LOUIS-FERDINAND CÉLINE – UN PROFETA DELL’APOCALISSE. SCRITTI, INTERVISTE, LETTERE E TESTIMONIANZE (A CURA DI ANDREA LOMBARDI)

LOUIS-FERDINAND CÉLINE – UN PROFETA DELL’APOCALISSE. SCRITTI, INTERVISTE, LETTERE E TESTIMONIANZE (A CURA DI ANDREA LOMBARDI)

BIETTI – Collana L’ARCHEOMETRO – 2018

In questo volume Andrea Lombardi propone al lettore, divisa in sei sezioni, una raccolta di saggi, testimonianze, interviste e scritti su e di Louis-Ferdinand Céline, nonché missive indirizzate dallo stesso a vari destinatari, corredando l’opera con immagini (in b/n fuori testo), una biografia, note e un dettagliato indice delle fonti…
Ogni singolo scritto presenta un’introduzione redatta dal curatore…
I testi, molti dei quali ancora inediti in Italia, arricchiscono e integrano quanto già inserito da Lombardi nei precedenti volumi da lui stesso curati (SAGGI INTERVISTE RICORDI E LETTERE, CÉLINE CI SCRIVE, CÉLINE IN FOTO e LA PRIMA VITA DI CÉLINE), dei quali vanno a costituire parte integrante…

FUMO DI LONDRA
Di Stenio Solinas p. 11

PREFAZIONE
Di Andrea Lombardi p. 19

BIOGRAFIA DI LOUIS-FERDINAND CÉLINE p. 21

UN PROFETA DELL’APOCALISSE p. 31

LOUIS DESTOUCHES IN INGHILTERRA
Di Georges Geoffroy p. 35

Quando parla di politica, Céline era come un profeta, mille metri al di sopra degli avvenimenti mondiali. (p. 37)
Céline, per me, era un uomo del Medio Evo o del Rinascimento ritornato sulla Terra, che mal sopportava il XX secolo. Era proprio un gran bel tipo. (p. 38)

LOUIS FERDINAND È UN MOSTRO
Di Gen Paul p. 39

LA VITA È PIÙ UN OSPEDALE CHE UN BACCANALE
Di Colette Destouches-Turpin p. 44

Scriveva soprattutto la notte, dormiva pochissimo. Il muro era completamente pieno di scritte, parole, frasi annotate… […]
Era molto anarchico, non aveva un ordine preciso. Mio padre scriveva tutto ciò che gli passava per la testa, ma riusciva sempre a ritrovare il filo… […]
Avevo difficoltà a prender sonno con la luce accesa. Ma, soprattutto, parlava da solo e a voce molto alta, si alzava, andava in giro parlando ancor più forte. Mi spettavano tutti i personaggi, che sfilavano innanzi a me e che speravo morissero presto. La notte era molto lunga… Parlava da solo anche durante la giornata e mi ascoltava distrattamente con un sorriso gentile. L’ho anche sentito ridere di quel che aveva appena detto a se stesso. (p. 45)
Era più pessimista, più cupo. Elizabeth era partita e mio padre ne aveva fatto una malattia. (p. 46)

CÉLINE MEDICO
Di Robert Debré e Sylvain Malouvier p. 48

Mi sembra anche si ingozzasse, mangiando… (p. 49)

IN VIAGGIO AL TERMINE DELLA NOTTE CON CÉLINE
Di Erika Irrgang p. 50

NON L’AVREI MAI PIÙ LASCIATO
Di Lucette Almanzor p. 52
[…]Era triste, sognante. (p. 53)

NEL PAESE DEI SOVIET
Di Lucie Mazauric p. 54

UN DELICATO CHE RIFIUTAVA DI FARSI FREGARE
Di Frédéric Empaytaz p. 56

Nella vita di tutti i giorni, Céline mi appariva un delicato che la durezza dei tempi aveva ferito. Un delicato che rifiutava di farsi fregare. (p. 58)

LA LUCIDITÀ DEL NOSTRO ORRORE
Di Pierre Duvergere p. 60

Adesso è la guerra civile tra i Bianchi. Dopo, sarà la guerra tra razze… quella vera, quella definitiva. […]
“La rivoluzione, Duverger” ripeteva, “la vediamo compiersi ogni giorno. La sola, la vera è il bracciante negro che si monta la piccola servetta bretone. Tra qualche generazione, la Francia sarà completamente meticciata e le nostre parole non vorranno più dire nulla. Che ci piaccia o no, l’uomo bianco è morto a Stalingrado. (p. 61)

CÉLINE NON CI AMAVA
Di Karl Epting p. 63

BANINE, CÉLINE, MERLINE
Di Ernst Junger p. 72

LE ULTIME PAROLE SU CÉLINE
Di Robert Brasillach p. 76

L’AMICO SS DI CÉLINE
Di Hermann Bickler p. 79

PER CÉLINE, AVRÒ SEMPRE VENT’ANNI
Di Maud de Belleroche p. 83

A SIGMARINGEN
Di Abel Bonnard p. 88

DA UN CÉLINE ALL’ALTRO
Di Lucien Rebatet p. 91

IL MEDICO DI MEUDON
Del dottor R. B. p. 98

NOI RIMARREMO
Di Arno Breker p. 100

RIGODON
Di Lucette Almanzor p. 102

LE DONNE NON HANNO NIENTE DA DIRE SU CÉLINE
Di Arletty p. 107

IL FUNERALE DI CÉLINE
Di Lucien Rebatet p. 109

LOUIS-FERDINAND CÉLINE: INTERVISTE p. 111

A LEZIONE DA CÉLINE p. 113

1 – UN VISIONNAIRE GÉNIAL VOUS PARLE: CÉLINE!

Per me è l’emozione del linguaggio parlato attraverso lo scritto.[…]
Vediamo romanzi che non stanno in piedi… Non ha senso! Ciarlatanismo! La pubblicità prima di tutto! E ora la critica si è messa direttamente con i ciarlatani… E con molta applicazione…
C’è gente che sa comportarsi, che è decorosa insomma… L’uomo a posto è quello che non dice niente… così non dicono niente… Ma lo dicono, quel niente, con una fraseologia! È talmente complicato! Allora si parla di buon senso… A me, no, questa roba non interessa… […]
La grande ispiratrice è la morte! Se non mettete la vostra pelle sul tavolo, è pura tiritera… Bisogna rischiare qualcosa… Non raccontare quello che ha fatto un altro… (p. 115)

2 – INCONTRI CON J. GUÉNOT E J. D’ARRIBEHAUDE p. 116

Saranno abbrutiti sin dall’infanzia… E via, di peggio in peggio, l’alcol, l’automobile, la televisione, i quotidiani, i settimanali… (p. 116)

3 – INTERVISTA DI L. LE CUNFF

Ma per chi fa dello stile, non c’è pubblico! Non si smuovono certo le folle con lo stile… (p. 117)

5 – INTERVISTA DI A. PARINAUD

In letteratura come in tutto il resto, siamo impestati di pubblicità. È veramente ignobile. Lo scrittore non deve far altro che lavorare, e poi tacere. (pp. 117-118)

6 – PENSATE D’AVER TALENTO DI SCRITTORE?

I gaudenti non hanno bisogno di scrivere. Chiedetelo un po’ a uno scrittore! Si scrive perché si è infelici. Il vostro mondo divora tutto il resto. Siete soli. E sostenuti dallo stile. (p. 118)

9 – INTERVISTA DI J. IZOARD

Mi piacciono molto i poeti. È roba bella, almeno, roba fine! Non è per la gente. Oggi la gente è pesante, abbrutita. Non fa altro che bere. Dei mucchi di budella, sì, di budella!!! La trippa fa andare avanti il mondo… (p. 119)

IN PRINCIPIO ERA L’EMOZIONE p. 120

il piccolo spazio lasciato agli scrittori dopo la formidabile irruzione del cinema, della televisione, della radio, tutte queste belle invenzioni, è evidente che non ne resta molto per l’emotività, non resta altro che l’emotività per lo scrittore, credo. (p. 134)

Ma è evidente, no?, che sono destinato ad essere sputato, vilipeso, sporcato, mortificato e se possibile fucilato sino alla fine dei miei giorni. (p. 139)

MI SI UCCIDE PERCHÉ SONO RAFFINATO! p. 143

Significa che mi sono lanciato nella scrittura di libri senza volere ottenere una qualsivoglia notorietà. Pensavo più semplicemente di trarne un onesto beneficio, pagarmi un appartamentino di cui all’epoca avevo parecchio bisogno, e poi le cose sono andate così… la mia vita di medico, di semplice dottore, è diventata impossibile[…] (p. 143)
Vedo, in questa marea di invettive, gente che beve, mangia, dorme, insomma, funzioni umane tutte piuttosto volgari e, direi, pesanti. (p. 147)
C’è ben poca leggerezza nell’uomo. È pesante, no? Ora, poi, è straordinario in pesantezza. A partire dalle auto, l’alcol, l’ambizione, la politica lo rendono pesante, sempre più pesante. Tutto quel che fa è estremamente pesante. (pp. 147-148)
Pesano, sono infermi. La pesantezza li rende infermi. Non ci si può fidar di loro, sono pronti a tutto. Oh sì, a tutto. Pronti a uccidere. Per risvegliare la pesantezza bevono, e quando bevono diventano come magli. È spaventoso, magli senza controllo. Aumentano il loro peso, invece di rendersi leggeri. Ah, non sono dalla parte di Ariele. Sono sempre più Calibani. Sempre di più… (p. 148)

CÉLINE IN VINILE p. 149

[…]Insomma, ecco, per dirla tutta, guardo i romanzi dei miei contemporanei e mi dico: “C’è, sì, traccia di lavoro, ma è un lavoro inutile”. Ecco cosa penso. Perché loro non sono all’altezza dei tempi, né nel tono dei tempi. (p. 150)
Bene, io dico che quel che si fa sono romanzi inutili, perché ciò che conta è lo stile, e allo stile nessuno vuole piegarsi. Richiede un enorme lavoro, e alla gente non piace il lavoro, non vivono per lavorare, vivono per godere della vita, e ‘sta cosa richiede un enorme lavoro molto, nevvero. (p. 151)
“In principio era il Verbo”. No! In principio era l’emozione. Il Verbo è arrivato dopo a rimpiazzare l’emozione, come il trotto rimpiazza il galoppo, nevvero, mentre la legge naturale del cavallo è il galoppo, non il trotto; gli si fa prendere il trotto. […]
Lo stile, diamine, tutti ci si bloccano davanti, nessuno ci si mette su ‘sta cosa. Perché è un lavoraccio. Consiste nel prendere delle frasi, come dicevo, e scardinarle. Oppure, un’altra immagine: se lei prende un bastone e vuole farlo apparire dritto nell’acqua, deve prima curvarlo, perché la rifrazione fa sì che se io metto il mio bastone nell’acqua, quello sembrerà rotto. Devi spezzarlo prima di immergerlo. È tutto un lavoro, un vero lavoro. È il vero lavoro dello stilista, e questo è molto difficile. […]
Ma no! Io non scrivo con facilità! Solo con molta fatica! E, in più, scrivere m’abbacchia. Richiede molta, molta fatica. È veramente dura. (p. 153)

VIAGGIO IN FONDO ALL’ODIO p. 157

Come definirebbe ciò che ha inventato?
Una musica, una musichetta calata nello stile e basta. Tutto qui. La trama, diobono, è una roba secondaria. È lo stile che conta. (p. 158)
È ‘sta roba a interessare il pubblico… Vuole la macchina, gli alcoli e le ferie, il pubblico. Siamo campioni del mondo d’alcolismo, 1.200 miliardi l’anno in bevute. Mica possibile andare oltre. Siamo a ‘sti livelli. E poi, la macchina!… Ogni francese presto ne avrà una. E il cinema a completare l’opera. S’impara a vivere, al cinema. E i vostri giornali, poi, a dare istruzioni sulla vita. Oggi si va mica a leggere Balzac per sapere chi è un avato o un medico condotto. Stanno nei vostri giornali, nelle riviste, al cinema! E allora chissenefrega d’un libro?… Una volta s’imparava a vivere, da un libro. Perciò impedivano alle ragazze di leggere i romanzi. Mariti che sorvegliavano le letture delle mogli… (p. 159)

Per chi scrive lei?
Scrivo mica per qualcuno. L’ultimo pensiero, una simile bassezza! Si scrive per la cosa in sé.

Lei comunque si rivolge ai lettori. Parla con loro, dialoga, si scusa se li ha dimenticati…
È un trucco. Io li disprezzo. Quel che pensano e che non pensano!… Sei bell’e fregato dal lettore, dai lettori, se ti preoccupi di quel che pensano, stai fresco!… No, c’è mica bisogno. Se leggono, bene; se no, tanto peggio per loro! (p. 161)

Lei si definisce pacifista, antimilitarista?
Contro la guerra da capo a piedi, io che l’ho fatta. (p. 167)

[…]
C’è mica più, l’ordine. Uomini sinceri e donne oneste. l’ordine.
[…]
Lei crede che tutto finirà con la catastrofe atomica?
Mica ce n’è bisogno. I cinesi non hanno che da avanzare, armi in spalla. Hanno dalla loro l’idra viva, la natalità. Scomparirà lei, la razza bianca… Chiunque scompare, antropologicamente, in un mondo di gialli. Tutto vero! Il biancospino delle razze, il giallo. Fluorescenze pure, gli altri. Il fondo resta giallo. Mica è un colore, il bianco, ma un fondotinta! È il giallo il colore vero… Il giallo ha tutte le qualità per diventare il re della Terra… (p. 169)

L’alcolismo, prima di tutto. 1200 miliardi di alcolici si bevono in Francia, ogni anno… Delle gran belle spugne! Le so bene le virtù alcoliche, illusione di potenza… pericolosissima… illusione di forza…. Parole e pretese a vanvera. Poi il fumo. Settecento miliardi l’anno. Ti dà sensazioni falsoprofetiche e falsoprofonde, il fumo e pure false idee. Per quanto mi riguarda, darei retta solo a uno che beve acqua! E che non è sempre lì a ruttare e digerire!… MA non c’è famiglia senza pappata di mezzogiorno. Pigliano a mangiare, bere aperitivi, masticare, poi ruttano, si gonfiano, scorreggiano, che mucchio d’affari è la digestione… Un uomo d’astinenza ferrea, lui, ha solo due ore buone al giorno. È già tanto! (p. 171)

SERVIVA UN POVERO CHE PUZZASSE. ECCOMI QUI p. 174

Torniamo alla televisione. È utile alla gente che non esce mai – mia moglie, ad esempio. Ho una stanza, la primo piano, ma non ci salgo mai. È un prodigioso mezzo di propaganda. È anche, ahimé!, un elemento di abbrutimento, nel senso che la gente si fida di quel che le si mostra. Non immagina più. Vede. Perde la capacità di giudizio e si presta gentilmente alla fannulloneria.
La TV è pericolosa per gli uomini. l’alcolismo, le chiacchiere e la politica ne fanno già dei bruti. Era proprio necessario aggiungerci qualcos’altro?
[…]
No. nessuno potrà impedire l’avanzata della TV. Cambierà tutti i modi di ragionare. È uno strumento ideale per la massa. Rimpiazza tutto, elimina lo sforzo, assicura gran tranquillità ai genitori. I bambini si appassionano a questo fenomeno.
C’è un dramma oggi: si pensa senza sforza. (p. 175)
Mi rifiuti di credere sia istruttiva. Voltaire diceva: “Chi legge senza la matita in mano dorme”. In TV è peggio. (p. 176)
Esattamente come la letteratura, la televisione ha bisogno di uno stile. (p. 177)

LA GRANDE ISPIRATRICE È LA MORTE p. 179

Mi interessano solo gli scrittori che hanno uno stile; se non ne hanno uno, non mi interessano. Ed è raro, lo stile, raro. Ma di storie è piena la strada: tutto è pieno di storie, ne sono pieni i commissari, i tribunali, la vostra vita. Tutti hanno una storia, mille storie. (p. 184)
Uno stile? Ah!, sissignore. Ce ne sono uno, due o tre per generazione. Ci sono migliaia di scrittori, ma sono poveri pasticcioni… nelle loro frasi borbottano, ripetono ciò che ha già detto qualcun altro. Scelgono una storia, una buona storia, e la raccontano. Per me non è per nulla interessante. Ho smesso di essere uno scrittore per diventare un cronista. Ho messo la mia pelle in gioco, perché, non dimenticatelo, la grande ispiratrice è la morte. Se non mettete la vostra pelle sul tavolo, non avete nulla. Si deve pagare! Quello che è fatto senza pagare non conta nulla, vale meno di nulla.
[…]
No, non ci credo per nulla, no, no, non ci credo per nulla, no, no, no, no, non credo per nulla in Dio. (p. 185)

Per esempio, se vede incidenti appena accaduti, non pensi siano tutti involontari. Dietro c’è qualcosa di perverso, ci sono persone che si lanciano davvero contro un albero. (pp. 186-187)

ERANO PESANTI p. 188

Proust si occupava della bella gente, io mi sono occupato della gente che mi capitava sotto gli occhi, che potevo osservare. Ho descritto le loro piccole storie con uno stile che, a quanto pare, è il mio. (p. 189)

Forse me la sono presa con una setta che non era poi così riprovevole come pensavo, può darsi… ma resta ancora da dimostrarlo, e a questo penserà la storia.

Diciamolo chiaro e tondo, lei era antisemita
Esattamente. Nella misura in cui credevo che i semiti ci spingessero alla guerra. Tolto questo, non ho evidentemente niente – nessun motivo di ostilità verso i semiti; non ce n’è ragione. Ma fintanto che costituivano una setta, come i Templari o i Giansenisti, ero categorico quanto Luigi XIV. (p. 192)
Non ho niente di cui pentirmi, proprio niente. Non sono mai stato un sostenitore di chicchessia. Sostenevo l’esercito tedesco perché manteneva la pace in Europa, in Francia in particolare, e le permetteva di conservare le colonie. Questo è tutto. Che mi dimostrino il contrario. (p. 195)

Bevo acqua da sempre. Non fumo. l’ascetismo mi viene naturale. E, tuttavia, Dio sa se non ho vissuta la mia vita in mezzo a tutto quel che si può immaginare. Ma sono un voyeur, non un esibizionista. Ci sono due tipi di uomini, in fondo: i voyeur e gli esibizionisti. Io sono un voyeur. Mi contento di guardare. Non consumo.[…]
Non mi costerà poi molto, andarmene. Me ne andrò. Farò compagnia a quelli che sono morti. Fine. (p. 198)

“Erano pesanti”. Ecco quel che penso. Gli uomini, in generale, sono orribilmente pesanti. Pesanti e ottusi, ecco quel che sono. Peggio ancora che cattivi, e per di più stupidi… ma, soprattutto, pesanti e ottusi. (p. 199)

L’OCCIDENTE È CONSUMATO DALLE GUERRE, DALLE CHIACCHIERE, DALL’ALCOL p. 200

Si occupano di questioni volgarmente alimentari o aperitive; bevono, fumano, mangiano, sono usciti dalla vita – per la vita. Digeriscono. La digestione è un atto molto complicato (di cui conosco il meccanismo) che li assorbe completamente: il loro cervello, il loro corpo… Non hanno più niente, hanno solo la pelle. […]
Sono laide, penose da vedere! Sono orribili in tutti i Paesi, del resto. […]
Gli uomini li vedo totalmente assorbiti da funzioni bassamente digestive. È l’istinto di conservazione (ci sono due istinti nell’uomo: la conservazione e la riproduzione). Si abbuffano dieci volte più del necessario, bevono dieci volte di più di quanto dovrebbero; non sono altro che apparecchi digerenti. A fatica potrà trovare un essere la fondo di questa zuppa alcolica e fumosa. Ma non è interessante. Abbiamo a che fare con mostri. […]
Assolutamente. Che si tratti di francesi, negri, gialli o rossi, è l’istinto di conservazione a dominarli. (p. 201)

L’Occidente è consumato dalle guerre, dalle chiacchiere, dall’alcol. Da quando hanno piantato la prima vigna, quattro o cinque secoli prima di Cristo, si può dire che la storia d’Europa sia finita. Prima dei druidi! Non c’è più storia. […]

Quale popolo o la serie di popoli che farà la storia?
Sarà difficile. Credo toccherà a quel popolo che saprà astenersi dal bere e dal mangiare. Saranno gli asceti. Ma non vedo nessun asceta in questo momento.

Se si cercasse di allevare dei maiali come si allevano gli uomini, nessuno li comprerebbe: dei maiali alcolizzati! Non veniamo allevati peggio dei maiali, peggio dei cani, delle anatre, dei polli. Nessuna specie vivente sopravviverebbe al regime seguito dagli umani. (p. 203)

Ti amo: parole abominevoli, che, per quanto mi riguarda, non ho mai adoperato, perché una cosa così non si può esprimere, la si sente e basta. Un po’ di pudore non guasta. Queste cose esistono, ma si dicono una volta all’anno, al secolo. Non tutti i giorni, come nelle canzonette. (p. 204)

Lei considera dunque il coito come l’atto supremo, il compimento dell’amore?
L’amore è un modo di dire: c’è l’atto della riproduzione. Non ha storia, ci è stato dato. Il coito è n premio che la natura dà per la riproduzione: dà al brav’uomo un orgasmo di qualche secondo che lo mette in comunicazione con lei. Alla brava donna niente, non è importante. (p. 205)

[…]in tutte le sue opere si capisce che per lei la morte è un problema molto importante.
È il principale problema dell’uomo. (p. 206)

CÉLINE E LA GUERRA DEL ‘14 p. 208

PAESI DOVE MAI NESSUNO VA p. 210

Bisogna mangiare bene, bere bene, allora i giorni passano in fretta, no? Se lei mangia bene, beve bene, gira in macchina, legge qualche giornale, ebbene, la giornata passa in fretta, vede… Legge il suo giornale, riceve, prende il suo caffè con panna la mattina, ebbene, la giornata passa in fretta, vede… Legge il suo giornale, riceve, prende il suo caffè con panna la mattina, ebbene, mio Dio, l’ora di pranzo arriva presto, dopo una piccola passeggiata, eh? E poi, be’, dopo pranzo va a trovare qualche amico… la giornata passa, insomma. Giunge la sera, sdraiarsi a letto, normale, e a nanna. (p. 219)

Se fosse redditiere, come impiegherebbe il suo tempo?
Leggerei il giornale. Andrei a fare una passeggiata in posti dove non c’è nessuno.
[…]
Quel che mi interessa è essere ignorato completamento. Ho un gusto… un gusto animale, per lo starmene in disparte… (p. 220)

L’UOMO BIANCO APPARTIENE AL PASSATO p. 222

“Camus!” ripeté, stupito. “È una nullità… un moralista… sempre a dire agli altri cos’è giusto e cos’è sbagliato… cosa dovrebbero fare e cosa non dovrebbero fare…
[…]
È l’unica cosa per cui scrivere… Chissà quanti hanno cercato di copiare il mio stile… ma non possono. […]
questo è tutto quel che ho, solo stile, nient’altro. Non ci sono messaggi nei miei libri, quello spetta alla Chiesa! (p. 227)

È così grasso – mangia troppo, beve troppo… attori, ecco cosa sono tutti! Alla gente interessano le assicurazioni e il divertimento – tutto qui. Sesso! Ecco dov’è la lotta… ognuno vuole mangiare l’altro… Ecco perché hanno paura del Negro. È forte! È pieno di energia! Prevarrà. Ecco perché ne hanno paura… è il suo momento, ce ne sono troppi… mostra i muscoli… l’uomo bianco ha paura… è molle. È stato in cima per troppo tempo… la puzza ha raggiunto il tetto, e il Negro la sente, la odora, e sta in attesa della vittoria… non ci vorrà ancora molto. È il tempo del colore giallo… il nero e il bianco si mischieranno e il giallo dominerà, ecco. È un dato di fatto biologico: quando bianco e nero si mischiano, il giallo ne esce più forte, questa è l’unica cosa… tra duecento anni qualcuno guarderà la statua di un uomo bianco e si chiederà se una cosa così strana sia esistita realmente… e qualcuno risponderà: “ Mano, deve essere stata ridipinta”. (pp. 227-228)
L’uomo bianco appartiene al passato… è già finito, estinto! È il turno di qualcosa di nuovo. (p. 228)

LOUIS-FERDINAND CÉLINE: SCRITTI p. 231

SI HANNO I PADRONI CHE SI MERITANO p. 233

Dormire, mangiare, cercare il piacere supremo e divino in meno di un istante: ecco quel che ci ossessiona! (p. 234)
Nella calma ipocrita e banale in cui sfumano giorni e anni, non trascorrono che le nostre piccole cose, inscritte senza gioia nella trama dei tempi. […]
Vedere significa essere ingannati, i nostri sguardi e i nostri sensi sono sommersi dall’abbagliante magia d’innumerevoli illusioni. (p. 235)

LA MEDICINA DA FORD p. 238
Si sa che il lavoro degli operai alla Ford si trova ridotto per via della meccanizzazione degli stabilimenti spinte all’estremo, ad alcuni gesti, sempre gli stessi, ripetuti davanti a una macchina, un numero prestabilito, e pressappoco invariabile di volte al giorno. La macchina prende così rapidamente molta più importanza dell’uomo nella produzione. (p. 239)

1. L’UTILIZZO DEGLI SCARTI UMANI

[…] alla Ford chiunque può rimpiazzare qualsiasi altro operaio in qualsiasi lavoro, immediatamente, senza che ne derivi, o quasi, una diminuzione nel numero dei pezzi fabbricati a fine giornata.
Ford si è dato per regola di impiegare chiunque nelle sue fabbriche, e questa condizione è esattamente applicata. Abbiamo visto procedere al reclutamento: sono i postulanti più disgraziati fisicamente e psichicamente che sono i più apprezzati dalla direzione della fabbrica. Ford s’è inoltre impegnato a pagare ognuno di questi semi-inutili, subito, almeno sei dollari al giorno, e mantiene anche questa promessa.
In un importante libro sul “problema operaio negli Stati Uniti, André Philip, professore alla Facoltà di Diritto a Lione, ci mette al corrente nel dettaglio di questa ricerca e di questa simpatia generale della direzione industriale americana per gli operai tarati fisicamente e mentalmente, e anche in certi casi palesemente imbecilli. Sembra evidente dopo l’esperienza padronale americana che questi
costituiscono una mano d’opera stabile e che si rassegna meglio di un’altra più sveglia, al ruolo estremamente limitato che gli è riservato nell’industria moderna. (p. 240)

4. IL COMPITO DEL SERVIZIO SOCIALE

Mai licenziamenti, questo è
l’ordine: i capi reparto finiscono per comprendere che devono far uso
di tutti e di chiunque, che non esistono per così dire incapaci
assoluti.
È dunque una nuova
mentalità industriale che s’introduce in questo strano stabilimento,
strano in confronto almeno alle nostre concezioni europee.

5 – NIENTE ASSICURAZIONE

Non esiste assicurazione sanitaria alla Ford.[…]
E poi, non si capisce bene di quale malattia cronica potrebbe essere malato un operaio da non poter lavorare alla Ford. (p. 244)
Non si parla di assicurazione di vecchiaia alla Ford, senza dubbio per due ragioni: la prima è che la vecchiaia non è un fattore d’invalidità, come abbiamo visto, in una fabbrica ben standardizzata; la seconda è che, in tutti i paesi del mondo, gli operai non arrivano alla vecchiaia. (p. 245)

6. IL PUNTO DI VISTA DEL MEDICO FRANCESE

Per quel che ne sappiamo, in Francia non siamo ancora giunti a questo grado di meccanizzazione industriale. […]
Tuttavia, sarebbe senza dubbio possibile studiare seriamente, da ora, le eventuali modalità d’impiego di certi malati cronici nell’industria… Per quel che concerne la Francia, l’utilizzo di questa manodopera potrebbe essere più razionale, umanamente meno indifferente, e forse combinarsi con una sorveglianza medica e un trattamento corretto per ogni categoria di malato cronico. (p. 247)

8 – SOLO I RISULTATI CONTANO

Se abbiamo parlato
delle possibilità nuove dell’igiene sociale e di miglioramento della
sanità pubblica per mezzo dell’industria moderna, meccanizzata al
massimo, è che ci sembra una delle rare possibilità di uscire dalla
situazione un po’ ridicola nella quale ci troviamo. […]
Per quel che
concerne “loro”, cosa si è fatto per migliorare le
condizioni di alloggio? Nulla.[…]
Abbiamo citato
l’esempio di Ford a sostegno della nostra tesi, perché si presenta
come il più probante dal punto di vista dell’utilizzo possibile
delle di malati cronici e invalidi. (p. 249)

Se si generalizzasse nell’industria e nel commercio, un migliore utilizzo degli operai, dei malati cronici, più accurato che alla Ford, permetterebbe di alleviare di molto la spesa delle assicurazioni sociali di domani. (p. 250)
La nuova igiene
sociale così basata sull’industria o, almeno, per cominciare, su
certe industrie, non si presenta come un’esperienza di filosofia
sociale benevola, ma come un Taylorismo ingrandito, come un tentativo
di risparmio totale dell’immenso spreco che costituiscono le malattie
umane nella società e in fabbrica quando queste malattie non sono
affatto analizzate, economicamente, dal punto di vista del lavoro. (p. 251)

DUE CANZONI p. 252

ALL’AGITATO IN PROVETTA. CONTRO SARTRE p. 258

Decenza! Oh! Non voglio alcun male al piccolo J.-B.S.! Che osa scrivere: “Se Céline ha sostenuto le tesi socialiste dei nazisti, è perché era pagato”. Testuale. Olà! Ecco quel che scriveva questo stercorario mentre ero in prigione, ad un passo dalla forza. Maledetta piccola lordura piena di merda, tu mi esci dalle chiappe per sporcarmi tutt’intorno! Ano, Caino, pfui. Cosa vuoi!? Che mi assassini! È chiaro! Qui! Che ti faccio a pezzi! Sì!… Lo vedo in foto, questi grossi occhi… questo uncino… quella ventosa bavosa… è un cestode! Che s’inventerà, il mostro, perché mi si assassini! A stento uscito dalla mia cacca, eccolo che mi denuncia! (p. 259)
Stando ai rotocalchi, il J.-B.S. non si vede ormai più che nei panni del genio. Ma, visiti i suoi stessi scritti, io sono costretto a vederlo solo nei panni dell’assassino, o meglio ancora di un marcio delatore, maledetto, laido, merdoso servente, mulo occhialuto.
Ecco, mi sto agitando! Non me lo posso più permettere, l’età, la salute… la chiuderei qui… disgustato, ecco… ma, ripensandoci… assassino e geniale!? Può darsi… dopotutto… ma sarà il caso di Sartre? Assassino lo è o vorrebbe esserlo, questo è inteso, ma… geniale? Questo piccolo stronzo attaccato al mio culo, geniale? […]
sembra che, in bicicletta, abbia anche liberato Parigi. (p. 160)
Perché allora non improvvisare tre piccoli atti, alla svelta, sula tamburo, sull’unghia, Les Mouchards, i Delatori?
Una rivistina retrospettiva… dove vi si vedrà di persona, con i vostri compagnucci, impegnati a inviare i vostri detestati colleghi, detti Collaboratori, al bagno penale, alla fucilazione, in esilio.
Sarà abbastanza buffo?
Voi stesso, chiaramente, grazie alla vostra sceneggiatura, avrete il ruolo di protagonista… tenia sghignazzante e filosofa… (p. 262)

L’ARGOT È NATO DALL’ODIO p. 264

No, l’argot non si fa con un glossario, ma con immagini nate dall’odio, è l’odio che fa l’argot. L’argot è fatto per esprimere i veri sentimenti della miseria. (p. 264)
Ma l’argot oggigiorno non è più sincero, non resiste nello studio del giudice istruttore. […]
Oggigiorno è rimasto solo l’argot dei bar a uso delle mezzeseghe per sbalordire le donnette, e l’argot pronunciato con l’accento inglese di moda nel XVI° secolo. […]
Niente di costruito. Ascoltate la brava gente dal droghiere, dopo l’assassinio che ha appena letto sul giornale: butta giù qualche parolaccia e poi, finito, non si può andare più lontano. (p. 265)

RABELAIS HA FATTO CILECCA p. 266

In verità Rabelais ha fatto cilecca. Si, ha fatto cilecca. Non ce l’ha fatta.
Quel che voleva fare, era un linguaggio per tutti, uno vero. Voleva democratizzare la lingua, una vera battaglia. La Sorbona, era contro, i dottori e tutto. Tutto quello che era acquisito e stabilito, il re, la Chiesa, lo stile, gli erano contro.
Non, non è lui che ha vinto. È Amyot, il traduttore di Plutarco: lui ha avuto, nei secoli seguenti, molto più successo di Rabelais. È su lui, sulla sua lingua, che si vive ancora oggi. Rabelais aveva voluto far passare la lingua parlata nella lingua scritta: un fallimento. Mentre Amyot, la gente ora vuole sempre e ancora Amyot, stile accademico. (p. 266)
Si crea una cloaca di verbi che filano bene, frasi ben condotte, con piccole astuzie innocenti alla fine dell’articolo. Non pericolose, né troppo forti, per non spaventare il pubblico. E questo è il fallimento di Rabelais, l’eredità di Amyot. Della vera m…., aggiungo.
Rabelais ha voluto veramente una lingua straordinaria e ricca. Ma gli altri, tutti, l’hanno castrata, questa lingua, fino a renderla piatta. Così, oggi, scrivere bene è scrivere come Amyot, ma questa è solo una «lingua di traduzione». […]
Ecco la moderna peste del francese: fare e leggere delle traduzioni, parlare come nelle traduzioni.[…]
Rabelais, si, lui ha fallito, e Amyot ha vinto. I discendenti di Amyot sono tutti quei romanzetti castrati che escono ai giorni nostri presso le migliori case editrici. Migliaia all’anno. Ma io, di romanzi così, posso farne uno all’ora.
Eppure, non si pubblica che quello, dov’è l’eredità di Rabelais, la vera letteratura? Scomparsa. (p. 267)

Quel che effettivamente c’è di buono in Rabelais è che metteva la sua pelle sul tavolo, rischiava. La morte incombeva su di lui, e la morte ispira! È la sola cosa che ispira, io lo so, quando sta lì, subito dietro. Quando la morte è in collera.
Non era uno che si godeva la vita, Rabelais: si dice ma è falso. Lavorava. E, come tutti quelli che lavorano, era forzato dal lavoro [Un forzato, un prigioniero, uno schiavo del lavoro. S.F.]. […]
Nella mia vita ho avuto lo stesso vizio di Rabelais. Ho passato anch’io il tempo a mettermi in situazioni disperate. Come lui, non ho niente da aspettarmi dagli altri; come lui, non mi pento di nulla. (p. 269)

VOYAGE AL CINEMA p. 271

LOUIS-FERDINAND CÉLINE: LETTERE p. 277

SII CON DIO IN QUESTO BASSO MONDO. Dedica a Paul Heiser p. 279

LA GUERRA DEL CORAZZIERE DESTOUCHES. Lettere ai genitori. p. 281

Ci sono villaggi a cui non ci si può avvicinare, tanto violento è l’odore che vi esce, non c’è un pozzo in cui non ci sia un cadavere.[…]
Mi auguro e ci auguriamo tutti di vedere presto la fine di quest’orrendo massacro, dove la vita umana non pesa molto nella grande bilancia. Fortunatamente, la stanchezza t’impedisce di pensare a tutti questi orrori con grande intensità; si va sempre avanti con una specie di casco sul cervello, non dormiamo mai più di due o tre ore[…]. (p. 284)

[…]dalle vostre lettere si sente un terribile nervosismo, è comprensibile, ma vi scongiuro di avere coraggio, ce ne vuole molto, anzi moltissimo, soprattutto per lottare contro il sonno, anche se sembra stupido, è una sofferenza più terribile di fame e freddo. […]
Se mi succedesse qualcosa, eh be’, sarò sulla stessa barca degli altri centomila che sono già stati fatti fuori. Lo sforzo principale, ora, sono arrivati alle porte di Parigi ma il colpo di reni è stato dato, la Germania è a terra, non resta che ucciderla, braccarla fino a quando non ne resti neanche uno e, Dio mio, se ne rimangono per strada, saranno morti per qualcosa. Avranno fatto meglio che nel 1870 e la famosa e tanto bistrattata nuova generazione avrà dimostrato almeno di essere all’altezza delle precedenti. (p. 285)

Cari genitori,
finalmente ne ho uno!!!!![…]
È stato abbattuto da un colpo di punta al collo. Marciamo ancora giorno e notte, quasi ininterrottamente, fermandoci qua e là. (p. 286)

Non trovo più uomini ma autonomi abbrutiti dalla fatica, neanche più commossi dalle granate che piovono ininterrottamente. […]
[…]alle tre i tedeschi, vera lotta selvaggia all’ultimo sangue, la stanchezza ti culla per gettarti nella morte che si desidera quasi come un riposo finale, enormi buche di granate dove entrerebbe facilmente un autobus servono da fossa per i cadaveri, il più delle volte sepolti senza una croce. (p. 287)

Speriamo finisca presto; malgrado tutto, sarebbe meglio sopportarlo qualche giorno in più e che loro fossero sterminati fino all’ultimo.
Sebbene stanco, sempre solido; soffriamo soprattutto la totale mancanza di sonno, a malapena il pericolo ci tiene svegli. La mia giumenta resiste, sebbene scheletrica. (p. 288)

DALL’AFRICA. Lettere a Simone Saintu p. 293

Quasi tutti quelli con cui ero partito in guerra sono stati uccisi, i pochi che restano sono irrimediabilmente mutilati; altri, come me, errano un po’ ovunque, alla ricerca di una pace e di un oblio che non trovano – (pp. 293-294)
La morte, che non può essere ingannati, ha dissolto quel fascino pernicioso – e gli uomini mi sono apparsi, tutti, senza distinzione, terribilmente eguali per la maggior parte, distinti dalla massa solo per due cose, e comunque di rado – i vizi o l’intelligenza –
Tengono alla vita, tutti, in egual misura, non accettano di sacrificarla che per tre ragioni – il fuoco sacro, che somiglia molto ad una fobia qualsiasi; la mancanza d’immaginazione, che sconfina nella miseria psichica; infine, per un terzo ed ultimo motivo, un grande amor proprio – (p. 294)
Mi ci voleva questa grande prova per conoscere l’intimo dei miei simili, su cui ho sempre nutrito forti dubbi – (p. 295)

“SONO FINITO A LETTO CON QUASI TUTTE LE DONNE CARINE CHE CONOSCO…”. Lettere a Cillie Ambor p. 298

[…]ma il carattere anarchico dello stile potrebbe spaventare, e non poco. In passato i Goncourt erano anarchici, ma sono invecchiati, non sono che vecchie donnette conservatrici. (p. 301)

“COSA VUOL DIRE SINISTRA? NIENTE, MENO DI NIENTE”. Lettere a Élie Faure p. 303

Quelli di sinistra sono così convinti delle loro verità marciste che non si può comunicare nulla la loro. Sono molto più chiusi che a destra.[…]
Tutta questa gente mi disgusta, tutti quanti sono avidi di potere, non di verità – Ipocritamente, fanno passare l’uno per l’altra. Abominevole ribaltamento!
Cosa vuol dire sinistra, di questi tempi? Niente – meno di niente.
Andiamo verso il Fascismo, voliamo. Chi ci frena? Qualche dozzina di agenti provocatori ripartiti in cinque o sei cricche urlanti e autofaghe? Questa sarebbe una coscienza sociale? Ma scherzate, amico mio! (p. 304)
Questo popolo lo avrà voluto. Lo vuole. Ama il manganello.[…]
Gli individui straccioni, suppuranti, che pretenderebbero di rinnovare con la loro pozione la nostra epoca irrimediabilmente finita, mi disgustano ed esauriscono. […]
Non siamo fatti per ascoltare queste cose! A noi la morte, camarade! Individuale! (p. 305)

II p. 306

Sono anarchico da sempre, non ho mai votato, non voterò mai per niente o per nessuno. Non credo negli uomini. Perché vuole che mi metta a suonare lo zufolo solo perché decine e decine di falliti me lo suonano? Perché? Per mettermi al livello di gente meschina, rabbiosa, invidiosa, piena d’odio, bastarda? Non ho niente in comune con froci che sbraitano le loro balorde supposizioni e non capiscono nulla. […]
Il complesso d’inferiorità di questi agitatori è palpabile. Il loro odio per tutto ciò che è superiore a loro, per ciò che non capiscono, è visibile. Hanno la stessa gran voglia di sminuire, distruggere, insozzare, recidere il principio stesso della vita che avevano i preti più volgari del Medio Evo.[…]
Tutto è permesso, tranne dubitare dell’Uomo… ma io me ne frego di tutti. (p. 306)
Si rimpiangeranno le guerre, Élie… L’Uomo è Maledetto. Si inventerà dei supplizi mille volte più efferati degli altri… Fin dall’ovulo non è che pedina della morte. (p. 307)

Il guaio in tutto questo è che non esiste il popolo nel senso preciso in cui lo intendete, non ci sono che sfruttatori e sfruttati, e ogni sfruttato non chiede che diventare sfruttatore. Non capisce altro. Il proletariato eroico egualitario non esiste. È un sogno vuoto. Una favoletta, l’inutilità, la scempiaggine assoluta nauseante di tutte queste fantasie imbecilli, da una parte il proletario in tuta blu, l’eroe di domani, dall’altro il crudele capitalista con la catena d’oro. Sono letame, l’uno e l’altro. Il proletario è un borghese fallito. Niente di più, niente di meno. Niente di straordinario, solo un piagnucolio viziato e furbo. È tutto. […]
Chi non lavora è pieno di idee generali e generose. È molto più difficile far rientrare l’astratto nel concreto. […]
Invece che giudicarmi, bavare queste banalità, dovrebbero copiarmi – gli scrittori scriverebbero infine cose leggibili… […]
Non voglio essere il primo fra gli uomini. Voglio esserlo nel mio lavoro. Gli uomini li smerdo tutti, quello che dicono è privo di senso. (p. 308)

“VIVA GLI EBREI!”. L’uscita de La scuola dei cadaveri p. 310

“CÉLINE CI SCRIVE”. Lettere alla stampa collaborazionista francese p. 312

III p. 315

La Francia odia istintivamente tutto ciò che le impedisce di darsi ai negri. Li desidera, li vuole. Buon pro le faccia! Che si dia! Tramite l’Ebreo e il meticcio, tutta la sua storia in fondo è solo una cosa verso Haiti. […]
La Francia muore dalla voglia di finire negra, la trovo piuttosto a puntino, marcia, zeppa di meticci. […]
Altri cinquant’anni, e nemmeno un francese che non sia meticcio di qualcosa in “oide”, araboide, armenoide, bicoide, polaccoide…. E chiaramente “francese”, 100000 volte più di lei e di me.
L’arroganza “patriottica”, la faccia tosta, è sempre in proporzione al meticciaggio, alla giuderia personale. Va creato un altro bel giornale, molto opportuno, il “giallo e nero”, emblema del futuro francese. (p. 315)
Costituisca in Francia un parlamento secondo le razze (e non secondo i più bavosi) e troverebbe soltanto un’ala destra “Vercingetorige” insignificante per numero, il redisuo delle origini, gli avanzi dei “Celti”, umiliati da un centro enorme, sbraitante, imperativo recriminante, maggioritario schiacciante, la plaude degli ibridi gracchianti per ordine di Blum, composto di tutti i negroidi del mondo, armenoid, assirioti, narbonoidi, ispanioti, alvernoidi, petainisti, semiti maurrassici, eccetera, eccetrera, tutto quello che urla di più “francese” e si sente sempre più cafro, poi un’ala sinistra mora, in piena crescita. […]
Tutti i meticci, gli allogeni, i Maurras, sono mossi da un odio sordo, animale, irriducibile per i Celti e i Germani. Il Parlamento razziale francese nella sua maggioranza schiacciante desidera con tutto se stesso la sconfitta assoluta della Germania e del suo ideale razzista. […]
L’attuale Francia meticcia non può essere antiariana, la sua popolazione assomiglia sempre più a quella degli Stati Uniti d’America. (p. 316)
I nostri capi, i nostri quadri sono morti durante la guerra supercriminale del ‘14-’18. sono stati sostituiti al volo dall’afflusso degli armenoidi, araboidi, italoidi, polaccoidi, eccetera, tutti estremamente avidi, cullati da sempre nel sogno, nei loro Paesi infetti di venire qui a recitare la parte dei capi, asservirci, conquistarci (senza alcun rischio). […]
Non sono i feroci soldati a devastare e distruggere la Francia, quanto i rinforzi negroidi del nostro stesso esercito. Per essere precisi, non sgozzano niente di niente, montano. È l’imprevisto della “Marsigliese”! Rouget non aveva capito niente: la conquista, quella vera, viene dall’Oriente e dall’Africa, la conquista intima, di cui non si parla mai, dei letti. Un impero di cento milioni di abitanti di cui settanta caffellatte, per volere Ebreo è un impero che diventa Haitiano, in modo del tutto naturale. (p. 317)
Maturi per essere colonizzati? Lo siamo! Da chiunque! Parlare di razzismo ai francesi è come parlare di sangue puro ai nordafricani, stesse reazioni. Non si fa piacere a nessuno. […]
Taglierei anzitutto la Francia in due parti. Per la comodità delle cose, la tranquillità dei partiti. Lo slogan Una, indivisibile mi è sempre sembrato cosa da “massoni”.
Al punto della decadenza in cui siamo arrivati, saremo per forza le vittime nell’“Indivisibile” noi gente del Nord, poiché è il Sud che comanda, cioè l’ebreo. I Romani, troppo meticciati, si sono dati due capitali, farò altrettanto. Marsiglia e Parigi. l’una per la Francia peridionale, latina se vogliamo, bizantina, “sovralgerica”, tutto ai meticci, tutto agli zazou, dove si avrebbe tutto il piacere, tutta la libertà di ospitare, amare profondamente tutti i più begli ebreoni del mondo, eleggerli tutti deputati, commissari del popolo, arcivescovi, druidi, geni, farsi inculare da loro, all’infinito, aspettando di diventare tutti negri, questione di tenta o cinquant’anni, per come vanno le cose, raggiungere infine lo scopo supremo, l’ideale delle Democrazie. l’altra per la Francia “a nord della Loira”, la Francia lavoratrice e razzista[…]. (p. 319)

LA DANZA CONTINUA. Una lettera al dottor Alexandre Gentil p. 325

Non ho la minima speranza di essere accolto da qualche parte in vita mia. l’Ariano Errante conosce un destino ben più infetto dell’Ebreo Errante. Gli amici dell’Ariano sono deboli e rarissimi, gli amici degli ebrei potenti e innumerevoli. l’ebreo deve solo piagnucolare e tutte le porte si aprono, se l’ariano marchiato si fa riconoscere, tutti i cani vengono sguinzagliati. (p. 326)

DALL’ESILIO. Lettere a Henri Mondor p. 331

“I POVERI, FEROCI E DISGUSTOSI COME I RICCHI…”. Lettere a Roger Nimier p. 336

SAGGI p. 339

SU UNA LEGGENDA
Di Marcel Aumé p. 341

Céline non era certamente una persona accomodante, o che dimenticasse facilmente i torti. Il perdono del male, delle offese, non aveva per lui alcun senso. Poteva, nel corso della sua vita, non tenerne conto, ma non le dimenticava. Il perdono era ai suoi occhi un atto, se non negativo, quantomeno inutile, che non impediva al male di mantenersi, né al nemico di rimanere pericoloso. Di fronte agli essere e agli avvenimenti aveva reazioni virili, spontanee, nulla sacrificando al catechismo e considerando il difendersi come uno dei primi doveri dell’uomo. (p. 341)
No, Céline non era un uomo dal cuore duro. Al contrario. Lo testimonia la sua grande e spontanea tenerezza per i bambini e gli animali. (p. 342)
In realtà, il denaro superfluo, che non serve ai bisogni basilari della vita, gli ha sempre dato fastidio. (p. 343)
Non gli ho riconosciuto che una debolezza, la collera, cui spesso di abbandonava. (p. 345)
Le sue più grandi collere nascevano contro tutto ciò che riteneva conducesse l’uomo all’abbrutimento, all’abbandono di sé stesso: l’alcol, gli stupefacenti, l’abbuffarsi di cibo scadente, la sessualità sfrenata, il lusso, la miseria, le false barriere, la religione (ai suoi occhi, i peccati contro la Chiesa sembravano avallare quelli contro l’uomo), le ipocrisie sociali e mondane che, sotto un velo d’onestà, favorivano lo scatenarsi di cattive intenzioni. (pp. 345-346)

DA MEA CULPA A BAGATELLE
Di Éric Mazet p. 350

Contro la lingua morta di politici, giornalisti e scrittori neoclassici, di destra o di sinistra, fascisti o comunisti, contro la maggioranza dei letterati colti, raffinati, contro la menzogna della loro lingua morta, conformista, e delle loro idee generiche, astratte e inutili, il delirio céliniano si eleva come un grido di libertà, individualismo, autenticità. (p. 355)
[…] il verbo di Céline rivendica libertà e vitalità, una contestazione individuale sgorgata dall’emozione personale, inimitabile, il rifiuto di qualsiasi impegno ideologico, abbrutimento pubblicitario e condizionamento intellettuale. (p. 355-356)

LA VIRULENTA POLEMICA ANTICRISTIANA DI CÉLINE
Di Dominique Venner p. 363

IL DIALOGO FRANCO-TEDESCO DEGLI INTELLETTUALI
Di Joseph Jurt p. 365

CHI ERA CÉLINE?
Di Francçois Gibault p. 369

Ma la sua personalità era molto più complessa. Era un uomo avaro e generoso, anarchico e amante dell’ordine, pacifista e militarista, ricco d’umanità e capace di scrivere pamphlet… (p. 383)

PERCHÉ C’È DEL CÉLINE PIUTTOSTO CHE NULLA?
Di Philippe Muray p. 385

I pamphlet di Céline esprimono al meglio – e al peggio! – l’inconscio delle collettività occidentali. Pare strano, in queste condizioni, che i suoi libri siano inaccessibili: è come se la collettività non volesse sapere ciò che ha pensato da duemila anni a questa parte… (p. 389)
Se c’è un solo Céline, è quello contaminato dai pamphlet. Se invece ce ne sono due, si può ammirare il grande scrittore senza doversi interrogare su sé stessi, sul proprio fondo antisemita. (p. 391)
Mi chiedo se le ragioni per cui Céline è stato pesantemente rigettato non siano letterarie, più che politiche. (p. 392)

UN SIMPATIZZANTE NAZI DIFESO A QUALCHE COSTO
Di Kurt Vonnegut p. 399

ILLUSIONI ILLUMINISTICHE E PARANOIA ANTISEMITA
Di Cesare Cases p. 405

Il Céline del 1930 non voleva affatto inscenare la propria paranoia, perché la paranoia, a detta di taluni, è la massima protesta. La sua protesta consisteva anzi nel testimoniare, nel descrivere ciò che vedeva, spesso con una potenza visionaria in anticipo di decenni: l’orrore della guerra, l’orrore del colonialismo, l’orrore della società americana, l’orrore dei sobborghi parigini, e, di contro, la vanità e l’ipocrisia dell’umanitarismo astratto. (p. 406)
Céline non fu l’unico a trasformare la delusione totale in speranza che il fascismo, ammazzando tre quarti di quest’umanità rognosa, dannata a infliggere e patire sofferenze, ne salvasse un quarto fatto tutto di biondi atleti e di quelle agili ballerine che gli piacevano tanto. (p. 407)

COME SI PUÒ SCRIVERE IN UN ALTRO MODO?
Di J.-M.-G. Le Clézio p. 408

CÉLINE PILOTA
Di Jean Dubuffet p. 412

COMMENTI p. 421

UNA BOMBA ARMATA A RANCORE
Di Benito Mussolini p. 423

Voyage au bout de la nuit diventerà un classico di questo secolo. […]
Ma lo stile è, decisamente, rivoluzionario. (p. 423)
Io non so se questo scrittore sia capace di amore. È una bomba armata a rancore. Ma che cosa mai gli ha fatto l’umanità! […] Il tarlo Proudhon gli lavora nel cervello. Ma come fa, un personaggio come Céline, ad essere medico? (p. 424)

A COLPI DI DINAMITE E TNT
Di Adrien Arcan p. 425

CÉLINE È BLOY MENO DIO
Di Pierre Drieu La Rochelle p. 426

CÉLINE HA PIÙ DINAMITE DI HITLER
Di Henry Miller p. 427

AL DI SOPRA DELLE PARTI
Di Paul Lévy p. 429

DUE BEAT A MEUDON
Di William S. Burroughs p. 430

IO DIFENDO CÉLINE
Di Henri Guillemin p. 433

UN IMMENSO POETA
Di Nicole Debrie p. 435

COS’È UNA LETTERATURA MINORE
Di Gilles Deleuze e Félix Guattari p. 437

UN ERRORE FORMIDABILE
Di Antonio Lobo Antunes p. 439

LA VOCE DI CÉLINE
Di Will Self p. 440

UN ROMPICAPO INCREDIBILE
Di Saul Bellow p. 441

SONO IL SECONDO, BABY…
Di Charles Bukowski p. 442

LA MIA BIBBIA
Di Luciano Vincenzoni p. 443

LEGGERE CÉLINE, È VEDERE LA VITA ALTRIMENTI
Di Jean Rochefort p. 444

PAGATE IL MEDICO PRIMA DI AVERNE BISOGNO
Di Youssoufou Joseph Drabo p. 445

DEDICATA A CÉLINE
Di Gian Ruggero Manzoni p. 446

IL SENZARUOLO
Di Silvano Calzini p. 447

APPENDICI p. 449

INDICE DELLE FONTI p. 451

INDICE DEI NOMI p. 459

 

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