyage, nell’universo fantastico celiniano faccia
apparizione un sentimento di nausée irreprimibile verso la
condizione umana,verso il corpo umano stesso[…]p.67
Il
disgusto si estende al mondo intero, alle cose sentite in
decomposizione. Nel ricco tessuto metaforico del romanzo Richard
osserva il moltiplicarsi di immagini che evocano la flaccidità, la
deliquescenza, il disfacimento; i corpi, gli oggetti, sotto la penna
di Céline, manifestano la tendenza a perdere la propria
coesione.[…]
Ma
dato che l’uomo assalito dalla nausea esistenziale, è posseduto da
un impulso anarchico, disgregatore, occorrerà che l’organizzazione
sociale crei un ordine esteriore capace di arginare, dal di fuori,
tale forza dissolvitrice. […]
Ecco
quindi che la tentazione dell’autoritarismo, quale si manifesta a
partire dai pamphlets, scaturirebbe da un movimento psicologico di
difesa del romanziere verso la propria angosciosa visione
esistenziale. p.68
Il
rovesciamento lo fa passare dal ruolo di vittima a quello di
accusatore e gli fa assumere dei valori che aveva creduto liquidare
con l’accettazione della viltà: il militarismo, il culto della
virilità, il buon senso contadino, il radicamento nella propria
terra, lo chovinismo. Egli riutilizza ora questi temi reazionari come
strumenti di autodifesa contro il nemico esterno, la Francia
contemporanea, accusata dei cedimenti ai quali si era abbandonato
individualmente sotto l’impulso del proprio cauchemar. Ma la logica
di questa proiezione lo spinge, sempre secondo la tesi di Richard, a
chiedersi quale possa essere la causa della corruzione della sua
epoca. La risposta che egli si è dato sembra essere stata improvvisa
quanto categorica: la causa prima di ogni forma degenerativa della
società è l’ebreo. p.69
La
lettura di altri testi celiniani, meno famosi ma non per questo meno
significativi e un attento esame storico-letterario generale
permettono infatti di situare l ’inizio dell’attività polemica
in un momento anteriore a Bagatelles e in un contesto suscettibile di
fornire qualche spunto per allargare la gamma delle motivazioni.
Il
primo scritto polemico del romanziere, il primo volontario e pubblico
atto di rottura con la sinistra intellettuale, il primo attacco ad un
preciso modello sociale e politico è infatti Mea Culpa, pubblicato
nel dicembre del 1936, subito dopo un viaggio nell’URSS. (p.76)
Verrebbe
quasi da pensare che a partire da un certo momento, una forza
misteriosa abbia condotto Céline a scrivere le cose sbagliate
nell’occasione sbagliata. E questo momento viene inaugurato appunto
da Mea culpa, attraverso le cui pagine Céline colpì il Fronte
Popolare proprio quando aveva più bisogno di essere appoggiato (e
ciò indipendentemente da ogni giudizio sui traguardi raggiunti o
falliti dalla politica sociale sovietica). Esso si prolunga poi con
Bagatelles, L’École des cadavres e Les Beaux draps, dove l
’artista si scagliò via via contro le democrazie occidentali,
imperfetta ma indispensabile difesa nei confronti del nazismo e
contro la propria patria, vinta ed occupata, fomentando così,
irresponsabilmente, gli istinti più bassi che sonnecchiano in ogni
popolo, esaltando le più isteriche forme di antisemitismo, di
xenofobia e di anticomunismo, in nome di miti razziali e di
mistificazioni ideologiche che porteranno di lì a non molto Hitler
ad invadere l ’Europa e ad accendere il sinistro fuoco dei forni
crematori. (p.79)
Anche
Smith parte alla ricerca di un «tema », del tema del «complotto»
appunto, che egli considera predominante sugli altri. […]
I
protagonisti di queste opere hanno, o meglio, sentono tutto contro,
uomini e cose; la loro esistenza è un succedersi di rinunce, di
accettazioni o di fughe di fronte ad una serie di avverse fatalità
che richiama, senza forzature, ciò che Smith ha definito la «notion
de complot». (p.80)
Smith
considera inoltre i pamphlets sulla stessa linea d’ispirazione dei
romanzi. Come già Richard egli non fa differenza tra opere
d’immaginazione e scritti polemici e vede nei libelli il tentativo
di denunciare le presunte ragioni psico-sociali dell’impossibilità
a vivere che contraddistingue i protagonisti del Voyage e di Mort à
crédit. (p.81)
Albert
Chesneau nell’Essai de psychocritique de Louis-Ferdinand Céline
considera invece i libelli non semplicemente scritti anomali da
reintegrare ma bensì un terreno privilegiato la cui analisi
psicocritica permette di fornire un’interpretazione generale di certe
componenti tipiche di tutto l’universo immaginario dell’artista
(pp.84-85)
Al
fin e preliminare di definire il campo semantico ricoperto dal
termine suddetto Chesneau enuclea, dal torrente verbale dei libelli,
una serie di cinque accuse contro gli ebrei che mette conto esaminare
per le implicazioni che esse comportano. Nella paranoia celiniana gli
israeliti sono visti, dal punto di vista biologico, come dei
bastardi[…] (p.86)
[…]l’unico
bastione difensivo è offerto, per Céline, da una Germania
risolutamente antisemita che catalizzerebbe le forze della
resistenza. (p.87)
In
terzo luogo l’autore di Bagatelles considera gli ebrei agenti di
corruzione (attraverso l’incoraggiamento all’alcolismo) delle
difese intellettuali degli ariani, li accusa di essersi votati al
«truquage de l ’histoire », alla falsificazione della cultura e
dell’arte francesi attraverso la mistificazione permanente della
parola e la retorica astratta « du verbe ».
Ulteriore
denuncia contro il fantomatico juif è quella di essere onnipresente
e nel contempo di fare di tutto per passare inosservato, di agire
quindi come perpetuo elemento clandestino di cospirazione all’interno
della società. L’ebreo è visto infine da Céline quale nemico
biologico, la cui attività frenetica sarebbe volta appunto ad
annientare la razza ariana. (p.88)
L
’antisemitismo celiniano, quale si configura istericamente nei
pamphlets, non è dunque un fenomeno occasionale ma bensì, secondo
Chesneau, un aspetto particolare di una paranoia[…] (p.89)
Il
nuovo studio di Smith ha ambizioni più vaste del precedente, si
propone di enucleare, attraverso un esame che si ferma tuttavia a Les
Beaux draps, non un tema dominante, ma la costellazione di motivi di
fondo che hanno alimentato l’ispirazione celiniana e che assicurano
un’unità al corpus degli scritti d’anteguerra[…].
Lo
studioso, ampiando le risultanze del suo primo lavoro, individua
nell’assenza di illusioni, nel senso di fallimento, nella follia e
nella morte, gli elementi ricorrenti nel mondo fantastico di Celine,
le stelle fisse della notte esistenziale dei suoi personaggi. L e
creature celiniane, simili fino alla monotonia, vivono infatti una
vita in cui ogni progetto, appena espresso, urta fatalmente contro
un’impossibilità di realizzazione che si può definire ontologica.
(pp.96-97)
La
condizione umana è sentita dall’artista come irrimediabilmente
condannata per cui anche gli scatti di rivolta vanno visti quali vani
sussulti minati dall’impotenza, che non approdano ad alcun esito.
La negazione di una qualunque provvidenza è accompagnata dal rifiuto
di una qualsiasi fede positiva nel progresso.(p.98)
U
n altro procedimento celiniano, volto a sovvertire la scala di valori
del lettore, a rispondere imprevedibilmente alle sue attese, è
quello di accostare in una serie, le cose, le enunciazioni verbali,
gli atti più eterogenei, per svuotare di valore quelli più
importanti collocandoli, fianco a fianco con altri banali o senza
significato. Ulteriore caratteristica della tecnica scrittoria
dell’autore di Rigodon è l’impiego del riso e del sarcasmo con
funzione critica, demistificante[…] (p.99)
IV
LE
ANALISI STILISTICHE p.101
Dopo
gli anni settanta, però, la consapevolezza della problematica
chiamata in causa da studi di questo tipo si è fatta assai più
viva. Ne è un esempio significativo la tesi di dottorato di Gunter
Holtus[…] (p.106)
Céline
così come la sua Weltanschauung. Egli coglie dunque i meccanismi di
produzione di certe connotazioni tipiche della prosa celiniana e
spiega, nel contempo, l’effetto prodotto dalla mescolanza di diversi
livelli linguistici e la risonanza simbolica di certi temi ossessivi,
che il sintomo rivelatore di certe « parole chiave » (nuit, mort,
larve, asticot, pourriture…) fa affiorare. […]
Di
qui appunto la creazione di una serie numerosa di personaggi
volutamente immersi in un’atmosfera di sottocultura, costretti entro
un invalicabile orizzonte dominato dalla primarietà delle funzioni
fisiologiche e dagli impulsi istintuali meno controllabili dalla
ragione.
Questi
personaggi asociali, maniaci o folli, che popolano il mondo
romanzesco celiniano, — alla frontiera tra il tragico e il
grottesco — parlano, vociferano, riempiendo le pagine di un fluire
ininterrotto di dialoghi-monologhi, di fitte cascate di esclamazioni.
Di insulti, di imprecazioni. (p.108)
Il
contributo di Guénot, L.-F. Céline damné par l’écriture[…]
Il
punto di partenza del saggio è il tentativo di trascrizione di
un’intervista con Céline registrata nel 1960. (p.108)
[…]l
’operazione suddetta — confrontando la trascrizione dello stile
orale di Céline con la prosa dei suoi romanzi — avrebbe potuto
aprire uno spiraglio sugli artifici che l ’artista ha messo in atto
per dare la sensazione del « parlato » a dei testi che non sono la
trascrizione diretta di un discorso orale. Si trattava insomma di
studiare i procedimenti di transposition che ricreano sulla pagina
certi effetti, con possibilità ben più limitate dal punto di vista
dell’espressione (assenza della gestualità, della mimica,
difficoltà del tradurre gli elementi fono-stilistici), di quelli a
disposizione di chi si esprime oralmente.
Il
progetto, senza dubbio interessante, non ci pare però abbia trovato
un’esecuzione esaustiva: i procedimenti attraverso i quali
l’artista riesce a provocare quel fenomeno di « devianza »
linguistica che « oralizza » lo scritto non sono posti in chiaro
come ci si sarebbe aspettati dalle premesse. (p.109)
A
giudizio di Guénot tali costruzioni sintattiche anomale, se si
prende come norma il francese letterario degli scrittori
contemporanei a Celine, costituirebbero, assai più del lessico
utilizzato, l’originalità maggiore del padre di Bardamu-Ferdinand.
La qual cosa non ci sembra del tutto vera in quanto anche la lingua,
come è stato già rilevato da Hanrez e da altri, presenta un
inconfondibile amalgama lessicale fatto di arcaismi, neologismi,
argotismi, vocaboli onomatopeici, parole o locuzioni straniere,
terminologie tecniche, cultismi, non riscontrabili in nessun’altra
opera contemporanea ma su cui però il critico non si sofferma.
Se
l’aspetto lessicale è lasciato in disparte, per contro, nelle
pagine conclusive del libro viene concesso ampio spazio al problema,
fin qui inesplorato, del valore dei silenzi nella prosa
celiniana.[…]
Ma
procediamo con ordine: il critico distingue preliminarmente due tipi
principali di silenzi. I primi, definiti silenzi di « ripresa »,
segnano una pausa nel periodo senza provocare rottura sintattica tra
quanto si colloca prima del silenzio e quanto lo segue; i silenzi di
« deriva » , invece, contrassegnati da tre punti di
sospensione[…] Questi ultimi indicano perciò un’interruzione
della frase iniziale che resta, per così dire, sospesa, mentre, dopo
la pausa, il sintagma che segue dà avvio ad un altro enunciato.
Anche
i gruppi articolati vengono suddivisi da Guénot in due categorie: i
« groupes créux » […] che collegano con funzioni di « deriva »
frasi tra loro sconnesse, oppure riallacciano parti coerenti del
periodo, e i « groupes pleins » che, al contrario, sono quelli dove
« le sens se manifeste conformément aux habitudes de la syntaxe de
la parole de façon continue: cohésion et cohérence coïncident ».
Sulla
base di questa suddivisione delle unità della parola celiniana —
unità che partono dal silenzio di « deriva », elemento zero della
comunicazione, per giungere ai gruppi pieni, densi di significato —
lo studioso distingue dunque, nella prosa di Céline, tre livelli
stilistici. (pp.111-112)
Albert
Chesneau, La langue sauvage de Louis-Ferdinand Céline[…] (p.114)
[…]
la presenza del tema basilare che dà impulso a tutta l’attività
scrittoria di Céline: il conflitto tra l’io e gli altri.
La
cosa, sempre a giudizio di Chesneau, che si avvale del parere di
colleghi medici dell’artista, potrebbe spiegarsi come lo sviluppo
di un « délire de persécution, de nature paranoïaque, né d’un
échec professionnel ». All’origine di tutto vi sarebbe dunque
un’avversione per la propria categoria professionale, avversione
che avrebbe successivamente scatenato nella psiche dell’artista uno
stato di conflittualità permanente di cui tutte le opere
porterebbero in filigrana il segno. (p.116)
Il
Voyage vien e così visto come la rivalsa letteraria di
un’insoddisfacente carriera medica; « la médecine, cette merde »,
[…]
La
tesi, per quanto suggestiva, non ci sembra però del tutto
convincente nella parte relativa all’interpretazione del primo
romanzo. N o n crediamo infatti si possa escludere che nel Voyage
manchi un sia pur semplicistico schema di lotta di classe, una
contrapposizione tra ricchi e poveri, tra sfruttatori e sfruttati; le
citazioni in questo senso che si potrebbero trarre dal romanzo sono
numerose. Appare altresì, ai nostri occhi, un amplificazione
arbitraria d i certi episodi del Voyage, centrati su figure di
medici, dedurre da essi che tutta l ’opera sia costruita su u n
’inconscio impulso di reazione ad un ipotizzato insuccesso
professionale dell’autore.
L’ipotesi
di un delirio di persecuzione originato da tale échec e
condizionante tutta l ’attività letteraria celiniana, per quanto
verosimile, non spiegherebbe però la tesi su Semmeliveis e l’Eglise,
scritte ambedue prima di esercitare la professione medica[…]
(p.117)
Una
delle caratteristiche che colpiscono il lettore attento è il
comportamento verbale del locutore nei romanzi celiniani. Questi fa
un uso aggressivo e sfrontato della lingua cercando sempre di
imporsi[…]. (p.119)
Incapace
di creare partendo da elementi che siano estranei alla sua esperienza
diretta, questi si muove dunque in un mondo che si può definire
autobiografico in quanto, nonostante gli interventi deformanti che vi
compie la sua fantasia, esso fa riferimento a persone, situazioni e
luoghi reali, collegati con i momenti della sua vita. L’universo
romanzesco celiniano si organizza quindi intorno ad un microcosmo
che, a seconda delle opere, fa capo a Bardamu, a Ferdinand, al dottor
Destouches, ovvero ad altrettante versioni « abbassate »,
involgarite, rese grottesche (con il procedimento esemplato su
Robinson) del medico-scrittore. […]
Questo
si esprime attraverso il ritorno delle stesse figure centrali da
un’opera all’altra, con il perdurare della medesima ossessione di
Parigi, con la ripetizione dello stesso schema dell’avventura
errabonda del protagonista.
[…]
Il
tessuto narrativo si dilata con l’accumulazione di sempre nuove
disgressioni che non fanno avanzare l’azione. (p.121)
In
tal modo la prospettiva iniziale (quella su cui era stato costruito
il Voyage) si è trasformata, l’avventura dei personaggi non è più
in primo piano, l’intreccio non costituisce più il filo
conduttore, il « radotage personnel » lo sovrasta, lo sconvolge e
riduce la narrazione a rompere l’unità della confessione per
colmare poi gli spazi in essa ricavati. […]
Di
qui la frequenza, nell’ordito del discours, di procedimenti di
ecolalia, di enumerazione e di accumulazione di sinonimi. […]
Gli
autres, da parte loro, hanno sempre nei confronti del locutore
reazioni diffidenti e ostili e tendono a non accettare la sua volontà
o la sua opinione. (p.122)
[…]
su queste due opposte forze di viol e di résistence si fonda la
dinamica del récit celiniano.[…]
Il
critico distingue, a livello linguistico, tre tipi di operazioni:
1)
la «dépossession par l’insulte »; 2 ) la «dépossession par la
redéfinition» del tipo: « je vais te dire qui tu es »; 3) la «
dépossession par la mutilation du nom».
L’esempio
più clamoroso del primo tipo di operazione sono senza dubbio i
pamphlets, nei quali l’io narrante alterna bordate di insulti contro
gli ebrei (eux) ad altre, non meno violente, contro Yallocutaire (il
lettore), nel tentativo di convincerlo a spezzare i legami secolari
con quei juifs che costituirebbero l’elemento inquinante della
comunità dei lettori ariani. (p.123)
Ora
un esame della bibliografia celiniana relativa agli anni 1938 -1943
mostra l’inesattezza di una simile tesi. L’impatto dei pamphlets
sull’opinione francese fu tuttaltro che limitato.
Solo
nel corso del 1938 a Bagatelles furono consacrate più di cinquanta
recensioni, note o articoli sui principali quotidiani o settimanali
del tempo, la maggior parte di quegli scritti è di tono favorevole.
Nel settembre dello stesso anno erano già state vendute ottantamila
copie del libro. Lina seconda e una terza edizione furono stampate
nel 1941 e nel 1943. Nella stagione 1938 -1939 videro la luce le
traduzioni italiana, polacca e tedesca. Non molto dissimile è il
caso di L’E cole des cadavres e di Les Beaux draps, ambedue ebbero
una riedizione nel 1942, L’Ecole fu tradotto subito in cèco. Gli
echi di stampa furono più ridotti in confronto a Bagatelles ma nel
complesso le recensioni positive sono la maggioranza. Nel constatare
il relativo minor successo dei due ultimi pamphlets bisogna però
tener conto che nel frattempo era scoppiata la guerra, che nel m
aggio del 1939 il Governo Daladier aveva ordinato il ritiro dalla
vendita dei libelli celiniani e che nella zona libera l’interdizione
rimase anche dopo l’occupazione tedesca della Francia del Nord.
Quanto
infine all’opinione che il tradizionale pubblico antisemita abbia
respinto i pamphlets è anch’essa lontana dal vero, basta scorrere
le presentazioni dei libelli usciti su «L’Action Française»,
«L’Emancipation Nationale», «Je Suis Partout», «Gringoire»,
«Au Pilori», «Les Cahiers Franco-Allem ands» , «Le Rouge et le
Noir», e leggere inoltre i nomi degli articolisti che hanno
recensito con maggiore o minore partecipazione tali scritti per
trovare, fra di essi, alcune delle più note firme del mondo non solo
giornalistico ma anche letterario del momento. Ci pare che questo
dimostri come il pubblico di Céline pole ista antisemita non fosse
né scarso né circoscritto agli « anarchistes semi-illettrés
d’extrême droite » secondo quanto sostiene Chesneau[…]
(pp.124-125)
Il
postulato sul quale si organizza tutto il delirio verbale dei
pamphlets, e che permette di capire il secondo processo di
esteriorizzazione, è che viviamo in un mondo di apparenze
ingannevoli, falsificato dalla subdola azione di occulte potenze «
giudaico-massonico-comuniste » che agirebbero su scala
internazionale ai fini di dominare economicamente e biologicamente
l’umanità intera. Il compito che lo scrittore si propone è quello
di mettere a nudo tutti i fenomeni di falsificazione, di corruzione,
di inquinamento, di « dénoncer le monde des apparences» e di
effettuare nel contempo un poderoso sforzo di ridefinizione totale
degli esseri e delle cose, per restituire ad essi le loro qualità
ontologiche. (p.126)
L’operazione
però viene realizzata non attraverso una dialettica argomentativa
che dimostri razionalmente la validità della Weltanschauung
dell’artista ma bensì grazie ad una serie di affermazioni
tassative quanto indimostrabili, collegate tra di loro
meccanicamente, applicando in modo rozzo, a problemi storici e
socio-economici, dei princìpi di equivalenza validi nel campo delle
scienze esatte. (p.127)
Il
meccanismo di transfert non si arresterà dopo la crisi antisemita,
continuerà a funzionare anche negli scritti successivi con lo stesso
automatismo paranoico. Céline proseguirà, sia pure in tono meno
violento, a volte addirittura su dei registri comico-ironici, la sua
« missione » di profeta apocalittico, additante immaginari pericoli
universali per la razza ariana; soltanto, non potendo più attaccare
direttamente gli ebrei, farà oggetto delle proprie invettive o dei
propri scherni i Russi, i Cinesi, gli Afro-asiatici. […]
L’ultima
operazione linguistica che Céline effettua […] ,[è] deformare o
mutilare un nome corrisponderebbe simbolicamente a colpire colui o la
cosa che lo porta. Il suo impiego da parte di Céline è assai
frequente e il critico si è divertito ad enumerarne gli esempi più
singolari[…] (p.128)
Dal
punto di vista stilistico queste deformazioni sono un chiaro indice
di derisione o di disprezzo ed assumono quindi anch’esse un valore
aggressivo, così come egualmente aggressivo è l ’uso che Céline
fa dell’argot. Il vocabolo argotico è portato ad assumere per lui un
effetto di minaccia, esprime violenza più che particolari
connotazioni oscene. (p.129)
Frédéric
Vitoux vuole appunto dimostrare come il mondo romanzesco celiniano
ruoti intorno al tema centrale della misere. Il critico attribuisce
tuttavia a quel termine un’ampia accezione che indica, ad un tempo,
la debolezza, anzi la nullità della condizione umana, come pure il
sentimento incombente della morte che ne è il corollario
peculiare.[…]
Miseria
intesa quindi quale limite tragico della condizione dell’esistenza,
nei cui confronti uomini e cose si definiscono e manifestano la
propria individualità. (p.130)
L’universo
romanzesco dei suoi primi racconti è dunque popolato « d’individus
qui cherchent par le biais du langage à échapper à la misère »:
che utilizzano la parole come mezzo di fuga piuttosto che impiegarla
come strumento di rivolta contro i privilegiati, i potenti, contro i
sistemi oppressivi e iniqui.[…]
Quanto
si è detto porta a concludere che qualunque sia l’uso della parole
in Céline, essa assume sempre una connotazione negativa; la parola
non può essere che un palliativo o un « allucinogeno » , poiché
essa permette solo di creare una fittizia realtà verbale e di
cancellare temporaneamente il presente ed il passato; ma essa non può
impedire che il dramma del momento e di sempre, il dramma di
esistere, il dramma della misère, prima o poi, si ripresenti alla
coscienza dei personaggi. Alla parola « maschera » si oppone quindi
so lo il silenzio, unico rivelatore di sentimenti profondi, di
autenticità. (p.131)
L’umanità
vi appare suddivisa in tre gruppi principali: da una parte i ricchi
che possiedono il mondo e di conseguenza l’uso della lingua
ufficiale, convenzionalmente accettata, esercitante la funzione di «
miroir sécurisant » per perpetuare il loro predominio fondato
sull’ingiustizia; e di contro, in posizione subordinata, ma su due
distinti livelli, i poveri silenziosi, che non osano contestare
direttamente i potenti e subiscono l’ingiustizia in silenzio — un
silenzio indice di consapevolezza oltre che di rassegnazione — ed
in fin e i poveri loquaci che, pur non avendo alcuna capacità di
modificare la propria sorte, di trasformare l’ordine delle cose in
loro favore, parlano illudendosi che la parola sostituisca la azione.
(p.132)
[…]
una gamma di sei usi della parola o del silenzio, diversamente
significativi. (p.133)
La
seconda parte dello studio è dedicata alla rilettura del Voyage e di
Mort à crédit per analizzarvi l’articolazione di queste sei
funzioni della parole e quindi il diverso comportamento dei
personaggi di fronte alla misere. (p.133)
Céline
attraverso la letteratura fugge dunque dalla realtà della vita, ma
solo “pour mieux la connaitre en la trasposant”; la letteratura
ha per lui un ptoere liberatorio che, con una certa audacia, potremmo
forse avvicinare all’effetto della morfina da lui somministrata con
tanta liberalità ai suoi pazienti. (p.137)
Sul
filo di questa ipotesi crediamo sia possibile spiegare anche le
ragioni dei ripetuti attacchi di Céline contro ogni forma di
presunta obiettività, di preteso realismo in arte. La letteratura
non deve affatto essere, per lo scrittore, riproduzione della realtà,
non deve nemmeno presumere di avere una funzione di intervento, una
capacità di incidenza su di essa: la letteratura è delirio
personale, soggettivo, che si vuole deformante, in quanto la realtà,
così com’è, non è sopportabile per Céline, ma va utilizzata
solo come « reattivo » che mette in moto il meccanismo
allucinatorio. (p.138)
Se
non esiste scrittura innocente, se ogni tipo di ideologia veicola con
sè un proprio modo di rappresentarsi, la scelta della scrittura
celiniana vuole essere contestazione dell’alta borghesia, dei ceti
dominanti, in uno dei luoghi privilegiati della loro
rappresentazione, nel linguaggio appunto.
Di
qui perciò lo sforzo costante di creare uno stile letterario che dia
l’impressione del « parlato », di un parlato sconnesso che
richiami, nella sua tipica spontaneità, il linguaggio quotidiano dei
poveri, degli incolti, delle vittime della miseria. Stile al quale lo
scrittore imprime, per di più, un tono delirante, un ritmo frenetico
che va ben oltre la mimesi dell’espressività popolare. (p.139)
V
PROPOSTE
PER NUOVE RICERCHE p.141
La
prima lacuna su cui desideriamo porre l’attenzione riguarda la
formazione culturale dello scrittore. I suoi scritti attestano, in
forma per lo più implicita, conoscenze assai estese che vanno ben
oltre quelle che è lecito supporre fossero le normali cognizioni
professionali di un medico generico tra le due guerre. Sono
abbastanza noti gli studi universitari a Rennes, e a Parigi, anche se
sarebbe forse utile conoscere con maggior precisione i programmi dei
corsi di alcune materie non strettamente professionali[…] (p.144)
per
i problemi di medicina sociale , non altrettanto note crediamo siano
invece le sue letture filosofiche, politiche, storiche e letterarie,
le sue conoscenze artistiche e musicali.
Gli
anni che vanno fino allo scoppio della seconda guerra mondiale
debbono essere stati, per il medico-scrittore, particolarmente
fecondi, non solo di esperienze esistenziali (pensiamo ai numerosi
viaggi internazionali della giovinezza ed all’intenso fervore della
sua vita parigina più tardi), ma anche di letture, soprattutto in
campo umanistico.
Le
tracce di questo arricchimento culturale sono evidenti, come si
accennava dianzi, negli scritti, dai pamphlets in avanti, nelle
interviste e soprattutto nella corrispondenza.
E’
tutt’altro che raro, ad esempio, imbattersi in riferimenti, anche
puntuali, a scrittori o pensatori tanto francesi quanto stranieri.
Non si trovano citati soltanto i grandi nomi dell’Olimpo
letterario, patrimonio comune di ogni persona colta, ma persino
quelli di figure assai meno note di umanisti, cronisti, eruditi,
familiari soltanto agli studiosi di cose letterarie. Di indubbia
utilità sarebbe quindi una ricerca che facesse il punto sulle […]
(p.145)
Una
ricerca che si applicasse a recensire gli scrittori e i pensatori da
lui citati ed i relativi giudizi che spesso li accompagnano
permetterebbe di farsi un’idea su certi atteggiamenti mentali, sui
gusti letterari, sul rapporto tra l ’artista stesso e la
letteratura, assai più esatta di quella che si può ricavare dalla
lettura di molte interviste volutamente rilasciate su toni
ironico-provocatori. (p.146)
L’ideologia
dell’autore di Bagatelles prende origine perciò, in maniera assai
chiara, dal pensiero del maggior teorico del razzismo. L’influenza
dell’Essai sur l’inégalité des races humaines appare
fondamentale. (p.148)
Philippe
Alméras […] sostiene, ad esempio, che anche il pensiero dello
storico dell’arte Elie Paure, col quale Céline ebbe rapporti
personali ed epistolari e di cui conosceva molto bene gli scritti, ha
avuto su di lui un in flusso notevole. (p.150)
La
divergenza sostanziale, tra il romanziere e lo storico, consiste,
ribadiamo, nel fatto che, mentre quest’ultimo ha concepito la
diversità razziale degli ebrei come un dato positivo e ne ha
descritto i risultati, nel campo scientifico ed artistico, con
ammirazione”, Céline ha invece interpretato tale presunta «
alterità » biologica con le più stravaganti connotazioni negative,
scendendo così dal razzismo, inteso come semplice valorizzazione
delle peculiarità spirituali di ogni razza ad un antisemitismo
che
presuppone, sul modello gobiniano, una gerarchia di razze e un
etnocentrismo privilegiante il ceppo ariano.
Queste
precisazioni però non ci fanno ancora allontanare definitivamente
dalle pagine di Alméras poiché esse indicano un’altra fonte
dell’ideologia razzista celiniana.
Il
critico riporta infatti un passo di una lettera dello scrittore ad un
giovane ammiratore nel quale si legge: « je ne veux pas me citer
mais lisez l’église, mon premier livre. Lisez aussi en anglais
Secret Societies de Webster. C’est un livre capital. Même vos
férus de livres négligent les véritables documents ». (p.153)
Non
ci pare infondato domandarsi, ad esempio, se Celine conoscesse
direttamente Lombroso, Georges Vacher de Graf Lapouge, Houston
Steward Chamberlain. (p.155)
[…]
l’opera filosofico-politica più nota di Houston Chamberlain, che
sviluppa anch’essa i principi gobiniani, può essere stata un altro
punto di riferimento importante per Celine. In essa, oltre alle ormai
scontate affermazioni sulla supremazia del mondo ariano, vi appare un
pronunciato antisemitismo basato sull’idea, ripresa appunto
dall’autore del Voyage, che l’ebreo introduca un elemento spurio
nella storia europea e tenda a falsificare la cultura dei popoli ai
quali si mescola senza assimilarsi. La traduzione inglese di
quest’opera, pubblicata a Londra nel 1911, potrebbe essere stata il
tramite che permise al romanziere (che soggiornò nella capitale
inglese durante il 1915) di conoscere il pensatore anglo-germanico.
(p.156)
Per
concludere questa parte ribadiamo che Céline riprende le tesi
tipiche della sua generazione al fine di giustificare il proprio
elitismo, frutto di un movimento psicologico di difesa dalla
pessimistica sensazione della decadenza della civiltà europea. In
tal m odo lo scrittore, ergendosi contro il mondo moderno crede di
far barriera contro la tecnologia e il consumismo dilaganti che
caratterizzano la nostra epoca ’decadente’. L’elitismo razzista
lo preserverebbe da quanto ai suoi occhi è simboleggiato
negativamente dalla routine democratico-borghese. La sua ribellione
lo porta ad esaltare l’irrazionalismo, la gratuità della danza e
nel contempo a sublimare il proprio orgoglio aristocratico di «
autentico celte»; dato che si considerava uno degli ultimi esempi di
una razza etnicamente intatta, al di qua della torre di Babele dei
popoli e delle culture imbastardite del suo tempo. (p.157)
Un
altro aspetto della narrativa celiniana che non ha ottenuto finora
l’attenzione che meriterebbe è quello della comicità. (p.157)
Céline
profeta della decadenza occidentale, Céline nemico dell’uomo come è
stato definito, è infatti anche l’autore di pagine d’una comicità
irresistibile, delle quali non è possibile non tener conto in sede
di valutazione complessiva della sua opera. (p.158)
L’abbassamento
della soglia ideologica del personaggio narrante (il fool, il
clochard), l’imprecazione, il linguaggio scatologico, tutte le
forme di parodia del mondo istituzionalizzato, sono altrettanti
elementi costitutivi della sua comicità che tendono appunto ad
affermare la forza di una tradizione ideologico-letteraria plebea,
alternativa a quella espressa dall’elocutio artifcialis dei chierici;
di una concezione della letteratura inaugurata, secondo Celine,
dall’Umanesimo. (p.161)
CÉLINE
E IL PUBBLICO
LO
SCRITTORE E I MASS MEDIA p.169
L’iniziativa
di maggior rilievo è costituita dalle trasmissioni radiofoniche e
televisive consacrate allo scrittore da quando cominciò ad
allentarsi la congiura di silenzio intorno al suo nome. Dal 1957 a
tutto il 1973 si contano in Francia una trentina di programmi
interamente o in parte dedicati allo scrittore, con presentazione
delle sue opere, retrospettive sull’artista, interviste,
testimonianze, dibattiti critici. (p.173)
Le
trasmissioni radiotelevisive hanno inoltre avuto un efficace appoggio
nella stampa quotidiana e settimanale che ha sempre suscitato
interesse, soprattutto dal 1957 in avanti, intorno alla figura e
all’opera di Celine, sia attraverso giudizi letterari o polemiche
ideologico-politiche, sia dando notizia di ogni avvenimento che, da
vicino o da lontano, riguardasse lo scrittore.
Alla
radiotelevisione e alla stampa si sono aggiunti realizzazioni e
progetti teatrali e cinematografici che hanno in altra forma
contribuito ad aumentare la risonanza dell’opera celiniana. (p.174)
L’idea
di portare un romanzo di Celine sul grande schermo risale ad un
periodo precedente, quando lo scrittore era ancora in vita.
Nell’estate del 1960 « Paris-Presse L’Intransigeant » informava
che Autan-Lara aveva in progetto di effettuare un adattamento
cinematografico del Voyage.[…]
E’
solo l ’inizio di una serie di tentativi sfortunati che si sono
protratti fino ai giorni nostri. (p.175)


APPENDICE


Scritti
di Céline sulla stampa collaborazionista (1941-1944)
Le
ragioni di questo comportamento reticente dello scritto re e di
alcuni suoi colleghi vanno ricondotte all’accusa di
collaborazionismo a suo tempo mossa a Céline e che queste lettere e
dichiarazioni, se conosciute nel loro complesso e nel loro tono,
avrebbero contribuito in modo determinante ad accreditare. Le
negligenze della critica si spiegano in primo luogo con la difficoltà
di documentarsi a proposito ed inoltre con il dato più generale che
gli studio si celiniani, dovendo operare fino a pochi anni or sono un
« ricupero contro corrente » del tutto giustificabile sul piano
letterario, avevano cercato di sfumare o quanto meno di non spingere
troppo avanti il discorso sugli eventuali atteggiamenti
collaborazionisti dello scrittore, per evitare che la condanna
politico-morale inflittagli continuasse a coinvolgere anche la sua
produzione artistica. (p.182)
È
ormai dimostrato che, contrariamente alle dichiarazioni di Céline e
di certi suoi amici, gli scritti indirizzati alla stampa parigina non
furono una “montatura2 dovuta al clima di epurazione ma esistono
realmente e in numero rilevante*, che la maggior parte di essi ha un
carattere socio-politico e presenta un tono ossessivamente antisemita
(viene così smentita anche l’affermazione celiniana di non aver più
trattato il problema ebraico dopo i primi pamphlets).
[…]non
mancano invece apprezzamenti favorevoli per la politica razzista e
anticomunista hitleriana.
Dalla
lettura di queste pagine si evince altresì che lo scrittore
intrattiene rapporti di cordialità, quando non di amicizia, con
personaggi quali Combelle, Costantini, Doriot e Lestandi, esponneti
notori di una politica di collaborazione franco-nazista e che questi
rapporti si estesero perfino a Deloncle, Montandon, Darquier de
Pellepoix […] che sono certo tra le figure più squallide di
quell’assai poco edificante milieu “politico-culturale” francese
schieratosi dalla parte delle forze occupanti. (p.184)
*A
tutt’oggi possiamo dire che Céline, dal 13 febbraio 1941 al 22
giugno 1944 ha fatto pubblicare o lasciato pubblicare 23 lettere,
risposto a 3 inchieste, concesso 3 interviste e firmato un manifesto.
Gli vengono attribuite infine 3 dichiarazioni. Di tutto questo
materiale noi abbiamo pubblicato le lettere […], le risposte alle
tre inchieste e la prefazione alla seconda edizione dell’Ecole des
cadavres. (p.184)
ELENCO DEI GIORNALI E DELLE RIVISTE CHE PUBBLICARONO SCRITTI DI CÉLINE DAL 1941 AL 1944 (p.259)
BIBLIOGRAFIA p.263
BIBLIOGRAFIA CRITICA GENERALE DAL 1970 AL 1974 p.265
INDICE DEI NOMI p.279
INDICE GENERALE p.285