LOUIS-FERDINAND CÉLINE – BAGATELLE PER UN MASSACRO

LOUIS-FERDINAND CÉLINE – BAGATELLE PER UN MASSACRO
OMNIA VERITAS – 2018

TRADUZIONE: Giancarlo Pontiggia
TITOLO ORIGINALE: Bagatelles pour un massacre

Ripubblicazione dell’edizione Guanda, collana Biblioteca della Fenice n. 41, del Settembre 1981, con traduzione e cura di Giancarlo Pontiggia e nota introduttiva e scritto di Ugo Leonzio. Differente, ovviamente, l’impaginazione.
N. B.: Le citazioni del presente post recano il numero di pagina dell’edizione GUANDA.

NOTA INTRODUTTIVA
Ugo Leonzio
DOLORE E CORRUZIONE
Ugo Leonzio p.7
NOTIZIA SULLA VITA E LE OPERE DI CÉLINE
Giancarlo Pontiggia p.15
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
Giancarlo Pontiggia p.25

BAGATELLE PER UN MASSACRO p.29
Il libro inizia subito con una sarcastica invettiva dell’autore contro chi non apprezza il suo stile, troppo distante da quello degli altri scrittori francesi.

“Il mondo è pieno di gente che si dice raffinata e che poi non è, ve l’assicuro, raffinata neanche tanto così. Io, servitor vostro, credo davvero di esserlo, un raffinato! Sputato! Autenticamente raffinato. Fino a poco tempo fa, facevo fatica ad ammetterlo… Resistevo… E poi un giorno mi sono arreso… Al diavolo!… Però sono un po’ infastidito dalla mia raffinatezza… Cosa si finirà per dire? Pretendere?… Insinuare?…Un vero raffinato, raffinato per diritto, per costume, garantito, di solito deve scrivere almeno come il sig. Gide, il sig. Vanderem, il sig. Benda, il sig. Duhamel, la signora Colette, la signora Femina, la signora Valry, i « Théàtres Franais…sdilinquirsi sulla sfumatura,.. Mallarmé, Bergson, Alain.., spomparsi l’aggettivo.., goncourtizzare… cristo! Inculare le mosche, frenetizzare l’Insignificante, cinguettare in pompa magna, pavoneggiarsi, chicchirichire ai microfoni.., Rivelare i miei « dischi preferiti »… i miei progetti di conferenze… Potrei, potrei certamente diventarlo anch’io, un vero stilista, un accademico « pertinente » .È una questione di lavoro, un’applicazione di mesi.., forse di anni… Si può ottenere tutto… come dice il proverbio spagnolo: « Molta vaselina, tanta pazienza, e l’elefante s’incula la formica».
Ma sono ormai troppo vecchio, troppo incancrenito, troppo incarognito sulla maledetta strada del raffinamento spontaneo… dopo una dura carriera di « duro fra i duri » per ritornare indietro ora! e andare anche a concorrere per la libera docenza di trine e merletti!… Impossibile! Il dramma sta qui. Come ho potuto farmi afferrare, soffocare d’emozione.., dalla mia stessa raffinatezza? Ecco i fatti, le circostanze…”
(p. 31)
Comincia subito dopo la fase “onirica”, nella quale lo scrittore, dopo aver confessato all’amico ebreo immaginario Leo Gutmam la sua passione per le ballerine (“Mi confidavo di recente con un mio caro amico […] Leo Gutman, a proposito del gusto sempre più forte, spiccato, virulento, che dico?, assolutamente dispotico che mi prendeva per le ballerine… p.32”), e la volontà di vederle da vicino, riprende la polemica con chi accusa lo stile delle sue opere, a chi non lo considera poeta:
“Dato che non sei distinto.., Dato che i tuoi libri così indecenti, così sporchi, ti nuocerebbero di sicuro, il meglio sarebbe non mostrarli, ancora meno del tuo muso… […]
— Non ha detto così la critica?…— Ah! Neanche per sogno!… Ha detto che come miniera di merda non si poteva trovare di meglio.., nei due emisferi, e dintorni.., che i libroni di Ferdinand… Che si trattava veramente di veri letamai… « Forsennato, convulso, irrigidito, hanno scritto tutti, in una assolutamente deliberata ostinazione a creare lo scandalo verbale… Il signor Céline ci disgusta, ci stanca, senza stupirei… Un sotto-Zola senza slancio… Un povero imbecille maniaco della volgarità gratuita… una grossolanità piatta e funebre… Il sig. Céline è un plagiario di graffiti da vespasiano…[…]
fittizio, contorto al massimo, il suo stile è una cosa ripugnante, una perversione, un eccesso squallido e noioso. […]
Guardatevi bene dal comprare un solo libro di quel maiale! Siete avvertiti! Avete tutto da rimpiangere! Il vostro denaro! Il vostro tempo!… e poi un inaudito disgusto, definitivo forse, per tutta la letteratura!… Comprare un libro de] signor Céline proprio quando tanti nostri autori, grandi, vigorosi e leali ingegni, onore della nostra lingua (la più bella di tutte) in pieno possesso della più splendida maestria, soverchiamente dotati, intristiscono, patiscono un’ingiusta scarsità di vendite! […]Se fossi un galoppino del re… ventriloquo… staliniano… Célinomane rabbinizzato… come mi troverebbero amabile…” (pp.33-34)
I critici, per lo più ebrei, sono dei falliti che si divertono a distruggere le opere degli altri.
“Sono i falliti più rancidi a decretare il gusto del momento!… Chi non sa fare un cazzo, cicca ogni impresa, possiede sempre una meravigliosa risorsa: Critica!” (p.35)
Gutman, per avvicinare le ballerine, gli propone di scrivere un balletto che lui stesso avrebbe consegnato a un suo amico dell’Opera.
“Buttami giù un bel balletto, qualcosa di semplice e di frizzante… Andrò a portarlo io stesso… all’Opéra… Il signora Rouché è amico mio!…” (p.35)
Ma dovrà essere raffinato…
“Molta delicatezza! dello slancio, sicuro! ma niente violenza!… niente di questi disgustosi guazzabugli…” (p.36)
Céline propone allora “LA NASCITA DI UNA FATA (La naissance d’une fée”):
Ambientata all’epoca di Luigi XV, la scena scena si svolge in un bosco.
1° QUADRO
In una raduna giocano elfi, spiritelli e animali. Poi però, sopraggiungono ragazzi e ragazze tra cui la bellissima Evelyne. I folletti e gli animali fuggono al loro apparire. I ragazzi giocano, scherzano e danzano. Tra di loro c’è anche “il Poeta”, il fidanzato di Evelyne…
2° QUADRO
È il giorno della fiera e c’è grande movimento e gioia al villaggio. Sotto al porticato della locanda c’è la perfida strega Karalik. L’arrivo di Evelyne, del poeta e degli altri chiassosi ragazzi fà però fuggire i clienti della strega che, per vendetta, getta il malocchio su Evelyne e sul Poeta. Scoppia il temporale, tutti fuggono, tranne la vecchia che balla sghignazzando il Ballo delle Streghe.
3° QUADRO
È un altro giorno di fiera. Una carrozza cerca di farsi strada tra la gente, ma la folla glielo impedisce, rompendole per di più un asse. Scende allora il cocchiere, Mefistofele, il Diavolo, che va a parlare con l’oste.
Dalla carrozza escono via via le venti ballerine destinate ad animare la festa di nozze del principe, condotte da Mefistofele nella locanda. Tutti gli uomini del villaggio sono incantati dalla bellezza delle ballerine e le spiano esercitarsi in passi di danza…
4° QUADRO
Cala l’oscurità e, all’interno della locanda, il diavolo costringe le ballerine ad esercitarsi al suono del violino. I notabili della città tornano a spiare e uno di loro, il magistrato, entra nella locanda. Poi, anche tutti gli altri uomini del paese restano ammaliati ed entrano nella locanda, cordialmente accolti dal diavolo. Arriva infine anche il Poeta che, dimentico di Evelyne, si invaghisce di una ballerina…
5° QUADRO
Davanti alla locanda la carrozza riparata è pronta alla partenza. Gli uomini seguono le ballerine, le donne cercano, invano, di trattenerli. Sono infuriate ed aizzate da Karalik. Evelyne, triste e addolorata, decide di andare a suicidarsi nel bosco…
6° QUADRO
Evelyne, afflitta e disperata, torna nella radura. Entra la Morte che la fa danzare, poi arrivano alcuni cacciatori che hanno ferito la cerbiatta amica degli spiritelli del bosco. La ragazza la cela alla vista dei cacciatori e la cura. Gli spiritelli del bosco, allontanatisi i cacciatori, escono e la festeggiano. Lei però vuol buttarsi nel fiume, loro protestano: le insegneranno a danzare. Terminata la lezione, gli spiritelli le regalano una “canna d’oro” (che le permetterà di danzare divinamente) e la salutano festosamente…
7° QUADRO
Evelyne è davanti alla locanda, ma non sa come trovare il fidanzato e allora si reca da Karalik per chiederle informazioni. Alla strega racconta di aver imparato a danzare e, su richiesta della vecchia, le mostra alcuni passi. Gli uomini zigani restano ammaliati. Uno di loro va a ballare con lei e la vecchia ne approfitta per dare un pugnale alla moglie dell’uomo e per aizzarla contro Evelyune che, pugnalata alla schiena, muore. Sulla scena compaiono gli spiritelli della foresta che tentano, invano, di rianimarla. Il gufo però dice che se saranno versate tre gocce di Chiaro di Luna (della rugiada) sulla fronte di una vergine innamorata, questa rinascerà come fata. Il gufo va a prendere il ragno che la possiede, versano le gocce ed Evelyne può così ritornare in vita come fata. Lei però è ancora triste, vuol vedere il Poeta. Con gli spiritelli e Karalik si recano così al Castello del Diavolo…
8° QUADRO
Nel castello il Diavolo si diletta a divorare le anime dei dannati, mentre una tavola imbandita è occupata dagli uomini e dalle ballerine. Entrano Evelyne, Karalik e gli spiritelli. Il Diavolo si infuria, ma la ragazza fa dissolvere la diavoleria. Il Poeta, liberato, vorrebbe restare con Evelyne, ma lei è ormai una fata e si allontana con gli spiritelli.
Il Poeta canterà per sempre del suo amore impossibile…
Lo scrittore è soddisfatto del balletto, lo presenta a Gutman che ne è ugualmente entusiasta ma… viene rifiutato perché privo di musica. “Mi soddisfa e ho più gusto io, da solo, di tutta la critica merdifora e cacasennica riunita, ho dunque deciso, anticipando ogni commento, che il mio balletto valeva molto di più, sorpassava di gran lunga tutti i vecchi temi… tutti i ciucci del repertorio…[…] È lavoro cucito a mano…assolutamente autentico…tutto si concatena…nel divertimento, nella grazia…turbina…si ritrova…Varianti…riprese…tutto si allaccia…nel divertimento…si slancia…ancora sfugge…Chi vuol danzare!…” (p.45)Ferdinand va allora in cerca di un musicista, ma nessuno accetta. Gutman gli propone di scriverne un altro per i Balletti dell’Esposizione del ’37. Lo scrittore lo fa seduta stante, è Paul canaglia, Virginie coraggiosa.
“-Tu dammi, Ferdinand, mi fa lui, un vero lavoro, un piccolo balletto… perfettamente intonato ai fasti dell’Esposizione…
-D’accordo!…gli faccio io, ti prendo in parola, Gutman, parola per parola… Non ti lascio uscire! Te lo smollo al momento! il mio poema… tutto intero! su questo tavolo!… Potrai consegnarlo subito (Eravamo in un caffè).
-Ragazzo!… dammi penna e inchiostro!…
Non volevo più scervellarmi… come avevo fatto con l’altra fantasia… e poi veder tutto andare in fumo… Gliela butto lì, in quattro e quattr’otto… la mia ideuzza… il soggetto me l’ero già ben cucinato… Gli caccio in tasca il manoscritto, ancora caldo… e gli ordino:
-Gutman! Fila! Ma ti avverto… faccia da finta lesbica! Sta’ attento! Guarda di non ritornarmi ancora mani vuote!… Mi faresti andare in bestia…” (p.48)
PAUL CANAGLIA, VIRGINIE CORAGGIOSA (VOYOU PAUL, BRAVO VIRIGINIE)
1° QUADRO
In una lontana spiaggia tropicale una tribù di selvaggi è nel mezzo di una festa fomentata dalla strega del villaggio con i suoi filtri inebrianti. D’un tratto però, una nave in balia del vento, va a schiantarsi sugli scogli. I negri si precipitano a saccheggiarla, riportando a riva anche i corpi abbracciati di due innamorati: Paul e Virginie. Non c’è verso di rianimarli fino a che la strega gli fa bere la pozione. Paul ne è ingordo e perde il controllo lanciandosi in danze sfrenate. Virginie ne soffre e si mette in disparte.
2° QUADRO
1830. In una lussuosa sala molti giovani si dilettano a danzare. Tra questi Oscar e Mirelle, la nipote di Madame Odile (zia di Virginie). All’improvviso compare uno scugnizzo napoletano del porto con una notizia per Odile: la nave che sta riportando a casa Paul e Virginie sta per arrivare in porto.
3° QUADRO
Sulle banchine del porto c’è grande confusione. Girano in scena persone di ogni nazionalità, tutti danzanti e tutti diretti a Parigi. Odile, Mirelle e gli altri ragazzi giungono al porto chiedendo notizie di Paul e Virginie. Ma ecco che la loro nave è in arrivo!
Paul e Virginie sbarcano portando con sé, oltre ai doni, anche la strega e alcuni negretti che fanno danzare. La pozione della strega fa “sballare” i giovani che si uniscono alle sfrenate danze. Perfino Mirelle perde il controllo mettendosi a ballare lascivamente con Paul. Virginie tenta di riprendersi Paul, ma lui la rifiuta. La ragazza beve allora un’intera fiala di pozione e si scatena in una lussuriosa danza. Paul torna così a ballare con lei, generando però le ire di Mirelle che, presa la pistola di un marinaio, uccide Virginie. In scena arriva il Fulmincoach, un mirabolante mezzo meccanico Americano che irradia musica Jazz calamitando l’attenzione di tutti i presenti. La zia Odile, per il dolore, si suicida gettandosi in mare. Solo Paul resta con il cadavere di Virginie, fino a che alcune ragazze, fattagli bere altra pozione, lo portano via. In scena restano solo il corpo esanime di Virginie e il cane della zia Odile…
Ma neanche questo secondo balletto viene accettato e così decide di dedicarsi all’invettiva contro gli ebrei, all’antisemitismo.
“Gutman è tornato dall’Esposizione, quattro giorni più tardi… con la testa orribilmente bassa… mortificato, le pive nel sacco… Aveva riportato solo insuccessi… (p.57)
Vedrai cosa vuol dire un poema ringoiato!… Me le conterai le altre puttanate! Ah! brutto pezzo di pesudo-stronzo! Ah! Vedrai l’antisemitismo! Ah! vedrai se sopporterò che mi si venga a tastare per niente!… Ah! vedrai la rivolta!… il risveglio degli indigeni!…” (p.58)
Céline comincia l’invettiva affermando di aver conosciuto gli ebrei fin dal suo soggiorno londinese. Erano ebrei poveri, per lo più immigrati dell’Europa Orientale.

“Non è da oggi, a conti fatti, che li conosco, io, i Semiti. Quando ero nei dock di Londra, ne ho visti molti, di giudei. Sgranocchiavamo i topi insieme, non erano ebrei danarosi, erano dei terribili morti di fame…” (p.58)
Ma fin da subito, con il loro modo di fare, con le lusinghe a poliziotti e funzionari, sono riusciti a trovare buoni posti, a differenza dei bianchi.

“L’Ebreo si è già sistemato, i bianchi rantolano sotto le tempeste…Litigano come cani… Sono fuori, urlano al vento… (p.59)
I giudei riuscivano sempre dopo la battaglia a entrare lo stesso nei depositi… a infiltrarsi nelle stive con le loro <>” (p.60)
L’autore cambia poi per un attimo argomento. Un giorno di fine estate, racconta, passeggiando tranquillamente lungo la spiaggia di Saint -Malo, una signora gli si fece incontro con un giornale. Era il Journal di Parigi, dove lo si definiva rinnegato. Ma lui non si è mai schierato con nessuno, si difende, quindi, come può si può definirlo rinnegato?
“— Rinnegato io?… Rinnegato chi?.,. Rinnegato cosa?… Rinnegato un bel niente!… Ma io non ho mai rinnegato nessuno… L’offesa è enorme! … Chi è ‘sta faccia di merda che si permette d’insultarmi a proposito del comunismo?… Helsey si chiama!… Ma non lo conosco!… dov’è che ha pescato simili insulti?… Da dove diavolo esce, ‘sto stronzo bilioso? Ha alzato la cresta questa gentaglia?… Era scritto addirittura in prima pagina e a grandi caratteri.., non ci si poteva proprio sbagliare.., aveva ragione la signora… […]Non ho mai votato in vita mia!… Il mio documento deve stare ancora al Municipio del « secondo »… Ho sempre saputo e capito che i coglioni sono la maggioranza, che perciò è naturale che vincano!… Perché dovrei dunque scomodarmi? Tutto è già deciso…Non ho mai firmato manifesti […] Sono bene informato io… per questo non aderisco mai a niente… né ai radicaloidi… né ai colonnelli… né ai doriottisti… né a <>, né ai frammassoni, questi boys-scout dell’ombra… […]Aderisco a me stesso per quanto posso…” (p.61)
Il viaggio in Russia di cui si parla nell’articolo, prosegue, è stato tutto a sue spese, per spendere sul posto i diritti d’autore della traduzione russa del Voyage, per la quale, anzi, deve ancora ricevere 2000 rubli.
“Ma visto che si riparla di quel viaggio, visto che il Giornale mi provoca, sarà bene che io mi spieghi un po’… che fornisca qualche particolare. Non sono andato in Russia, io, a spese dello stato! […] Mi devono ancora 2000 rubli, la somma è laggiù, sul mio conto nella libreria di Stato!…[…] Sono partito per la Russia non inviato da alcun giornale, alcuna ditta, alcun partito, alcun editore, alcuna polizia, tutto coi miei soldi, giusto per la curiosità…” (p.62)
E là in Russia, come già scritto, tutto fa schifo.
“Quando dico: fa tutto schifo in quel malefico paese, mi si può credere sull’unghia… […]miseria russa l’ho vista bene, non è immaginabile, asiatica, dostoevskijana, un inferno putrido, aringhe salate, cetrioli e delazione…[ Il Russo è un carceriere nato, un Cinese fallito, aguzzino, l’Ebreo lo rappresenta perfettamente. Rifiuto d’Asia, rifiuto d’Africa […] L’ho ripetuto a tutti, a Leningrado, intorno a me, a tutti i Russi che mi parlavano, a tutti i turisti, che era un paese atroce, che avrebbe fatto schifo anche ai maiali vivere in un simile letamaio…” (p.63)
Riprende poi l’attacco agli ebrei con un serie di stereotipi sul potere ebraico, stereotipi fortemente radicati in tutta Europa negli anni ’30.
“Per dirla schietta, mi sembra che tutti quelli che tornano dalla Russia parlino soprattutto per non dir niente… Ritornano pieni di particolari obiettivi, inoffensivi, ma evitano l’essenziale, non parlano mai dell’Ebreo. […]
In questo momento l’unica cosa grave per un grand’uomo, scienziato, scrittore, cineasta, finanziere, industriale, politico (ma allora la cosa è gravissima) è di mettersi in urto con gli Ebrei. – Gli Ebrei sono i nostri padroni – qui, là, in Russia, in Inghilterra, in America, dappertutto! […] Ma non toccate la questione ebraica, o ve ne faranno pentire… […] L’ebreo possiede tutto… Stampa… Teatro… Radio… Camera… Senato… Polizia…[…]” (p.64)
Ecco la Russia bolscevica…
“La rivoluzione bolscevica è tutt’altra storia! immensamente complessa! tutta di abissi, di retroscena. E in questi retroscena sono gli Ebrei che comandano, padroni assoluti. Stalin è solo un fantoccio, come Lebrun, come Roosevelt, come Clémenceau. […]
Ciò che infatti caratterizza il delle società nel corso dei secoli, è la scalata dell’Ebreo al potere, a tutti i poteri… Tutte le rivoluzioni gli fanno un posto sempre più importante…” (p.65)
Gli Ebrei controllano la pubblicità, la propaganda, la radio e, di conseguenza, manovrano a piacimento gli ingenui ed abbrutiti ariani di tutto il mondo.
“Li conoscono per filo e per segno, i segreti dell’opinione pubblica, loro, i giudei che dirigono l’Universo, tengono in pugno tutti i fili. Propaganda, oro, pubblicità, radio, stampa, <>, cinema. Da Hollywood l’ebreo fino alla giudaica Mosca, stessi negozi, stessi telefoni, stesse agenzie, stessi giudei in ascolto, alla polizia, negli affari, e poi in basso, strisciante sul suolo, la stessa massa plastica, imbecille, l’ariana distesa di bruti ottusi, creduli, divisi, davanti, dietro, intorno, ovunque…[…]
Pubblicità! Che cosa chiede tutta la folla moderna? Chiede di mettersi in ginocchio davanti all’oro e davanti alla merda! … Ha il gusto del falso, del bidone, della cazzata farcita, come mai nessuna folla in tutte le peggiori epoche antiche…[…]
Niente resiste alla propaganda, l’importante è metterci abbastanza oro… e gli Ebrei possiedono tutto l’oro del mondo…” (pp.67-68)
Céline va a trovare il suo amico Popol, pittore di Montmartre e mutilato della prima guerra mondiale. A questi confessa di esser diventato antisemita, ma Popol glielo rimprovera, perché liberarsi degli Ebrei è impresa impossibile dato che, occupando tutti i posti di comando, una loro cacciata porterebbe l’anarchia. Se solo ci provasse, inoltre, lo annienterebbero all’istante.
“Salgo lassù, vado a trovare Popol, amico mio. […]
Subito di primo acchitto lo informo che sono diventato antisemita e non così per ridere, ma ferocemente, fino ai coglioni!… da far fuori tutti i giudei! falangi, in fitte coorti, in battaglioni… da mandarli alla carica contro Hitler, riprendere la Saar, loro da soli!… -Cazzo! mi fa… Sarà dura!… Sono tutti al potere, gli Ebrei… Nono possono andarsene così!… Non pensarci nemmeno! Sarebbe l’anarchia!… Il disordine!… Sono persone indispensabili! […]” (p.69)
Dovrebbe farsi massone gli suggerisce Popol, altro che antisemita…

“Al tuo posto, mi farei massone… il battesimo per un Ariano! questo ti laverebbe un pochino… Ti farebbe un pochino negro… Ti farebbe meno peccatore… Diventar bianco non bisogna più in Francia… è « diventar nero » che bisogna… L’avvenire è dei negri! Porco Dio!” (p.70)
Ferdinand protesta, non vuol cedere. Va in cerca di altre persone da convertire all’antisemitismo. Il cugino Gustave lo sconsiglia di proseguire con l’antisemitismo, gli ebrei sono intelligenti e lui ne ricaverebbe soltanto boicottaggi. Ferdinand allora gli replica con una requisitoria sulla presunta intelligenza ebraica.
“Intelligenti cosa?… insorgo io. Sono razzisti, hanno tutto l’oro, ha preso tutte le leve, si aggrappano a tutti i comandi… È questa la loro intelligenza? […] Tutti i lavori interessanti se li intascano loro… se li accaparrano, espellono di brutto o a fuoco lento tutto quel che non è autentico ebreo…[…]Per fare un esempio ad hoc, per illustrare a puntino le cose, se Einstein non fosse giudeo, se Bergson non fosse circonciso, se Proust fosse soltanto bretone, se Freud non avesse il marchio… non si parlerebbe molto né degli uni né degli altri… non sarebbero certo quei geni che fanno sorgere il sole! Te lo posso assolutamente garantire… al giorno d’oggi, la minima scorreggia d’Ebreo diventa una cannonata!” (p.77)
La Francia, prosegue sconsolato, è ormai a loro assoggettata.
“Gli Ariano, i Francesi soprattutto, non esistono più, non vivono più, non respirano più che sotto il segno dell’invidia, dell’odio reciproco e totale della maldicenza assoluta, fanatica, massima, del pettegolezzo forsennato, più meschino, della chiacchiera delirante, dell’alienazione denigrante, del giudizio basso, sempre più basso, più bifolco, più accanitamente vile e codardo… Perfetti schiavi, agenti provocatori fanatici, informatori, ipocriti, doppiogiochisti di questure e di caffè, perfettamente ammaestrati dalla polizia ebrea, dalla stampa ebrea, dai comitati del gran potere ebreo… Più alcun senso razziale di mutuo aiuto. Più nessuna mistica comune. […]
Il bianco, il Francese soprattutto, detesta tutto quello che gli ricorda la propria razza… Non ne vuol sapere ad ogni costo […]
La verità, la semplicità lo offendono… Un totale rovesciamento degli istinti estetici… Si è arrivati, con la propaganda e la pubblicità, a fargli rinnegare il suo proprio ritmo… Quel che più cerca ora al cinema, nei libri, nella musica, nella pittura, è la smorfia, l’artificioso, l’alambiccato, la contorsione afro-asiatica…” (pp.78-79)
Dichiarandosi poi pronto ad essere il più fervente comunista, ma del vero comunismo e non di quello ebraico e degli intellettuali di sinistra, schieratisi per esso ma che di comunista non hanno trasmesso mai nulla, loro ,irriducibili borghesi.
“Ciò che si chiama comunismo negli ambienti molto avanzati, è la grande assicurazione-babà, il parassitismo più perfezionato di tutti i tempi… insuperabilmente garantito dall’asservimento assoluto del proletariato mondiale… L’Universale degli Schiavi.. dal sistema bolscevico, farcito superfascista, bullonaggio internazionale, la più grande cassaforte blindata che sia mai stata concepita, inchiodata, costruita, saldata sul braciere delle nostre trippe per la maggior gloria d’Israele, la difesa suprema degli eterni saccheggi giudaici, l’apoteosi tirannica dei deliri semiti! […]… Col cazzo! … A che pro?… Ma se si tratta del vero comunismo, della divisione di tutti i beni e pene del mondo nella più stretta eguaglianza, allora sì che ci sto… più di tutti… Non ho più bisogno che qualcuno mi sproni, mi rompa le balle,.. mi catechizzi, Pronto, sull’attenti… Sarò il più grande spartitore che si sia mai visto… e ve lo metto scritto che non mi ci vuole molto per vivere. (p.89)
Mi sia permesso notare (dato che dimenticarsi è di moda) che prima, durante, dopo il Voyage gli scrittori di sinistra, in carica, in cortile, al balcone, si sono grattati come matti, qui, là, un po’ dappertutto, per darci, nel genere « comunista intimo », qualcosa di ancor meglio… L’intenzione era lodevolissima, assolutamente onesta… Ma dove sono i capolavori promessi?… Eppure si sono riuniti, qui, là, un po’ dappertutto. E come hanno decimato bene! Come hanno pontificato! come hanno tranciato giudizi! criticato! tagliato a fette! straziato gli empi… Sul piano ideologico. E che massacro! E poi, trascinati dall’apostolismo, non tenendosi più dal mettersi in mostra, bellissimi da vedere! come si sono tastai i lo spirito davanti a milioni di persone! Stupite, esultanti, torve! sul margine delle strade! davanti a tutti quei geni raggianti potenza!
Come ha strisciano bene la critica! Come ha incensato, glorificato, gonfiato, strombazzato quelle povere merde! a ogni minima miserabile carabattola, a ogni minimo acidulo vermetto caduto dal culo di quei portenti… Che rullar di tamburi per salutare il plaf! sulla carta del più stitico pseudostronzo!.. Che strepito di trombe!
Però dove sono i capolavori promessi? Ovunque, nelle più estreme lontananze di questi deserti della Promessa, io non vedo che squallide distese di pavonerie… logore fino alla corda…[…] Potrebbe essere un gran motivo comico dell’epoca, il fallimento spirituale degli scrittori della sinistra (teatro o romanzo)…[…] … L’anima comunista non si esprime da nessuna parte… in nessuno di quei libri strombazzati con tanto fracasso.., per un’ottima ragione, e cioè che sono stati fatti da individui, chiamati creatori, tutti assolutamente borghesi, nel cuore e nell’intenzione, frenetici intimi dell’ideale borghese. Non possiedono se non la « placca dottrinale » comunista, il bofonchiamento, la prima balia che gli viene in testa… Ah! non è facile far nascere della musica a comando! la prova! […]… La Rivoluzione?… eccome se la voglio! Nessuno più egualitario di me!… Sono un figlio di Robespierre in fatto di diffidenza… Allora i privilegi?… Ma neanche uno ne ho!… Me ne fotto… Chi non ha dato tutto non ha dato nulla… E il mio motto assoluto. « Trafficone » è morto come « Credito! ». Chi vuoi provare?… Tutti nella stessa barca allora!… Insieme! Stesso brodo per tutti gli incarichi! la stessa tessera dal fornaio! sì! Non uno a piedi e l’altro in bici. Non uno a dieci soldi e l’altro a mille… Tutte chiacchiere, voi mi direte, Ferdinand dà ancora fuori… Va bene! Va bene!.., lo ammetto.” (pp.90-91)
Prosegue con lo stereotipo della guerra ebrea. Lui, se fosse dittatore, la scongiurerebbe in un amen la nuova guerra. Lo farebbe mandando al fronte, in prima linea, gli Ebrei.
“La guerra per la borghesia non era già una bella merda, ma la guerra adesso per gli Ebrei! […]
Cosa vogliono gli Ebrei? dietro il loro ostrogoto social-comunista? Il loro carnevale demagogico? Tutta questa truffa infernale? Cosa vogliono? Che andiamo a farci accoppare per loro, a riprendere le loro beghe, a fare i burattini davanti alle mitragliatrici di Hitler. Mica altro!… (p.93)
Dunque, tutti gli Ebrei in prima linea! niente chiacchiere, niente stufati! e per tutta la durata della guerra! Nessun privilegio ammesso”. (p.98)
Ricordando la sua esperienza lavorativa presso la SDN, afferma che tutti i posti migliori erano (e sono) occupati da ebrei e massoni, mentre a quelli come lui toccavano incarichi “ausiliari”. Dopo quattro anni, stufo, lasciò la SDN e il suo servizio alle dipendenze del capo ebreo Yubelblat.

“Per le circostanze della vita, mi è capitato di avere per quattro anni un impieguccio alla SDN, segretario tecnico di un Ebreo, uno dei potenti della Casa. […] Facevo parte del “piccolo quadro”… degli “ausiliari”, dei reietti… I posti sul serio, i veri canditi sono occupati, là come altrove, dagli Ebrei e dai &”massoni”…” (p.102)L’Ebreo ha la sua vittima preferita nell’Ariano, nel francese in particolare.

“In Francia, il popolino, uqello che le buscherà, che riempirà le trincee, non conosce molto gli Ebrei, non li riconosce nella massa… Non sa neanche dove stanno.. le facce che hanno, che possono avere, i loro modi… Anzitutto, sono tutti camuffati, travestiti, camaleonti, gli Ebrei, cambiano di nome come di frontiera […]
Su qualsiasi balla in salsa social-scientifico-progressista ebrea, l’Ariano si butta a capofitto! È fatto fesso in anticipo, fritto!…” (pp.124-125)
La Francia è infatti in mano loro:
“Perfetto. Dall’affare Dreyfus la causa è sepolta, la Francia è degli Ebrei, corpo, anima e beni, degli Ebrei internazionali. Lo sono tutti. – La Francia è una colonia del potere ebreo internazionale, ogni velleità di sollevamento indigeno, il minimo tentativo di soppiantare gli Ebrei, ogni rivolta è condannata in anticipo al vergognoso fallimento… La Francia materializzata, razionalizzata, totalmente rincoglionita, soggiogata dalla bassezza ebrea alcolizzata fino alle midolla, meschinamente napoletanizzata, venale, assolutamente sterilizzata di ogni lirismo, malthusiana per di più, è votata alla distruzione, al massacro fanatico da parte degli Ebrei.” (p.128)
L’invettiva si sposta poi sui sostenitori dell’U.R.S.S. e dei comunisti in Spagna, tutti ipocriti ricchi, massoni ed Ebrei.

“Osservate un po’ queste liste di grandi amici dell’U.R.S.S.. Tutti o quasi tutti funzionari, politici, reddituari, pensionati ebrei o massoni… Eccome!… Tutti ampiamente stipendiati, anzi tranquillamente ricchi, un maledetto centinaio di persone ben vestite, sfrontatamente, grassamente parassitarie, 100.000 franchi di media all’anno ognuno…” (p.135)
Si scaglia poi contro il consumo di alcol in Francia, la cui spesa cresce di anno in anno, a differenza di quella per i libri, ormai quasi nulla.

“In fatto di acquavite, è dunque assolutamente indiscutibile, tangibile, palpabile, che il Francese non teme rivali…[…] Lettore penoso, probabile, ma alcolizzato insuperabile. […] Semplice, nessun nordico, nessun negro, nessun selvaggio, nemmeno civilizzato, si avvicina di tanto così al Francese, per la rapidità, la capacità di pompaggio alcolico.[…]
Il vino veleno nazionale… La bettola insozza, addormenta, assassina, imputridisce la razza francese come l’oppio ha imputridito, liquidato completamente la razza cinese… l’haschisch i Persiani, la coca gli Aztechi….” (pp.137-138)
L’oppio del popolo non è più la religione, povera leggenda agli sgoccioli, ma l’alcool in pieno trionfo. La religione è discussa, rifiutata, offre mille agganci al ridicolo, ma l’alcool no… […] (p141)
« Cosa vuole il popolo?… Cosa esige il popolo?… ». Lavoro. E pane!… ».Ma no! porcherie! ma no!… E voi lo sapete bene! meglio di chiunque altro! … Il popolo esige piacere e alcool! innanzitutto. Si compra in una famiglia operaia in Francia molto più vino che latte o pane… L’alcool e il tabacco costano al popolo molto di più che il cibo. Confessatelo dunque, schifosi!… […]. (p.143)
Domani, fatta la rivoluzione, quella « comunista », più bettole che mai in tutto il paese… […]Chi, prima di ogni altra cosa, non è più o meno sempre ubriaco, « tra un vino e l’altro », non sarà mai, qui o laggiù, che un pallido cittadino, testardo coglione, cattivo compagno e dubbio soldato. Sarà un tipo equivoco, tutto pieno di diffidenza, un anarchico pieno d’acqua, che conviene bucare. (p.144)E l’Internazionale proletaria? Per Céline non è altro che un’impostura massonico-ebraica.“Ancora una spudorata menzogna, un credo per crape avvinazzate, una sfrontata infamia, « l’Internazionale proletaria »! (p.144)
[…]L’« Internazionale » degli Ariani, degli operai, è soltanto una canzone… proprio così! nient’altro che una canzone per schiavi, niente di più… Bisognerebbe che il popolo si strappasse un giorno violentemente, furiosamente la trave dagli occhi per rendersi conto che la sua « Internazionale » a squarciagola, il suo famoso tuonante ritornello non è, per l’ennesima volta, che un altro bidone, un altro disco ben ritorto, ben affusolato, l’enorme fantastica farsa dei soliti orchestratori…[…] Un clamore: l’Internazionale! Un lamento da ubriachi, una ninna-nanna per prigionieri.Questi popoli che si cercano per stringersi, raggiungersi al di sopra delle maledette frontiere., impediti come sono, gli infelici, dai cattivi capitalisti, di unirsi col cuore in mano… Che spaventosa tiritera! Che spudorata impostura!… Niente di più assolutamente contrario a ogni realtà! … Ai Congressi, ma sì! come no! nei colloqui e nei bla bla, sicuro! alla Grangeaux-Belles, o altrove, certo che si fraternizza! tra « delegati in vena, granosi, mica stanchi, mica goffi, se ne urlano sì di simili sciocchezze, fino a perdere la voce! Belle stronzate! Cosa si rischia? Si trinca! si ripete! si scambiano promesse! … e come si fustiga! … in faccia a chi ti pare! tutti i profittatori del Regime, i mascalzoni, gli sfruttatori, i responsabili della « Penuria », ah! ah! che presa per il culo!.., i magna di qua… i feroci pasciuti di là… Ma in pratica? Signori e signore?… Una volta ritornati a casa, gli stessi, esattamente gli stessi venduti, come piombano alla polizia, a esigere, supplicare di rafforzare le restrizioni, rendere più difficile l’immigrazione, un altro giro di vite! Allora più frasi, signori e signore, più sospiri! più pistolotti! … più tremolii! … Realtà! direttive egoiste, carogne, formali… Addosso ai pidocchiosi!… Addosso ai comunisti « di fatto »! A quelli che vorrebbero tastare, dividere tra i popoli le ricchezze del suolo!.., organizzare la giustizia, la ripartizione… Tutti questi cani magri, erranti, mocciosi! alla larga! Cristo d’un Dio! e poi randello! Ecco il linguaggio concreto dei fraternizzanti delegati, delle più opulente « trade-union », appena ritornati a casa…Le patrie non esistono più! Ma i begli « standard » di vita non sono mai stati come oggi… Tot paesi, altrettanti « standard » di vita, e ferocemente difesi, vi prego di credere, da quelli che ne godono .. e febbrilmente invidiati da quelli che fanno la fame… E la guerra profonda, permanente… sorda.., inconfessabile.., tra tutti i proletariati… e non meno feroce dell’altra… tra gli « standard » più bassi e gli « standard » più alti… Gli standard hanno frontiere e reticolati, ve l’assicuro, ancor più delle Patrie… Provate un po’, voi proletari, tornitori, parrucchieri, modiste, dattilografe, imbianchini qualunque, a andare a guadagnarvi la pagnotta negli Stati Uniti! … in Inghilterra, in Svezia, in Olanda.., così. sportivi… semplicemente!.., a godervi uno « standard di vita »… un po’ più alto (dunque a sgobbare un po’ di meno facendosi pagare di più), vedrete come vi faranno correre! e seduta stante! senza discussioni.., cacciato a randellate, come uno sfrontato purulento rognoso! Ah! non sarà bello da vedere!… Ah! E troppo triste, è proprio morta la fraternità operaia! se mai è esistita!… Appena si esce dalle formule, appena ci si presenta con faccia infarinata, ingenuo credente, a degustare i frutti della promessa, l’ottima cosa fraterna, tanto vantata, urlata, la grande partecipazione di cui si parla in tutti i congressi, da tutte le parti, allora che fregatura!… Non vale la pena d’insistere! Quest’adorabile fraternità è retorica, non esiste!… Vi fanno vedere, appena dopo la frontiera, uno di quei manganelli implacabili, uno di quegli sfollagente « imbottiti di ferro », che vi rispediscono di colpo nella nicchia da cui siete uscito! pazzo impertinente!… niente pietà! niente geremiadi!… nella pratica, a ogni schiavo la sua galera… Niente ubbie… La nave dove si sta meglio non prende i fuggiaschi, gli sbafatori delle altre ciurme.., come li fanno correre, quelli che vengono a nuotare intorno ai begli scafi! a sprangate in piena zucca! che vadano a fondo quegli schifosi! a farsi gonfiare!… Ah! è ben organizzata la difesa delle buone frontiere democratiche! Niente pietà! Niente errori! Niente scroccamenti! Invidiosi! nelle fogne i pidocchiosi! Ogni popolo per sé! … E col coltello! colle bombe se sarà necessario! Sulla porta di ogni paese sta scritta, nero su rosa.., la bella accoglienza che vi aspetta, proletari di tutto il mondo! « SIAMO AL COMPLETO »…[…] … La puzzolente Ipocrisia di tutto questo immenso adescamento sentimentalmassonico, di questo infernale blaterio all’i fraternità di classe costituisce veramente la più schifosa commedia di quest’ultimo secolo…”
(pp.145-146-147)
Riprendendo a parlare della crisi del libro e della letteratura in Francia, Céline si scaglia contro i critici “ampollosi” che recensiscono positivamente scrittori privi di stile e di emozione, esponenti di un modo di scrivere ormai solo alla “maniera di”.
“Non sono più abbastanza vivi per generare altro che storie vuote e che non stanno più in piedi. […]
Sono i peggiori scarti del libro che ci fan cadere le palle… interminabile, con le risorse del loro stile. Non ne hanno mai avuto un cazzo di stile! non ne avranno mai! (p.154)
Uno stile è un’emozione, per prima cosa, innanzitutto, soprattutto… Non hanno mai avuto un’emozione… dunque nessuna musica. […]
Non è tutta colpa loro… di questi grandi scrittori… Sono votati dall’infanzia, dalla culla anzi, all’impostura, alle pretese, alle raziocinazioni, alle copiature… Dai banchi di scuola hanno cominciato a mentire, a pretendere che quel che leggevano l’avevano vissuto di persona… A considerare l’emozione « letta », le emozioni di seconda mano come una loro emozione personale! Tutti gli scrittori borghesi sono all’origine degli impostori! … scroccatori di esperienza e di emozioni… Sono partiti nella vita con il piede dell’impostura… Continuano… Hanno esordito nell’esistenza con un’impostura… il posto originale, « Il liceo »… Questo seminario del massone, l’incubatrice di tutti i privilegi, di tutte le truffe, di tutti i simboli. Si seno sentiti superiori, nobili « chiamati » speciali, dal sesto anno di età… […]
Infanzia dei piccolo-borghesi, infanzia di parassiti e di beceri, sensibilità di parassiti, di privilegiati sulla difensiva, di gaudenti, di piccoli preziosi, manierati, artificiali, emotivamente in viziosa lussazione fino alla morte… […]tutti i piccoli prodotti borghesi sono falliti in partenza, emotivamente pervertiti, rinsecchiti, raggrinziti, manierati, preservati, frolli dall’inizio, Renan compreso… (p.155)
I borghesi, i bambini piccolo-borghesi, non hanno mai avuto bisogno di passare alla cassa… Non hanno mai avuto emozioni… Emozione diretta, angoscia diretta, poesia diretta, inflitta fin dai primi anni della condizione di povero sulla terra…[…] Tutto quello che elaborano in seguito, nel corso delle loro <>, è soltanto un rabberciamento di cose prese a prestito,viste attraverso un parabrezza… un paraurti, o semplicemente rubate nei fondi delle biblioteche… tradotte, arrangiate, trafficate dal greco, dalle rimasticature classiche. (p.156)
[…]Allora cosa vengono tutti questi castrati a impestarci coi loro romanzi? coi loro simulacri emotivi? Dato che sono una volta per tutte, opachi, ciechi, monchi e sordi? Perché non si limitano alla descrizione, cioè al rabberciamento, al rifrittume di quel che hanno letto nei libri?…[…] (p.159)
Questa promozione catastrofica di tutti i castrati del mondo alla sovranità delle Arti… Il naturalismo, questo manifesto culturale di « ragazzi di bottega massonici », stronzaggine ancora più intrisa, più impregnata di Positivismo che il Rinascimento, ha portato la stessa gigantesca sciocchezza, lo stesso calamitoso pregiudizio all’ultima potenza di frottole. […]« Sostituire l’emozione ariana col ram-ram negro » (p.160)
Tutto è standardizzato, commerciale.
“I nostri mobili, romanzi, film, le nostre macchine, il nostro linguaggio, l’immensa maggioranza delle popolazioni moderne sono già standardizzati. […] Tutte queste stelle: soggettisti, musicisti moderni, paccottiglia moderna, tutti scopiazzatori, saccheggiatori (di folclore e di classici), a gara a chi copia di più, angosciati dall’ossessione di impapocchiare, piacere, mentire, bagasce fino alla cima dei capelli, si creano, si distruggono, si cancellano secondo il capriccio dell’oro e della pubblicità del momento”.(p.170)
Per uno di questi pagliacci che crepa, ce ne sono subito cento che si precipitano per recitare al suo posto, più vili, più servili, più ignobili ancora… I grandi lupanari di arti moderne, gli immensi bordelli hollywoodiani, tutte le sotto-galere dell’arte robot, non mancheranno mai di questi saltimbanchi depravati… (p.171)
E, di conseguenza, tutto dev’essere anche mediocre. I romanzi anglosassoni, tanto in voga, sono l’emblema di questa mediocrità imperante. È tutto artificiale.
“Non è inutile ritornare su questo argomento. Dicevamo che all’inizio, ogni articolo da « standardizzare »: diva, scrittore, musicista, politico, reggipetto, cosmetico, purgante, dev’essere essenzialmente, prima di tutto, tipicamente mediocre. Condizione assoluta. Per imporsi al gusto, all’ammirazione delle folle più abbrutite, degli spettatori, degli elettori più sdolcinati, dei più stupidi sorbi-frottole, dei più coglioni frenetici buccinatori del Progresso, l’articolo da lanciare dev’essere ancora più coglione, più spregevole di tutti loro messi insieme”. (p.173)
Il libro prosegue stancamente con una serie di citazioni di articoli dalla rivista ebraica “L’universo israelita”, o di pezzi di scrittori ebrei. Le citazioni, inutile dirlo, servono a screditare gli Ebrei dimostrandone il (presunto) controllo e strapotere.
Subito dopo afferma di essere boicottato, odiato e plagiato. Ma solo lui riesce a trasporre il parlato e l’emozione nello scritto.
“Io bercio per principio. Ecco tutto. Non mi piacciono, per esempio, le sfide, le imposture, le spacconerie. Tutti quei tipi che si vantano mi urtano e mi scocciano. Ne ho il diritto. […]Ritorniamo a quel che umilmente mi concerne. Io non costringo nessuno a comprare i miei libri. Tutta la critica sta di guardia, sulla porta di ogni libreria, per impedire che mi si compri. […]Anche i librai mi sono ostili in maggioranza. Hanno i loro gusti, gusti di Francesi ristretti… deplorano, loro.., i porci fetenti! Ah! Se avessi voluto urlare assieme agli « emancipatori », come mi è stato proposto tante volte! Ancora otto giorni prima di Mort à credit non un solo giornale che non fosse venuto, tramite un inviato speciale, a passarmi un bocconcino ben ripieno.., a offrirmi le sue colonne e a che prezzo!… Otto giorni più tardi che diluvio!… Ah! che porcherie merdose!… Ah! che manica di vigliacchi e invertiti! Come ha fatto bene Gide, Cristo d’un Dio, a incularli tutti uno per uno! Meglio se non mi comprano più. Conosco duecento altri modi e molto meno faticosi per guadagnarmi la pagnotta… (p.189)
[…]sono i parrucchieri della vita che ci tengono sempre molto a piacere, le puttane. Più si è odiati, trovo, più si sta tranquilli… Questo semplifica molto le cose, non val più la pena di essere educati, non ci tengo affatto a essere amato… Non ho bisogno di « tenerezza »… Sono sempre le peggiori porcherie della vita che ho sentito sospirare dopo le « tenerezze »…[…] Torniamo ai nostri polli… Divago come una vecchia portinaia. In fatto di «letteratura », non mi propongo dunque a modello, no no! Mi hanno enormemente copiato, sicuro, senza dir nulla! divulgare nulla, era fatale… Qua e là, un po’ dappertutto, e in parecchi altri paesi… Quelli che mi copiano naturalmente mi detestano, mi stroncano appena possono, più che tutti gli altri insieme… Io sono il papà di parecchi dei giovincelli, dagli scarsi coglioni, che fanno a mie spese i piccoli bellimbusti, i piccoli ispirati, i piccoli febbricitanti profeti, tra un piccolo « quattro salti » e l’altro, a destra, al centro, e soprattutto a sinistra. Non voglio disturbarli, sono discreto per natura, i papà sanno bene che bisogna togliersi dai piedi, che il piacere dei figli è fare i piccoli gradassi… Non li voglio disturbare, fare il guastafeste… Per loro provo perfino, lo confesso, un po’ di tenerezza ben comprensibile… Vorrei potergli passare un pochettino di glicerofosfati, che si rinforzino un po’ le ossa… un’armatura più salda… In generale sono molli, puzzano di liceo, di chiacchiericcio, di seghe, non hanno fegato. Mi fanno pena a guardarli… Per poco non li rinnegherei. triste, infatti, insomma, che non abbiano piuttosto continuato a scrivere in educato « goncourtiano »… Ci arrivano da soli i brocchi, al genere goncourtiano. Tutte le persone educate sono dei brocchi. Ben educate come un carnefice…” (p.191)
“La grossolanità è sopportabile solo nel linguaggio parlato, vivo, e nulla è più difficile del dirigere, dominare, trasporre la lingua parlata, il linguaggio emotivo, l’unico sincero, il linguaggio usuale, in lingua scritta, del fissarlo senza ucciderlo… Provate… Ecco la terribile « tecnica » in cui la maggior parte degli scrittori vanno a picco, mille volte più ardua della scrittura detta « artistica » o « disadorna », « standard » tornita, manierata che si impara a scuola sulle grammatiche a furia di seghe”. (p.192)
Il cinema è in mano ebrea, a partire dalla promiscua Hollywood dove giovani ariane fanno sesso con i produttori – tutti ebrei – per tentare di ottenere una parte. E Il teatro? Anch’esso è in mani ebraiche.
Molto interessante è poi la critica che l’autore muove contro Parigi e il suo inquinamento, il suo traffico, la sua mancanza di verde.
“Mica è difficile capire che Parigi non è più abitabile. […] Oggi come oggi Parigi manca di tutto, lo sanno bene i clienti, tutto quanto può permettere all’uomo una vita pressapoco sopportabile, non troppo astenica: l’acqua limpida, il vento, i polmoni, i fiori, gli spazi, i giardini, i globuli rossi, il silenzio… Gliel’hanno tolta tutta questa roba alle masse, sornionamente. È il più sleale raggiro, la più schifosa truffa che un’amministrazione sinistra di rapaci venduti assassini abbia mai commesso con piena conoscenza di causa”. (p.208)
L’invettiva riprende con una serie di brevi paragrafi tutti accusanti gli ebrei di controllare la politica, l’economia ma soprattutto di preparare la guerra (” A stare a sentire certi Ebrei di New York, la prossima guerra dovrebbe scoppiare verso la fine di giugno del ’38. Pettegolezzi…” (p.215)), articoli di giornale, recensioni che mostrano l’infiltrazione ebraica nella società francese. Cita, tra gli altri, anche i Protocolli dei Savi Anziani di Sion e altri “classici” testi antisemiti in voga in quegli anni.
Dopo questa serie di citazioni, articoli, attacchi e insulti, Céline riprende il dialogo con il cugino che gli ribadisce di lasciar perdere. Controllando il denaro infatti, inevitabilmente gli ebrei controllano tutto, anche la medicina, l’esercito, la chiesa. Con la guerra ormai vicina, che vinca Hitler o Stalin poco cambia: sarà la Francia a farne le spese.
Per quanto di cattivo scritto sugli ebrei, Ferdinand finisce inevitabilmente per litigare con Gutman.
“Appena ho incominciato a dirgli tutto il bene che pensavo degli Ebrei… Subito si è offeso!… È montato su tutte le furie… Ha dato in escandescenze! una vera collera di maledetto…” (p.266)
Gutman gli fa capire che è inutile farsi il sangue cattivo, tanto gli ebrei occupano i posti migliori e lui spreca solo tempo a denunciarne il potere. Sono i suoi connazionali francesi ad aver permesso tutto ciò…
Le ultime trenta pagine del libro sono una critica alla società sovietica, critica ottenuta mescolando elementi biografici con altri puramente letterari. L’autore infatti parla della sua visita in Russia e del suo tentativo di far pubblicare il balletto “La nascita di una fata“. Tentativo vano: l’opera è rifiutata perché giudicata poco “sozial”. Scrive allora un altro balletto per il teatro, Van Bagaden, con il quale si chiude il libro.
VAN BAGADEN
Anversa, 1830, interno di un hangar.
La scena vive dell’agitazione e dall’andirivieni di facchini, doganieri e di un gruppo di operaie sbarazzine che si occupano di profumi e di sigari.
In uno stanzino è posto l’ufficio dell’armatore, Van Bagaden.
Vecchio, ricchissimo e avidissimo, Van Bagaden passa il tempo ad imprecare contro i propri subalterni che, di là, se la spassano approfittando della sua immobilità, e a vessare il suo fedele commesso, Peter, che ha il compito di riempire i registri contabili legato a catena sul suo banchetto da lavoro.
D’un tratto si presenta nell’ufficio di Van Bagaden un capitano, che comunica qualcosa all’orecchio del vecchio armatore. Questi permette a Peter di aprire la catena e di seguire il capitano. Il ragazzo torna poco dopo, trascinandosi dietro una rete piena di preziose perle che va a deporre nella cassaforte di Van Bagaden, prima di rimettersi la catena e di ricominciare i conti. Passa poco tempo ed ecco arrivare un secondo capitano, la scena di prima si ripete con Peter che riporta altri tesori.
Di fuori intanto, al suono di una fanfara, il porto si anima, una processione avanza, la festa coinvolge tutti. Van Bagaden, furioso, lui che non s’è mai divertito in vita, lascia il bastone a Peter con l’incarico di bastonare i partecipanti alla festa. Ma nulla può, lui solo e infelice, contro la festante folla.
Scritto nel 1937, questo testo fu pubblicato alla fine di “Bagatelle per un massacro”.
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