GIUSEPPE PETRONIO – L’ATTIVITÀ LETTERARIA IN ITALIA. STORIA DELLA LETTERATURA ITALIANA

GIUSEPPE PETRONIO – L’ATTIVITÀ LETTERARIA IN ITALIA. STORIA DELLA LETTERATURA ITALIANA

PALUMBO – 1994

PREMESSA

PERCHÉ LA LETTERATURA p. VI

La letteratura dunque è un’esigenza naturale dell’uomo, a ogni sua età, in ogni sua condizione sociale, in ogni fase della sua storia; ed è anche il deposito delle immaginazioni dell’uomo[…]. (p. X)

Leggere, leggere opere letterarie, significa venire a contatto con uomini simili a noi eppure diversi da noi, provare con essi affetti e passioni che non abbiamo ancora provati, e la cui conoscenza arricchisce la nostra capacità di sentire, sicché noi leggendo aggiungiamo alle nostre esperienze di vita quelle degli scrittori e dei loro eroi. (p. XI)

[…] ogni fase di storia e di cultura offre e consente alcune forme di letterarietà, ne esclude altre. (p. XVI)

I – L’ETÀ COMUNALE p. 1

1 – LA CIVILTÀ COMUNALE: LE ISTITUZIONI p. 3

La letteratura italiana è nata nel corso del secolo decimoterzo (Duecento, quando in diverse regioni della penisola si cominciò a comporre, a fini o in modi letterari, nei volgari propri di quelle regioni. […] Già per secoli […] era fiorita nella penisola una letteratura in latino che si suole chiamare latina o romana, e, alla dissoluzione di questa,[…] medievale o mediolatina[…]. (p. 3)

Chi, dunque, scriveva in volgare da una parte restringeva il suo pubblico, ma, da un’altra parte, lo allargava, potendo essere compreso da tutti gli Italiani, anche da quelli […] che intendevano solo il volgare. […] la nuova letteratura assumeva un carattere nazionale,[…]sicché può essere detta italiana. […]

Perché potesse nascere una letteratura italiana, occorreva, ovviamente, l’esistenza di volgari italiani e una loro decisa diversificazione dal latino. (p. 4)

Per più secoli quindi, dall’VIII al XII, il volgare fu adoperato sempre più largamente e scritto con frequenza sempre maggiore[…]. Il documento più antico che oggi si conosca è il così detto Indovinello veronese, quattro versetti della fine del secolo VIII o del principio del IX, scoperti nel 1924 in un codice della Biblioteca Capitolare di Verona. […]

Ma i documenti nei quali il volgare appare ormai vivo sono quattro plàciti cassinesi, cioè quattro testimonianze giurate, registrate tra il 960 e il 963, sull’appartenenza di certe terre ai monasteri benedettini di Capua, Sessa, Teano. (p. 5)

[…] il latino[…] restò ancora, lungo tutto il Duecento e oltre, lingua di cultura, tanto che occorsero parecchi secoli perché il volgare […] si estendesse a tutti i settori della cultura.

È un fatto linguistico, dunque, quello che segna l’origine della letteratura italiana; ma rendere possibile questo fatto linguistico occorreva il concorso di numerosi altri fattori di storia e di cultura, occorreva, in una parola, che fosse maturata una civiltà – quella comunale – del tutto diversa da quella chiericale e feudale che aveva dominato per secoli l’Italia e l’Europa. (p. 7)

[…] gli altri fattori[…].

Il primo di essi era la divisione politica esistente in Italia da ben sette secoli. […]

perché ha provocato, da regione a regione, diversità di sviluppo economico e sociale che per forza di cose si sono riflessa nella cultura e nell’arte. […]

Un secondo elemento che condizionò la nascita e il primo sviluppo della nostra letteratura fu il fatto che essa nacque in un paese che aveva dietro di sé[…] tanto la letteratura latina classica quanto la letteratura latina medievale[…]. (p. 8)

[…] i nostri primi scrittori,[…] avevano anche conoscenza diretta di letterature volgari che già si erano formate fuori d’Italia[…].

Nel Mezzogiorno della Francia, i Provenza, si era già sviluppata una poesia lirica in lingua d’oc (occitanica o provenzale)[…]. Era una lirica incentrata su ciò che fu detto […] «amor cortese»[…]. (p. 9)

Si ebbe così una schiera di »trovatori italiani»[…].

Una seconda fase ideale di questo influsso della poesia provenzale si ebbe in Sicilia alla core di Federico II, con la scuola detta «siciliana»[…]. (p. 10)

Assai più varia la letteratura della Francia settentrionale, in lingua d’oil (oitanca), dove, accanto alla fioritura di «romanzi cortesi», si ebbe una produzione, egualmente ricca, di poesia epica, di poesia didattica, di poesia satirica e realistica. (p. 10)

Due «cicli», quello bretone e quello carolingio, a carattere romanzesco-cortese il primo, epico-religioso il secondo, fondato l’uno sull’amore e sull’«avventura», l’altro sulla dedizione alla fede, alla Francia, all’imperatore[…].

Ancora dalla Francia venivano i lais amorosi o fiabeschi,[…] i poemetti satirici[…], i fablieux[…]. E dalla stessa Francia ci venne, con il Roman de la Rose, il primo grande esempio di un poema didattico a carattere enciclopedico[…]. (p. 11)

Però, accanto a questi fatti letterari o, più largamente, culturali, a condizionare la nascita e lo sviluppo della nuova letteratura in volgare contribuì un fattore politico-sociale di estrema importanza, vale a dire il Comune[…]. (p. 12)

Questo nuovo intellettuale era assai diverso da quello delle generazioni precedenti. (p. 16)

Non è meno importante studiare il pubblico della nuova letteratura. Nel Duecento e poi nel Trecento, esso si allargò notevolmente per il solo fatto […] che si scrisse in volgare[…]. (p. 17)

2 – LA LETTERATURA POPOLARE E GIULLARESCA p. 26

[…] la letteratura popolare va letta per cogliere e definire non tanto individualità letterarie, come si fa per quella d’arte, quando un gruppo sociale. (p. 27)

[…]la letteratura popolare si fonda […] sull’invenzione, sulla capacità di combinare storie ricche di intreccio e di suspense[…]. (p. 28)

[…] già prima del Duecento […] era diffusa in Italia una poesia popolare che continuò poi a vivere accanto a quella culta.

Erano opere dai nomi più vari[…] recitate in piazza dall’autore o da canterini professionali[…] o cantate […] coralmente in danze pubbliche, in cui gruppi di danzatori si dividevano passi di danza e versi.

Alla varietà delle forme metriche[…] faceva riscontro la varietà dei temi[…]. (p. 29)

Si può concludere che, parallelamente alla nascita e allo sviluppo di una letteratura «riflessa» o «d’arte» o «culta», vi fu anche la nascita e lo sviluppo di una letteratura popolare, i cui autori sono in massima parte ignoti e le cui opere sono state per lo più travolte dal tempo, ma che allora f parte della vita degli strati sociali subalterni, ne accompagnò le gioie e i dolori, ne rifletté o ne influenzò

le passioni politiche e il sentimento religioso, ne interpretò la concezione tutta della vita. […]

Dietro la maggior parte di questa letteratura vi era il giullare[…].

I giullari […] erano uomini di una certa cultura che andavano in giro a divertire in varia maniera[…]. Un misto, dunque, di saltimbanco, di prestigiatore, di poeta popolare; e intanto, passando a corte a corte, da città a città, essi raccoglievamo e divulgavano notizie, pettegolezzi, idee: compito importante in una età in cui non esistevano ancora stampa e giornali. (p. 30)

Ma importante è soprattutto la raccolta (se così si può dire) di liriche popolari che è nei Memoriali bolognesi. (p. 32)

Molti vi trascrissero, fra il 1279 e il 1325, liriche in volgare, talvolta di poeti d’arte […], talvolta anonime, di tono e di carattere popolaresco. (p. 33)

3 – LA LETTERATURA RELIGIOSA p. 34

Al centro di questa letteratura, come di gran parte della vita spirituale italiana del Duecento, fu il moto francescano, al cui fondatore si deve anzi il primo scritto datato a cui si possa riconoscere uno specifico carattere letterario. (p. 36)

*FRANCESCO D’ASSISI (1182-1226)

Lo stesso San Francesco, oltre a varie opere in latino, tra cui le Regole e il Testamento, fu autore di un Canticus creaturarum o Cantico delle creature, tra le opere pi antiche della osta letteratura (fu composta un anno o due prima della morte del santo, 1224-1225)[…]. (p. 36)

La vita e le opere di san Francesco, e i contrasti che presto divisero l’ordine, diedero luogo a una abbondante fioritura di opere, composte per lo più in latino, ma volgarizzate perché avessero una diffusione più larga. (p. 37)

I Fioretti sono accompagnati di solito da altre opericciuole di argomento francescano, tra le quali spicca la Vita di fra Ginepro[…]. (p. 38)

Il maggiore fra gli autori di laude fu […] IACOPONE DA TODI (1230-1306). (p. 39)

La figura più alta e più interessante della letteratura, ma anche della vita e dell’esperienza religiosa del Trecento, è quella di […] santa CATERINA DA SIENA, che nella sua breve vita (1347-1380) svolse una intensa e varia attività. (p. 41)

4 – LA LETTERATURA DIDATTICA p. 42

Didatticismo e allegorismo perdurarono dunque nella civiltà comunale per il perdurare della concezione edificante e didattica dell’arte[…].

Questo «genere» fiorì, con caratteri diversi, soprattutto in Toscana e nella Lombardia[…].

Gli autori erano notai o religiosi, di cui abbiamo, per lo più, scarse notizie[…]. (p. 43)

*BRUNETTO LATINI (1220-1295, Tesoro e Tesoretto).

[…] lungo il Trecento e oltre ancora, il poema didattico-allegorico ricalcò il modulo dantesco del viaggio in terre lontane sotto la guida di personaggi più o meno definiti riprendendo il metro della terzina, e costituendo un vero e proprio «genere» dalle leggi precise[…]. (p. 48)

5 – LA PROSA D’ARTE p. 50

Strettamente legata alla letteratura didattica è una congerie di scritti in prosa: volgarizzamenti dal francese e dal latino, compilazioni e riduzioni enciclopediche, raccolte novellistiche, cronache, resoconti di viaggio[…]. (p. 50)

Si formarono così più cicli di leggenda o di pseudostoria, legati alcuni a eroi antichi, altri a eroi medievali. Tra i primi sono il ciclo troiano, sulla guerra di Troia, conosciuta attraverso l’Eneide e alcuni romanzi della tarda latinità; il ciclo di Alessandro, che raccontava le avventure, pi che le imprese, del grande sovrano macedone; il ciclo romano, imperniato per lo più sulle imprese di Cesare[…]. E accanto a questi cicli pesudo-classici vi erano quelli schiettamente medievali: il ciclo carolingio sulle gesta di Carlo Magno e dei suoi paladini; il ciclo bretone, sulle avventure di Artù e dei suoi cavalieri della «Tavola Rotonda».[…]

Numerose nell’età comunale furono le cronache, in latino e in volgare[…]. (p. 51)

Un altro contributo notevole al costituirsi di una prosa d’arte lo diedero i volgarizzamenti dal latino. (p. 52)

Tra i numerosi viaggiatori che cominciarono a dare notizie dei loro viaggi spicca MARCO POLO [1254-1325, Il Milione]. (p. 56)

6 – LA LIRICA COMICO-REALISTICA p. 58

Negli ultimi decenni del Duecento e nella prima metà del Trecento fiorì, specialmente in Toscana ma anche nelle regioni vicine, una poesia lirica che i critici hanno denominata variamente, dicendola «realistica», «giocosa», «burlesca», «borghese», «comico-realistica». (p. 58)

*CECCO ANGIOLIERI (1260-1312)

7 – LA LIRICA D’ARTE p. 64

Accanto a quella «comico-realistica» corse i primi due secoli una lirica che, con riferimento alla teoria medievale degli stili, si potrebbe dire «tragica»; una lirica nella quale l’aristocraticità dei temi si esprimeva un uno stile e in una lingua del libello più alto, con l’esclusione rigida di ogni moto realistico, di ogni espressione plebea, di ogni deviazione da un ideale di convenzionalismo severo e solenne. […]

Primo anello di questa catena di «scuole» snodantisi lungo il Duecento fu la lirica che nacque e si sviluppò alla corte di Federico II e che, con termine mutuato da Dante, siamo soliti definire «scuola siciliana». (p. 64)

Il maggiore forse fra tutti fu GIACOMO DA LENTINI, notaio di corte, di cui si hanno documenti fra il 1233 e il 1240[…]. (p. 66)

[…] ebbe inizio nell’Italia centrale, specialmente in Toscana, una lirica d’arte, che si ricollegava alle esperienze siciliane, e, dietro di queste, a quelle provenzali. […]

fra tutti emerse Guittone d’Arezzo[…]. (p. 67)

*GUITTONE D’AREZZO (1230-1293).

La terza e più nota scuola poetica del Duecento fu quella conosciuta come dolce stil nuovo[…].

La scuola si fa cominciare con Guido Guinizzelli; le si ascrivono Guido Cavalcanti, Dante[…], Lapo Gianni, Gianni Alfani, Dino Frescobaldi, nonché, contemporaneo di Dante ma vissuto più a lungo, Cino da Pistoia. (p. 70)

È evidente allora che lo stilnovismo è stato un fenomeno di letteratura quanto mai «aristocratico»: i poeti che lo componevano erano intellettuali colti e raffinati, che stringendosi in una sorta di cenacolo, tenevano a distinguersi dal volgo «villano», serrandosi nella cerchia incantata della loro cultura, della loro spiritualità, del loro ideale prezioso di arte. (p. 71)

*GUIDO GUINIZZELLI (?-1276)

*GUIDO CAVALCANTI (1255-1300)

8 – DANTE ALIGHIERI (1265-1321) p. 75

Opere principali: La vita nuova (amore per Beatrice); Le Rime (pietrose, sottili, magnanime); Il Convivio; Il De Vulgari Eloquentia; La Monarchia; Epistole ed Egloghe; Questio de aqua et terra)

LA (DIVINA) COMMEDIA:

Dante riprese dalla cultura del tempo la concezione geocentrica dell’universo, immaginandolo costituito da dieci cieli concentrici, immobile quello esterno (Empireo)[…]; essi sono mossi da nove schiere di angeli, disposte gerarchicamente, che, ricevendo l’impulso da Dio, lo distribuiscono per le sfere. Al centro di questa macchina sta, immobile, la terra, sede dell’uomo[…]. […] Lucifero, scacciato dai cieli per la sua superbia, è precipitato sulla terra, e scavatasi una sorta di voragine, nata dal ritrarsi del suolo dinanzi a lui, è rimasto confitto al centro del globo, e quindi dell’universo, simbolo del male e antitesi di Dio, mentre la terra che lo aveva fuggito è emersa agli antipodi di Gerusalemme formando la montagna del Purgatorio. (p. 89)

Questi tre regni Dante li percorre, in n viaggio durato sette giorni, nella primavera del 1300, l’anno in cui era stato bandito il giubileo e con esso un basto perdono. Smarritosi in una foresta, vi incontra Virgilio, che, inviato in suo soccorso da Beatrice, gli dice impossibile superare gli ostacoli che chiudono l’uscita della foresta – tre fiere: una lonza, un leone, una lupa;[…] e gli dice necessario passare per i tre regni. Con la guida di Virgilio, Dante scende allora nell’Inferno, una vasta voragine che si apre in al centro della terra, dove è confitto Lucifero. La voragine,a forma di imbuto, accoglie, in dieci cerchi o gradini concentrici, i dannati, secondo un duplice criterio: i peccatori sono tanto più in basso e quindi i più vicini a Lucifero e più lontani da Dio – quanto maggiori sono state le loro colpe; le pene sono proporzionate alle colpe e assegnate con un riferimento simbolico, di contrasto o di somiglianza con quelle (contrappasso).[…]

Dante passa via via nel Limbo[…] fino a giungere a Lucifero, attraversare il centro della terra, rivedere, nell’altro emisfero, il cielo. […]

E Dante ascende con Virgilio il monte del Purgatorio. […]

le sette balze del Purgatorio[…] soggette a pene determinate anch’esse con il criterio del contrappasso, dimorano le anime. Le sette balze corrispondono ai sette peccati capitali, in un ordine inverso a quello seguito nell’Inferno: qui, più in basso, cioè più vicino alla terra, più lontano da Dio, sono i peccatori di colpe più gravi[…]. (p. 90)

[…] sulla vetta, dove si apre una vasta radura fiorita, quel Paradiso terrestre che Dio generosamente aveva assegnato all’uomo e che questi ha perduto per la colpa superba di Adamo.

Nel momento in cui giungono sulla vetta, Virgilio si congeda da Dante. […]

scompare nel momento preciso in cui al poeta appare in una mirabile visione, Beatrice[…].

Dopo di che, mondo ormai dal peccato, reintegrato nella piena libertà del volere, è puro e disposto a salire alle stelle, e sale con Beatrice al Paradiso.

Questo è, come insegnava la cosmologia tolemaica, un susseguirsi concentri di cieli[…].

Le anime, perciò, sono tutte nel decimo cielo, o Empireo[…]. (p. 91)

[…] finché, in un attimo fulmineo di estasi, rapito fori di sé, può perdersi in Dio e inserirsi pienamente nell’armonia dell’universo, farsi tutt’uno con l’amore che «move il sole e l’altre stelle».[…]

Qui una simbologia più complessa è alla base della struttura dell’opera: tre cantiche in terzine, cioè in strofe di tre versi di trentatré canti ognuna (l’Inferno ha trentaquattro canti, e quindi la Divina commedia cento, in quanto il primo canto è una specie di preludio all’opera intera), e ognuno dei tre regni è divisibile in dieci parti: nove cerchi più l’antinferno, l’Inferno; sette cornici più la spiaggia, l’antipurgatorio e il paradiso terrestre, il Purgatorio; nove cieli più l’Empireo, il Paradiso. (p. 92)

[…] l’unità del poema la trova nel suo autore, sicché bene potrebbe dirsi Danteide: l’epopea di Dante. (p. 96)

Dante è non solo il pellegrino di un viaggio avventuroso e mirabile, ma il prescelto da Dio, quegli, addirittura, a cui è concesso di mirare Dio e ritornare poi in terra a raccontare agli altri uomini questa straordinaria esperienza. (p. 97)

Una visione, dunque, utopica, una utopia collocata nel passato, ma proiettata poi nel futuro. (p. 98)

9 – FRANCESCO PETRARCA (1304-1374) p. 104

Opere in latino: L’Africa; Il Secretum; De Ocio religiosorum; Raccolte epistolari: Familiares, Senile, Variae, Sine nomine; De viris illustribus; Rerum memorandarum libri; De remediis utiusque fortunae.

IL CANZONIERE (Rime sparse): raccolta di 366 liriche (le escluse raccolte in Extravagantes).

Tema dominante del Canzoniere è l’amore per Laura nella varietà dei suoi aspetti: passione ,sofferenza per la ritrosia della donna, conflitto fra amore e coscienza religiosa, dolore per la morte di lei, rimpianto, vagheggiamento del passato, ripudio di questo lungo travaglioso «errore» giovanile[…]. (p. 116)

[…] un poemetto in più canti – I Trionfi[…]. (p. 117)

Finisce con lui il «cittadino-scrittore» che aveva caratterizzato l’età comunale e comincia già il «letterato». (p. 121)

10 – GIOVANNI BOCCACCIO (1313-1375) p. 122

Caratteri dominanti di queste opere sono, perciò, un fervido autobiografismo, nei limiti che si sono indicati; una mondanità di temi e di affetti che li faceva letture gradite a quella aristocrazia borghese che si era costituita nei nostri Comuni; una retoricità che, ingenua al principio, si venne sempre più scaltrendo e arricchendo di cultura e di esperienza. (p. 125)

Le opere:

Filocolo; Filostrato; Ninfale d’Ameto; Amorosa visione; Elegia di Madonna Fiammetta; Ninfale fiesolano; Corbaccio; le Rime.

IL DECAMERÒN

[…] significa «dieci giorni» – è una raccolta organica di cento novelle, raccontate in dieci «giornate», intercalate da dieci ballate, presiedute da un proemio e da una introduzione, seguite da un epilogo; il tutto inquadrato in una cornice narrativa. Il Boccaccio immagina che, durante la peste del 1348, si incontrino in Santa Maria Novella sette giovani donne e tre giovani, e decidano, a evitare il contagio e sottrarsi all’atmosfera di dolore e di dissoluzione morale che regna nella città, di recarsi in campagna, nella villa di uno di loro. […].

E a passare meglio le ore calde del pomeriggio, decidono di raccontare a turno delle novelle[…]. Così eleggono quotidianamente un re o una regina che governi la brigata per l’indomani e assegni il tema dei racconti[…].

I temi poi sono scelti e ordinati in modo da esaurire, nel corso del libro, tutti i possibili aspetti della vita umana[…]. (p. 128)

Larghissimo quindi è il registro lessicale, che va da vocaboli di eleganza studiata ad altri quotidiani o addirittura volgari. (p. 136)

Nella seconda metà del Trecento, appena diffuso, il Decameròn ebbe largo successo, specialmente negli ambienti borghesi e mercantili[…]. (p. 139)

11 – L’ULTIMO TRECENTO p. 140

Per il pubblico meno colto, aperto solo a una letteratura fondata sul «fatto» e sul «personaggio», vi erano i romanzi cavallereschi che continuavano la tradizione duecentesca. […]

Per lo stesso pubblico si composero numerosissimi cantàri, cioè poemetti in ottava rima, di argomento svariato[…]. (p. 141)

12 – IL SISTEMA LETTERARIO p. 145

II – L’ETÀ DELL’UMANESIMO E DEL RINASCIMENTO p. 149

1 – L’UMANESIMO p. 151

Così la parola umanista, che da principio indicava solo chi fosse dedito a studi di grammatica, retorica, poetica – poté indicare presto chi coltivasse gli studi classici e considerasse l’antichità classica come un modello valido per la cultura e la vita del presente. […]

volendo schematizzare si potrebbe dire che l’umanesimo fu espressione dell’età delle Signorie, così come la letteratura e la cultura in volgare del Duecento e Trecento erano state espressioni della civiltà del Comune. (p. 152)

[…] con l’umanesimo lo scrittore ricomincia a parlare di cose e a usare una lingua che il «popolo» o «volgo» non usa e non intende, e così riflette e approfondisce le distinzioni e le fratture sociali. […]

In primo luogo, continua il processo di laicizzazione della cultura iniziatosi nel Duecento. L’umanista è di solito al servizio del Comune (a Firenze) o di un Signore; è un laico, cioè non appartiene alla gerarchia ecclesiastica[…]. (p. 155)

Un contributo di primaria importanza lo diede, nella seconda metà del secolo, l’invenzione della stampa a opera di un orefice di Magonza, Giovanni Gutenberg. (p. 159)

Altro elemento caratterizzante di questa situazione furono le accademie e le scuole private di arti liberali, che, se non sostituirono le università, certo si affiancarono a esse, costituendo liberi centri di studio, nei quali si raccoglievano uomini congeniali che scambiavano e loro esperienze. […]

In una prima fase, gli umanisti appartenevano di solito alle classi superiori – erano mercanti, banchieri, giuristi – e perciò erano economicamente indipendenti; più tardi furono intellettuali o letterati di professione, anche se aperti a molteplici e vari interessi di politica, di arte, di scienze. (p. 160)

2 – L’UMANESIMO LATINO p. 164

Per i fatti di storia e di cultura che si sono indicati, si ebbe, nella prima metà del Quattrocento, una diffusa attività letteraria in latino[…].

*POGGIO BRACCIOLINI (1380-1459)

* LEONARDO BRUNI (1370-1444)

*LORENZO VALLA (1407-1457. Sulla donazione di Costantino falsamente creduta vera)

*MARSILIO FICINO (1433-1499). Fondatore e animatore dell’Accademia platonica o fiorentina. (p. 167)

3 – LA LETTERATURA IN VOLGARE p. 169

[…] la letteratura volgare non ebbe nel primo cinquantennio del Quattrocento né nomi né opere di rilievo; rifletté una visione «mediocre» e piccolo borghese della vita quotidiana[…].

In volgare si composero, naturalmente, gli scritti di religione: le laude[…], le prediche[…], i libri di devozione, le sacre rappresentazioni[…]. (p. 169)

Fra i predicatori spiccò SAN BERNARDINO DA SIENA (1380-1444)

*GEROLAMO SAVONAROLA (1452-1498)

Accanto ai prosatori furono anche numerosi gli scrittori in verso, sia di scuola o di corte, sia di popolo. […]

E si continuò ancora a comporre in modi derivati dalla poesia «comico-realistica»[…]. DOMENICO DI GIOVANNI detto BURCHIELLO (1404-1449). (p. 173)

4 – L’UMANESIMO IN VOLGARE p. 176

In un primo momento l’uso del volgare in opere di carattere culturale venne giustificato con gli stessi argomenti a cui si era ricorso nel Duecento, cioè con il bisogno o con la volontà di farsi intendere anche da chi non conoscesse il latino[…]. (p. 176)

5 – I GRANDI SCRITTORI IN VOLGARE p. 182

*LEON BATTISTA ALBERTI (1404-1472) non fu solo umanista e scrittore, ma praticò anche le arti figurative, nelle quali ha un posto notevolissimo, soprattutto come architetto[…]. (p. 182)

*LEONARDO DA VINCI (1452-1519)

Leonardo definì se stesso «omo senza lettere», a contrapporsi polemicamente ai letterati umanistici, la cui cultura, diceva, era tutta mnemonica; ma dai suoi scritti traspaiono sia una cerca conoscenza dei classici, sia uno sforzo di elaborare letterariamente la propria prosa[…]. (p. 185)

*LORENZO DE’ MEDICI (1449-1492)

[…] si circondò di letterati e di artisti, realizzando nella sua persona la figura ideale del principe rinascimentale: alla sua corte, o in qualche modo legati a lui, furono Marsilio Ficino e l’Accademia platonica, Angelo Poliziano, Luigi Pulci, una miriade di umanisti, poeti, pittori, architetti e scultori. (p. 186)

[…] un canto carnascialeco è quella Canzona di Bacco e Arianna nella quale si è sempre visto il suo capolavoro. (p. 187)

*ANGELO AMBROGINI detto POLIZIANO (1454-1494)

*LUIGI PULCI (1432-1484. Il Morgante)

*MATTEO MARIA BOIARDO (1441-1494. L’Orlando Innamorato)

*IACOPO SANNAZARO (1456-1530. L’Arcadia)

6 – IL SISTEMA LETTERARIO NELL’ETÀ DELL’UMANESIMO p. 203

7 – LA CRISI ITALIANA E IL RINASCIMENTO p. 205

Questa età – fra la morte di Lorenzo dei Medici e il trattato di Cateau Cambrésis – è stata detta, […] del «rinascimento»[…]. (p. 20)

[…] letterato italiano, che non fu più il «chierico»[…], ma fu il «cortegiano»[…]. (p. 212)

Perciò la letteratura italiana del primo Cinquecento […] si identificò con la corte: Urbino, Ferrara, Mantova, la Curia pontificia romana[…]. (p. 213)

[…] la «questione della lingua» fu nel Cinquecento nei modi in cui venne posta, un fatto di grande importanza[…]. (p. 215)

8 – IL CLASSICISMO E I SUOI GENERI p. 217

*PIETRO BEMBO (1470-1547. Gli Asolani; Le Rime; Prose della volgar lingua)

Il genere forse in cui la letteratura di corte si espresse meglio fu il trattato, un genere che il Cinquecento ereditava dall’umanesimo[…]. (p. 221)

*BALDASSAR CASTIGLIONE (1478-1529. Il Cortegiano)

Tra i generi più diffusi fu anche la lirica d’arte esemplata sul Petrarca o, meglio, sulla rielaborazione che del Petrarca aveva offerta il Bembo. (p. 225)

*GIOVANNI DELLA CASA (1503-1556. Il Galateo)

*MICHELANGELO BUONARROTI (1475-1564)

*GIAN GIORGIO TRISSINO (1478-1550), editore del De vulgari eloquentia, teorizzatore della lingua «cortigiana», autore di un ampio poema in ventisette canti, L’Italia liberata dai Goti[…]. (p. 233)

*ANNIBAL CARO (1507-1566. Traduzione Eneide)

9 – LUDOVICO ARIOSTO (1474-1533) p. 236

L’ORLANDO FURIOSO

[…] si indicano nell’opera tre fili principali, con i quali se ne intrecciano tanti altri la battaglia intorno a Parigi, culminante nell’attacco per cui Rodomonte entra per qualche tempo nella città, e terminante con la sconfitta dei mori; la storia di Angelica[…]; la storia di Ruggero e Bradamante[…]. (p. 240)

Il lettore ideale del Furioso è il «cortegiano» di Baldassar Castiglione[…]. (p. 246)

10 – LA LETTERATURA ESTRANEA AL CLASSICISMO ARISTOCRATICO p. 250

*BENVENUTO CELLINI (1500-1571. Vita)

11 – LA COSCIENZA DELLA CRISI p. 266

*NICCOLÒ MACHIAVELLI (1469-1527. Discorsi sopra la prima «Deca» di Tito Livio; Il Principe; Istorie fiorentine; La Mandragola; Vita di Castruccio Castracane

*FRANCESCO GUICCIARDINI (1483-1540. Storia d’Italia; Considerazioni intorno ai «Discorsi» del Machiavelli)

*GIORGIO VASARI (1511-1574. Vite de’ più eccellenti architetti, pittori e scultori. Oltre duecento biografie di artisti)

12 – IL SISTEMA LETTERARIO p. 291

III – L’ETÀ DELLA CONTRORIFORMA E DEL BAROCCO p. 295

1 – MANIERISMO E BAROCCO p. 297

Così, i sintomi di crisi, già avvertiti nel Cinquecento, si aggravarono[…]. (p. 298)

Questa politica di controriforma si esplicò in modo particolare nell’intento di controllare e dirigere la cultura, modificando profondamente lo stato sociale, la condizione e lo stesso abito mentale degli intellettuali. L’inquisizione, la censura sulla stampa, l’Indice dei libri proibiti esercitarono una pressione costruttiva sull’attività di letterati, artisti, scienziati. (p. 299)

2 – DAL RINASCIMENTO AL BAROCCO: IL MANIERISMO p. 305

[…] NELLA SECONDA METÀ DEL Cinquecento COESISTETTERO, TALVOLTA LEGATE intimamente fra loro, due concezioni diverse o due modi diversi di concepire la poesia, il che spiega come mai questa potesse battere strade tanto diverse, mirando ora a una classicismo fondato sulla ragionevolezza e sulla misura, ora a un «barocco» fondato sulla ricerca della «meraviglia» e tutto corso da un molle e morbida sensualità. (p. 308)

[…] si venne delineando il vero e proprio «dramma pastorale», cioè un componimento drammatico in cinque atti, preceduto da un prologo e arricchito di intermezzi fra l’uno e l’altro atto, in endecasillabi e settenari alternati e rimati liberamente, avente a soggetto un’avventura a lieto fine, di cui fossero protagonisti personaggi propri della poesia pastorale – pastori, ninfe, satiri -, rispettoso delle unità aristoteliche, composto spesso per qualche festa di corte e diretto ai frequentatori della corte, si cui sotto tenui allegorie si adombravano uomini e fatti: pettegolezzi, amori, gelosie. (p. 309)

*LEONARDO SALVIATI (1540-1589)

La Crusca accolse dal Salviati il proposito di un vocabolario nel quale si raccogliessero e dichiarassero tutti i vocaboli trovati «nelle buone scritture» prima del Quattrocento; iniziò il lavoro nel 1591; pubblicò la prima edizione del Vocabolario nel 1612[…].

Il Vocabolario rispecchiava le tesi del Bembo e del purismo arcaizzante fino al Salviati, raccogliendo vocaboli di scrittori fiorentini del Duecento e Trecento[…] e si affermava custode della «buona» tradizione. (p. 311)

*TORQUATO TASSO (1544-1595) p. 312

Opere: Rinaldo; Aminta; LA GERUSALEMME LIBERATA; Le Rime; I Dialoghi

4 – SCIENZA, FILOSOFIA, POLITICA p. 326

*GALILEO GALILEI (1564-1642. Il Saggiatore; Dialogo sopra i due massimi sistemi dell’universo)

*GIORDANO BRUNO (1548-1600)

*BERNARDINO TELESIO (1508-1588)

*TOMMASO CAMPANELLA (1568-1639)

*GIOVANNI BOTERO (1543-1617. Della Ragion di Stato)

*PAOLO SARPI (1552-1623. Istoria del Concilio Tridentino)

5 – IL BAROCCO LETTERARIO p. 346

Questa convinzione di appartenere a un’età nuova, la volontà di spezzare i moduli espressivi tradizionali per trovarne altri più aderenti alla propria sensibilità, il ripudio istintivo o ragionato della tradizione sono dunque tratti che improntano di sé e distinguono la civiltà del Seicento e sono, nel loro assieme, ciò che oggi diciamo, con un termine tolto alle arti figurative, il «barocco». (p. 347)

Strumento essenziale di questa elaborazione poetica fu la «metafora»[…]. (p. 349)

*GIAMBATTISTA MARINO (1569-1625)

[…] lirici che si sogliono dire di «classicismo barocco». (p. 360)

Rientra nel gusto del secolo e nella sua tendenza alla «novità» la nascita del «poema eroicomico», costituito, come dice il nome, da una dosata mescolanza di serio e comico. Capolavoro del genere fu La secchia rapita di *ALESSANDRO TASSONI [1565-1623][…]. (p. 361)

Il Seicento fu corso, inoltre, da una vena di poesia satirica[…]. […] all’imitazione di Orazio si sostituì quella di giovenale[…]. (p. 363)

6 – IL TEATRO E LA PROSA LETTERARIA p. 365

Tra le manifestazioni più originali e più importanti della civiltà barocca fu il teatro[…].

Il «genere» nuovo e caratteristico della civiltà barocca fu la commedia dell’arte – detta anche commedia a soggetto o commedia improvvisa – che, nata nella seconda metà del Cinquecento, presto soppiantò, nella storia del teatro e nella vita sociale, almeno per molto tempo la commedia dotta rinascimentale. Si disse commedia dell’arte […] una commedia, in tre atti, recitata non più da dilettanti ma da comici di professione, che, riuniti in «compagnie» sotto la direzione di un capocomico, si spostavano dall’una all’altra città, addirittura dall’una all’altra nazione. Tali commedie non erano scritte interamente, come sie è fatto fino allora: l’autore, per lo più un attore o un «poeta di teatro» legato alla compagnia da un contratto regolare, stendeva dei «canovacci» o «scenari», cioè delle trame di commedia[…].

Completavano e arricchivano il dialogo i «lazzi», cioè scene mimiche, quindi mute o quasi, intercalate al dialogo a suscitare il riso. (p. 366)

Terzo elemento caratterizzante la commedia dell’arte erano le maschere, tipizzazioni nelle quali si erano fissati i tipi comici presenti nella commedia latina e nel teatro rinascimentale. (pp. 366-367)

Nacquero così le maschere – Pulcinella, Arlecchino, Brighella, Pantalone, il «dottore» e via dicendo – caratterizzazioni ora degli abitanti di una determinata regione o città. Molte maschere erano regionali e parlavano il dialetto della loro regione – ora di una classe sociale, ora di un tipo umano. (p. 367)

*MICHELANGELO BUONARROTI IL GIOVANE (1568-1646. La Tancia)

Altro genere nuovo e caratteristico della civiltà barocca fu il dramma musicale, conosciuto più tardi con i nomi, vivi ancora oggi, di «melodramma» o «opera». (p. 370)

[…]potrebbe dirsi che il romanzo fu allora la trasposizione in prosa del poema avventuroso[…].

Era dunque una letteratura evasiva e patetica, come lo era stata quella cavalleresca ed eroica, ma in prosa, adatta a un pubblico meno elevato per nascita e per cultura. (p. 374)

*GIULIO CESARE CROCE (1550-1609. Sottilissime astuzie di Bertoldo. Le piacevoli e ridicolose simplicità di Bertoldino).

Nel Seicento fiori anche, con rigoglio nuovo, la letteratura in dialetto[…]. (p. 378)

*GIUSEPPE BERNERI (1634-1700. Meo Patacca).

7 – IL SISTEMA LETTERARIO p. 381

IV – L’ETÀ DELL’ARCADIA p. 385

1 – L’ETÀ DELL’ARCADIA p. 387

[…] il tratto distintivo della nostra cultura nel primo Settecento fu l’adesione al razionalismo cartesiano, che fu allora alla base del pensiero e dell’attività di tanti, che servì da sostegno nella polemica contro la cultura e la letteratura del Seicento, che fu adoperato anche dagli intellettuali cattolici contro il sensismo e il materialismo. […]

Tutti caratteri, questi, in antitesi con i modi di sentire e di scrivere barocchi[…]. (p. 389)

In sostanza, la «rivoluzione» di cui si vantavano i letterati del primo Settecento, era piuttosto una «restaurazione»: lo scrittore, nella maggior parte dei casi, restò un letterato chiuso nell’ambito di una ristretta «Repubblica delle Lettere»; avvivò la sua opera di un moralismo sincero ma quasi sempre attratto, non legato alla realtà concreta del tempo; polemizzò contro eccessi, distorsioni, malanni morali e sociali, ma con cauta prudenza, rispettoso, tranne rare eccezioni, delle autorità statali ed ecclesiastiche. (p. 391)

2 – LA CULTURA NELL’ETÀ DELL’ARCADIA p. 393

*LUDOVICO ANTONIO MURATORI (1672-1750. Rerum italicarum scriptores)

*GIAMBATTISTA VICO (1668-1744. Scienza nuova. [Corsi e ricorsi])

3 – LA LETTERATURA NELL’ETÀ DELL’ARCADIA p. 405

Il fatto letterario più notevole del primo Settecento fu l’Accademia di Arcadia, sorta a Roma nel 1690. Già da qualche anno letterati e intellettuali si solevano incontrare presso la regina Cristina di Svezia, che, rinunciato al trono e convertitasi dal protestantesimo al cattolicesimo, si era stabilita a Roma. (p. 405)

[….] in antitesi con il «cattivo gusto» barocco, un «buon gusto» esemplato sul Canzoniere del Petrarca e sulle imitazioni cinquecentesche di esso[…].

L’Arcadia, dunque, sorse con il programma di liquidare l’eredità barocca, per elaborare un gusto nuovo[…]. (p. 406)

*PIETRO TRAPASSI “METASTASIO” (1698-1782)

*LORENZO DA PONTE (1749-1838)

Nel corso del secolo si sviluppò inoltre, come sottogenere dell’opera, la così detta «opera buffa», giocosa nella musica e nel testo, che diede, in quel secolo e nel seguente, capolavori musicali con il Don Pasquale, il Barbiere di Siviglia e via dicendo, fino al Falstaff di Verdi. (p. 415)

4 – IL SISTEMA LETTERARIO p. 422

V – L’ETÀ DELL’ILLUMINISMO p. 425

1 – L’ETÀ DELL’ILLUMINISMO p. 427

Questi anni […] furono caratterizzati da un fenomeno culturale che, con un termine generico e comprensivo, diciamo «dell’illuminismo»[…]. (p. 428)

Gli illuministi, a definire la loro età, parlarono di una «età dei lumi», in contrasto con le «tenebre» che fino allora avrebbero offuscato le menti. (p. 429)

Accanto al «filosofo», l’altro «uomo» ideale dell’illuminismo fu il «mercante»[…].

[…] il culto della Ragione s’intrecciava con l’accettazione del sensismo[…]. (p. 431)

Fu ancora abbondante la letteratura scientifica, che però, nel suo insieme, pare continuare quella del Seicento. Essa si divide ancora tra l’italiano e il latino, il primo nelle opere destinate a un pubblico non di soli specialisti, il secondo a uno internazionale di specialisti. (p. 436)

Un genere che ebbe uno sviluppo significativo fu il giornalismo, e con esso quella forma di giornalismo che è la pubblicistica letteraria, politica, sociale, economica[…]. (p. 436)

Il romanzo: Samuel Richardson (1689-1761 Pamela; Clarissa); Jean-Jacques Rousseau (1712-1778, La nuova Eloisa); Jonathan Swift (1667-1745. I viaggi di Gulliver); Daniel Defoe (1660-1731. Robinson Crusoe).

2 – L’ILLUMINISMO IN ITALIA p. 440

*PIETRO VERRI (1728-1797. Il Caffè)

*CESARE BECCARIA (1738-1794. De’ delitti e delle pene)

3 – LA LETTERATURA NELL’ETÀ DELL’ILLUMINISMO: CRITICI, GIORNALISTI, SAGGISTI p. 451

4 – LA LIRICA, LA DIDATTICA, LA SATIRA E GIUSEPPE PARINI p. 464

GIUSEPPE PARINI (1729-1799. Dialogo sopra la nobiltà; Odi; Il Giorno)

5 – IL TEATRO COMICO E CARLO GOLDONI p. 479

In Italia la riforma la compì, nei decenni tra il 1740 e il 1770 all’incirca, il veneziano Carlo Goldoni[…]. (p. 480)

*CARLO GOLDONI (1707-1793)

Dal punto di vista tecnico, la riforma goldoniana consisté nella sostituzione di commedie scritte a quelle «improvvisate» della commedia dell’arte. […] si svolge attraverso un processo graduale[…].

Più tardi, consolidato questo primo successo, il Goldoni passò alla eliminazione graduale delle maschere[…]. […]abolì anche i «servi».[…] era ora «realistica», trasposizione sulla scena del mondo reale. (p. 482)

Il teatro goldoniano, dunque, è «borghese» nel senso più profondo della parola[…]. (p. 487)

6 – IL TEATRO TRAGICO E VITTORIO ALFIERI p. 494

*VITTORIO ALFIERI (1749-1803)

[…]tragedie – diciannove, più alcune postume o incompiute – che egli compose, nel desiderio, comune al suo secolo, di dar vita a un teatro tragico nazionale. (p. 501)

7 – IL SISTEMA LETTERARIO p. 508

VI – L’ETÀ DELLA RIVOLUZIONE E DI NAPOLEONE: DALL’ILLUMINISMO AL ROMANTICISMO p. 511

1 – DALLA RIVOLUZIONE ALLA RESTAURAZIONE p. 513

[…] furono numerosi gli storici[…]. (p. 516)

*VINCENZO CUOCO (1770-1823)

Un richiamo al mondo antico era venuto poi dall’archeologia, dalle belle arti, dalle tante discussioni su esse. Questo movimento fece capo all’archeologo tedesco JOHANN JOACHIM WINCKELMANN (1717-1768)[…], teorizzò la superiorità dell’arte di Fidia e del suo tempo su qualsiasi altra arte di qualsiasi altra età. Per Winckelmann e per i suoi seguaci l’arte classica era perciò non un aspetto storicamente determinato del gusto, ma il «Bello», assoluto, eterno, perseguibile in tutti i paesi e in tutte le età da chiunque voglia essere artista. (p. 520)

Più tardi, per le stesse ragioni, al culto di Richardson si aggiunse quello dello pseudo Ossain, cioè delle opere che lo scozzese JAMES MACPHERSON (1736-1796) aveva pubblicate tra il ‘61 e il ‘73, affermando di aver raccolto e tradotto dal gaelico canti epici di antichi bardi.(p. 522)

La tendenza alla malinconia e alla cupezza fu rafforzata dall’incrocio con la poesia tedesca[…].

E vi fu poi la conoscenza della così detta «poesia sepolcrale» inglese: L’Elegia scritta in un cimitero di campagna di THOMAS GRAY (1716-1771)[…]. (p. 523)

2 – VINCENZO MONTI (1754-1828. Bassvilliana; Ode al Signor Montgolfier) p. 526

Negli stessi anni si dibatté appassionatamente la questione della lingua, e fiorì una scuola che si disse «purismo» e che, in antitesi con le tesi settecentesche dei Verri e di Cesarotti, ritenute corruttrici, combatté i forestierismi, specie i francesismi, e propugnò la «purezza» della lingua, ricercandola nel Trecento, considerato erroneamente il «secolo d’oro», ancora immune da influssi stranieri. (p. 530)

*PIETRO GIORDANI (1774-1848)

Primo ammiratore, e, in un certo senso, scopritore del Leopardi[…]. Vagheggiò e propugnò a lungo l’ideale di un «perfetto scrittore italiano», che credette di aver realizzato nel Leopardi: uno scrittore che sapesse elaborare una prosa perfetta, nella quale però confluissero un ricco mondo di affetti e la volontà di ammaestrare ed educare. (p. 531)

3 – UGO FOSCOLO (1778-1827) p. 532

Primo scritto caratterizzante del Foscolo furono le Ultime lettere di Jacopo Ortis, un romanzo epistolare nato da una genesi lunga e difficile. (p. 535)

Le due odi – A Luigia Pallavicini caduta da cavallo e All’Amica risanata – e i dodici sonetti che il Foscolo compose dopo il 1798 e pubblicò nel 1803[…]. (p. 538)

Più vicini all’Ortis sono i sonetti[…]. (p. 539)

I Sepolcri; Le Grazie.

4 – IL SISTEMA LETTERARIO p. 549

VII – L’ETÀ BORGHESE DEL RISORGIMENTO E DEL ROMANTICISMO p. 551

1 – ROMANTICISMO E RESTAURAZIONE p. 553

A designare il complesso di questi stati d’animo e i modi di cultura e di arte ne quali essi si espressero, si adopera oggi il termine «romanticismo». [… ]

Nei paesi latini la parola fu introdotta dalla signora ANNE LOUISE DE STAEL (1766-1817) p. 557

[…] SI PUÒ AFFERMARE CHE NEGLI ANNI Risorgimentali e romantici si concluse una fase millenaria della letteratura (quella romantica) e se ne aprì una nuova: quella borghese. (p. 561)

E Manzoni nella Lettera sul romanticismo ribadì che la poesia deve avere il «vero» come oggetto, l’«interessante» come mezzo, l’«utile» come fine[…]. (p. 563)

Estraneo alla società borghese e ai suoi valori, questo intellettuale romantico si chiude in se stesso, spezza i legami fra sé e gli altri uomini, esaspera fino alla morbosità il senso e il culto dell’io. Ed ecco allora il gusto della solitudine[…]; ecco il culto della propria sensibilità e dei propri sentimenti[…]. (pp. 564-565)

Quest’artista romantico si sente diverso[…] perché lui[…] possiede il «genio».[…]

Più tardi questo mito degenerò nell’estetismo del «superuomo» dannunziano[…]. […]

Un altro tratto distintivo della cultura del primo Ottocento […] fu l’attenzione rivolta alla «poesia popolare»[…]. (p. 565)

All’interesse per la «letteratura del popolo» si accompagnò presto una produzione, cosciente e teorizzata, di «letteratura per il popolo»[…]. (p. 566)

Nacquero così in gran numero, lungo tutta l’età del Risorgimento, almanacchi, strenne, e poi giornaletti e giornali «educativi», cioè composti con lo scopo esplicito di diffondere tra il «popolo» nozioni utili e ammaestramenti morali, civili, patriottici, religiosi, servendosi anche di dialoghi, racconti, cioè di vere e proprie forme di «letteratura». (p. 567)

A grandi linee, schematicamente, le soluzioni più notevoli furono due o tre. Il purismo che, nell’aspirazione alla «purezza» della lingua, anche in funzione nazionale e patriottica, teorizzava il ritorno alla lingua del Trecento[…] sarebbe stata ancora immune da influenze straniere. […]

Il classicismo di quanti […] miravano a una lingua nella quale la cautela verso i forestierismi e i neologismi non soffocasse la «modernità», ma d’altra parte, l’accoglimento delle istanze del mondo moderno non distruggesse il patrimonio di valori proprio della tradizione. […]

Il romanticismo che, si è già visto, poteva giungere […] al rifiuto della tradizione e del «Bello», e che perciò meglio e più si poneva, con coerenza e sensibilità, l’esigenza di una lingua nazionale e popolare: di una lingua, cioè, che permettesse alle opere di pensiero e di arte di arrivare a tutti i lettori possibili. Maestro di questa tendenza fu […] ALESSANDRO MANZONI[…]. Tesi del Manzoni fu quella del «fiorentino civile»: l’uso cioè del fiorentino parlato, in quella fase di storia, a Firenze dalle persone colte. (p. 570)

Scomparve cioè dalla letteratura, in prosa e in verso, quella mitologia greco-latina che ne era stata un elemento essenziale dall’umanesimo in poi[…].

Questi lettori potenziali, non illetterati ma non letterati, chiedono al libro storie e personaggi con i quali sia possibile stabilire una comunicazione simpatetica[…]. (p. 572)

2 – LA LETTERATURA NELL’ETÀ DEL ROMANTICISMO p. 573

[…] il romanticismo fu battaglia non contro i «classici» ma contro i «classicisti»[…].

Da ciò la polemica contro le regole in genere e le tre unità e, in particolare, il ripudio della mitologia, l’aspirazione a una lingua viva e parlata; e, su un altro piano, la considerazione del vero e della storia quali fonti primarie di una letteratura mirante ad interessare e a commuovere. (p. 575)

*VINCENZO GIOBERTI (1801-1852. Primato morale e civile degl’Italiani) propugnò[…] la nascita di uno Stato italiano costituito da una confederazione di sovrani nazionali intorno al papato. (p. 577)

*CESARE BALBO (1759-1853)

*GIUSEPPE MAZZINI (1805-1872)

*CARLO CATTANEO (1801-1869), […] in contrasto col Mazzini, tendé a una confederazione di repubbliche, sul modello svizzero, a rispettare la particolarità etniche, politiche e culturali delle singole regioni. (p. 579)

*GIUSEPPE FERRARI (1811-1876) […] sostenne tesi federalistiche. (p. 580)

*CARLO PISACANE (1818-1957) […] fu tra coloro che dopo il fallimento dei moti del ‘48-’49 capirono meglio la necessità di allargare il movimento nazionale alle masse contadine[…]. (p. 580)

Il modulo secondo il quale, nei primi decenni romantici, si atteggiò il romanzo fu quello del così detto «romanzo storico». (p. 581)

Ed ecco allora il diffondersi del romanzo storico, consistente, secondo la formula manzoniana, in un «misto di storia e di invenzione», il che significava inserire su uno sondo storico reso con scrupolo più o meno rigoroso una storia e dei personaggi inventati, ma, almeno in teoria, inventati e rappresentati in armonia con quello sfondo, legando le tram e i caratteri individuali alle particolarità di un’epoca storica in un determinato paese.

In Italia […] parve allora maestro lo scozzese WALTER SCOTT (1771-1832)[…]. (p. 582)

Il romanzo sociale[…]

Tra gli scrittori che fondarono questo modulo e gli dettero prestigio vi fu, in Francia, soprattutto HONORÉ DE BALZAC (1799-1850), il quale scrisse una quantità enorme di romanzi, che presto considerò come un «ciclo»[…].

In Inghilterra CHARLES DICKENS (1812-1870), dagli anni Trenta fu il romanziere più popolare[…]. ALEXANDRE DUMAS padre (1802-1870); VICTOR HUGO (1802-1885) (p. 584)

Ma in Italia, per lo scarto esistente tra il processo politico e sociale e quello di altri paesi più avanzati, per il prevalere degli interessi patriottici, per la mancanza ancora di una consistente società borghese, l’evoluzione del romanzo fu assai più lenta. […]

Una forma particolare di narrativa fu la letteratura memorialistica[…]. (p. 585)

Il più noto di questi memorialisti fu SILVIO PELLICO, di Saluzzo (1789-1854).[…] Ma la sua fama fu e resta affidata a un libretto di memorie (Le mie prigioni, 1832). (p. 586)

Questa letteratura di memorie proseguì anche nella seconda metà del secolo, specialmente a opera di coloro che avevano vissuto l’epopea garibaldina. […]

GIUSEPPE BANDI (1834-1894. I Mille); GIUSEPPE CESARE ABBA (1838-1910), Da Quarto al Volturno. (p. 587)

La letteratura in dialetto[…] (p. 595)

*CARLO PORTA (1775-1821)

*GIOACCHINO BELLI (1791-1863)

[…] importanza enorme ebbe la musica che con Vincenzo Bellini, Gaetano Donizetti, Gioacchino Rossini, Giuseppe Verdi, fu interprete della sensibilità romantica più di qualsiasi altra arte[…].

Un altro fatto nuovo e notevole della civiltà letteraria negli anni del romanticismo fu lo sviluppo della critica, che assunse allora una estensione e dei caratteri non avuti mai, e diventò ed è rimasta poi – un vero e proprio «genere» letterario con una sua funzione varia e molteplice. (p. 602)

Questa figura si fece presto frequentissima: i critici di professione, che scrivono su giornali e riviste, a pagamento; che lavoro per editori, e mettono assieme antologie[…]; curano classici; dirigono collane di moderni: sono, insomma, ormai, gli operai della crescente industria letteraria. (p. 605)

3 – ALESSANDRO MANZONI (1785-1873) p. 608

Il primo scritto del Manzoni che ci resti è la «visione» in terzine, sul Trionfo della libertà, composto nel 1801. […]

Più importante il Carme in morte di Carlo Imbonati, del 1805. (p. 612)

Il Manzoni progettò di comporre dodici inni, che cantassero gli avvenimenti principali dell’anno liturgico; e fra il 1812 e il ‘15 ne scrisse quattro: Il Natale (1813), La Passione (1414-’15), La Resurrezione (1812), Il nome di Maria (1812-’13); un quinto – La Pentecoste – fu iniziato e condotto a termine più tardi. (p. 614)

I due anni fra la prima e la seconda stesura della Pentecoste furono riempiti da un tragedia, il Carmagnola, da un saggio di apologetica, Osservazioni sulla morale cattolica, da studi e riflessioni di storia e di estetica[…]. (p. 615)

Le tragedie[…]

Il «Carmagnola»; L’«Adelchi».

Le odi. Il Marzo 1821 canta il passaggio del Ticino – che però non ebbe luogo – da parte dei Piemontesi; il Cinque maggio celebra la morte di Napoleone[…]. (p. 620)

I PROMESSI SPOSI

Storia della Colonna infame del 1842[…]. […] il saggio La rivoluzione francese del 1789 e la rivoluzione italiana del 1859[…]. (p. 628)

4 – GIACOMO LEOPARDI (1798-1837) p. 631

Nel 1816 ebbe luogo, disse lui stesso, una sua prima conversione: il passaggio «dall’erudizione al bello», cioè la scoperta della poesia. […]

nel 1817 cominciò un carteggio con Pietro Giordani, che ebbe un’importanza essenziale. (p. 633)

Maturò allora una nuova crisi, che egli disse «filosofica»: il passaggio dal «bello» al «vero», dalle lettera alla filosofia; il che, poi, significò il passaggio di una poesia di «immaginazione»[…] a una poesia di «sentimento»[…]. (pp. 633-634)

Lo «Zibaldone»

Ogni articolo di quella organica enciclopedia è segnato dell’anno e del mese e del giorno in cui fu scritto, e tutta insieme va dal luglio del 1817 al 4 dicembre 1832[…]. (p. 635)

Da questa incapacità di adattarsi al mondo reale e, nello stesso tempo, di acquietarsi in sé, nasceva, come Leopardi la disse, la «noia», termine attinto pur esso dalla cultura sensistica, dove stava a indicare uno stato di vuoto interiore, una carenza della sensibilità e l’inerzia che ne consegue. (p. 636)

[…] Leopardi fu, per tutta la vita, ammiratore entusiasta della cultura dell’illuminismo, in cui vide – fino alla ginestra – il tentativo più nobile e più coerente di riparare ai mali dell’umanità[…]. (p. 637)

[…] per il Leopardi la sua infelicità era, come quella degli uomini tutti del suo tempo, un fatto sociale e storico, prodotto della corruzione della società e frutto di un corso storico distorto. E da questo «pessimismo storico» nacquero le liriche fra il ‘18 e il ‘23 e nacquero, nel corso del 1824, le Operette morali. (p. 638)

Gli idilli […] L’infinito; La sera del dì di festa; Alla Luna[…]. (p. 639)

Le «Operette Morali».

[…] nel corso di esse si passa da ciò che si è definito qui addietro «il pessimismo storico» a ciò che si suole chiamare il suo «pessimismo cosmico». (p. 643)

[…] Leopardi, travolto nella «delusione storica» del suo tempo, approdò, come doveva approdare, a un pessimismo assoluto, che coinvolgeva nella condanna non solo l’uomo e la sua teoria ma la stessa natura, e considerava l’infelicità un dato costante ed esistenziale dell’uomo. (p. 644)

[…] per qualche anno il Leopardi scrittore tace, vi è solo il compilatore e il traduttore, e vi è un senso gelido dell’inutilità di tutto e di tutti[…]. (p. 647)

I «grandi idilli» (A Silvia; Il sabato del villaggio; La quiete dopo la tempesta; Il passero solitario; Canto notturno di un pastore errante dell’Asia)[…].

Ora, dunque, egli ricorda, e sa che quelle sono cose lontane e morte, che la vita è dolore, che la sua adolescenza è stata pianto e speranze deluse. (p. 648)

5 – IL SECONDO ROMANTICISMO E LA SCAPIGLIATURA p. 655

Dopo il ‘60, quando l’unità d’Italia era una realtà e già si ponevano i problemi del postrisorgimento e si diffondeva la cultura positivistica, si delineò una corrente la cui importanza storica, al di là degli esiti letterari, è notevole. Essa è stata chiamata della «scapigliatura», e comprende, in senso stretto, un gruppo di poeti milanesi o viventi a Milano[…] (pp. 658-659)

La scapigliatura dunque – nella definizione dell’Arrighi, che traduceva così il francese bohème – era un fenomeno di anarchismo borghese, un disorientamento morale provocato da una specie di incompatibilità alle leggi del mondo borghese. (p. 659)

Gli «scapigliati» sono appunto di questi «vinti»: intellettuali che rifiutano il progresso e il positivismo avanzante; rifiutano la scienza; non accettano le strutture borghesi[…]. (pp. 659-660)

*ARRIGO BOITO (1842-1918)

*IPPOLITO NIEVO (1831-1861)

6 – IL SISTEMA LETTERARIO p. 665

VIII – L’ETÀ BORGHESE DEL POSITIVISMO E DEL REALISMO p. 670

1 – LA NUOVA ITALIA p. 671

[…]« positivismo», cioè nella tendenza, largamente diffusa, a rifiutare le varie forme di spiritualismo proprie della cultura della restaurazione e del romanticismo per una cultura laica e mondana, ancorata ai fatti «positivi»[…]: una cultura quindi baconianamente e illuministicamente di carattere scientifico, attenta a conoscere il mondo per poterlo dominare. (p. 678)

*AUGUSTE COMTE (1798-1857)

*CHARLES DARWIN (1809-1882)

*HERBERT SPENCER (1820-1903)

*JOHN STUART MILL (1806-1873)

*CESARE LOMBROSO (1833-1907)

Intanto, il mercato librario si unifica e si allarga. L’unità statale apre alla produzione letteraria e artistica un mercato nazionale che prima non era mai esistito: sorgono case editrici, riviste, giornali, di ambito nazionale, mentre una miriade di iniziative locali pullula nelle città minori, con ambiti di diffusione provinciali o cittadini. (p. 682)

Tutto questo significa che ormai il «letterato», lo «scrittore», è inserito in una società «borghese», dove vige il diritto di autore, dove il suo lavoro è richiesto e pagato, dove è possibile collaborare a buone condizioni a giornali e riviste, dove lo scrivere può essere una «professione», spesso anche lucrosa, ma dove la concorrenza è assai forte[…]. (p. 683)

Questa letteratura della nuova Italia fu sostanzialmente «borghese». (p. 685)

2 – LA LETTERATURA DELLA NUOVA ITALIA p. 690

Perciò la tendenza al «reale» (o, come dissero anche, al «vero») permeò tutta la letteratura e la cultura del tempo. (p. 690)

3 – I GENERI E I LIVELLI LETTERARI: LA NARRATIVA p. 694

Il genere (o il complesso di generi e di sottogeneri) egemone, fu, sempre più, la narrativa: per tante ragioni che sono tutt’uno con le strutture sociali e mentali di quelli anni. (p. 694)

La poetica dominante[…] fu quella del «Naturalismo»: un movimento sorto in Francia, e di cui teorico e maestro fu ÉMILE ZOLA (1840-1902), che si rifaceva al medico e biologo Claude Bernard e alle tesi, già ricordate, di Hippolyte Taine. (p. 695)

*LUIGI CAPUANA (1839-1915. Giacinta; Il Marchese di Roccaverdina)

*FEDERICO DE ROBERTO (1861-1929. I Viceré)

*MATILDE SERAO (1856-1927)

*EMILIO DE MARCHI (1851-1901. Demetrio Pianelli)

*EDMONDO DE AMICIS (1846-1908. Cuore; Il romanzo di un maestro; Primo Maggio)

*CARLO COLLODI (1826-1890. Le avventure di Pinocchio)

4 – GIOVANNI VERGA (1840-1922) p. 707

Una peccatrice; Storia di una Capinera; Eva; Tigre Reale; Eros.

Verga vi racconta già, in genere, storie di «vinti»[…]. (p. 709)

Novelle: Nedda; raccolte Vita dei Campi e Novelle rusticane.

Verga immagina un ciclo di cinque romanzi, nei quali «studiare» […] cinque casi diversi, in cinque ambienti diversi, di «vinti»[…]. (p. 711)

[…] una famiglia di pescatori (I Malavoglia), un «tipo borghese» incorniciato «nel quadro ancora ristretto di una piccola città di provincia» (Mastro-don-Gesualdo), la «vanità aristocratica» (La duchessa di Leyra), l’«ambizione» politica (L’onorevole Scipioni), l’unione di «tutte coteste bramosie, tute coteste vanità, tutte coteste ambizioni» (L?uomo di lusso). […] Il progetto però non fu portato a termine, e scrisse solo i due primi romanzi e il primo capitolo del terzo. (p. 712)

Teatro: I nuovi Tartufi; Cavalleria rusticana; La Lupa.

7 – IL TEATRO p. 721

Un genere che allora riassunse rilievo […] fu il teatro. […]

Il teatro era allora, meglio e più di giornali e riviste, uno strumento di aggregazione sociale. […]

Morta la tragedia, fiorì, accanto a vari «generi» minori di puro intrattenimento e consumo, il dramma[…].

Questo teatro perciò fu anch’esso, come la narrativa, «borghese». (p. 721)

Il teatro verista in senso stretto nacque più tardi, e u, come la narrativa, sotto l’influsso di quello francese, soprattutto di Zola[…].

In Italia nacque con la Cavalleria rusticana[…]. (p. 724)

Il teatro realista[…]

*GIUSEPPE GIACOSA (1847-1906) […] autore di molti libretti per Puccini[…]. (p. 725)

6 – LA LIRICA p. 728

* GIOSUÉ CARDUCCI (1835-1907)

Le «Odi barbare»; «Rime e ritmi».

All’attività del poeta si affiancò, lungo tutta la vita del Carducci, quella del polemista e del critico, che si espresse in una prosa elaborata, letteraria, sentita complemento alla poesia. (pp. 735-736)

7 – LA CRITICA LETTERARIA E FRANCESCO DE SANCTIS p. 739

*FRANCESCO DE SANCTIS (1817-1883)

[…]la Storia della letteratura italiana[…] che il De Sanctis compilò fra il 1869 e il 1871, come un manuale per i licei[…].

A fondamento della Storia è la tesi romantica della letteratura «espressione della società». (p. 745)

8 – IL SISTEMA LETTERARIO p. 749

[…] l’«opera», che continua la sua vita gloriosa, si fa «realistica» e qualche volta «verista» (Verdi, Mascagni, Giordano, Cilea, Ponchielli, Leoncavallo, Puccini), è fruita da un pubblico sì cittadino ma composito che in certe zone si spinge fino ai ceti infimo-borghesi, artigianali, popolani. (p. 750)

IX – TRA DUE SECOLI: GLI ANNI DEL DECADENTISMO E L’ETÀ GIOLITTIANA p. 753

1 – PREMESSA AL NOVECENTO p. 755

[…] l’opera d’arte perde il carattere di oggetto perfetto e unico per diventare uno dei tanti oggetti prodotti dall’industria che si usano e poi si gettano via: qualcosa da consumare, non da preservare nella sua perfezione irripetibile. (p. 767)

2 – TRA I DUE SECOLI p. 771

*GAETANO SALVEMINI (1873-1957)

*GIOVANNI AMENDOLA (1926)

*GIUSEPPE PREZZOLINI (1882-1982. «La Voce»)

*GIOVANNI PAPINI (1881-1956

*BENEDETTO CROCE (1866-1952)

*RENATO SERRA (1884-1915)

3 – GLI ANNI DEL DECADENTISMO p. 798

GABRIELE D’ANNUNZIO (1863-1938)

Chi nella vita come nell’arte, impersonò allora quegli ideali e può essere considerato il prototipo del decadentismo italiano, in un certo seno il solo suo grande rappresentante in Italia, fu Gabriele D’Annunzio. […]

Lungo l’Ottocento, fu essenzialmente un «esteta», un «dandy», un «decadente»; il che vol dire che scrisse e recitò[…] essenzialmente per quelle élite aristocratiche e alto-borghesi che costituivano la società del tempo: la sola che contasse. Ma più tardi, già alla fine del secolo, avvertì l’allargarsi della base sociale, il costituirsi di un platea più ampia e composita, e cominciò a rivolgersi a essa. (p. 801)

Opere: Primo vere; Canto novo; Il Fuoco; Vergini delle rocce; Giovanni Episcopo; Il Piacere; L’Innocente; Il Trionfo della Morte; Forse che sì, forse che no

Ma presto, con le opere seguenti, D’Annunzio fu tra gli scrittori che più e meglio contribuirono alla dissoluzione, dall’interno, delle forme ottocentesche. (p. 807)

[…] con le Laudi[…] D’Annunzio rifiutò il verso e la metrica tradizionali, sostituendoli con il così detto «verso libero», cioè con serie di versi aggruppati liberamente, eventualmente rimati ma al di fuori di ogni schema, ritmati e accentati senza regole[…]. (p. 808)

Ancora più significativo, da questo punto di vista, il lavoro che svolse nella prosa. Le sue prime raccolte di novelle[…] rientravano in pieno nella letteratura naturalistica[…].

A schemi naturalistici si rifacevano anche i suoi primi romanzi, che volevano essere analisi della società aristocratica[…] studiata nella sua corruzione e depravazione[…].

Ma subito, fin dai primi romanzi, si ebbe uno scarto tra le intenzioni naturalistiche e i risultati, per la disattenzione di D’Annunzio al reale, per la sua incapacità a rappresentare una realtà umana senza trasfigurarla[…]. Comincia così già con Andrea Sperelli, il protagonista del Piacere, quella proiezione di sé nei protagonisti, che caratterizza tutta la sua narrativa[…]. (p. 809)

*ANTONIO FOGAZZARO (1842-1911. Malombra; Piccolo Mondo Antico; Piccolo mondo moderno)

Il Fogazzaro così sembra auspicare anche lui l’avvento di un «superuomo», che fu un’attesa largamente diffusa in quegli anni. Solo che il suo «superuomo» ha i tratti non dell’esteta ma del «santo»[…]. (p. 815)

*GIOVANNI PASCOLI (1855-1912)

Dal carcere, dove rimase alcuni mesi, uscì sconvolto e smarrito, convinto dell’esistenza di un forza superiore che travolge egualmente oppressori e oppressi e contro la quale è inutile ribellarsi. […]

Dopo la breve ventata socialisteggiante della sua adolescenza, egli depose ogni speranza di rinnovamento del mondo, e partecipò anzi di quel senso di sconfitta, di frustrazione, di timori apocalittici che caratterizzarono gli ultimi anni del secolo. (p. 817)

[…] attribuendo dunque al «poeta» la missione di maestro e di leader.[…]

Vicino e simile nel comune rifiuto del socialismo diverso e lontano come rappresentante […] di un’Italia rurale e piccolo-borghese[…].

Pascoli ha esposto la sua poetica in un discorso famoso (Il fanciullino, 1897). In esso[…] asserisce che in noi, anche uomini fatti, vi è «un fanciullino[…] che ci insegna esso a guardare le cose fuori e dentro di noi e a nominarle con occhi e parole di poeta. (p. 819)

La poesia, dunque, è la voce di quel fanciullino che è in noi – cioè che è nel pota – e che sa vedere nelle cose il nuovo, non inventandolo ma scoprendolo[…]. (p. 820)

Myricae; Primi poemetti; Odi ed inni; Poemi del risorgimento; Poemi conviviali; Nuovi poemetti; Canti di Castelvecchio.

[…] la disarticolazione[…]; il simbolo, per cui le cose dette rinviano a qualcos’altro, ma a un qualcosa di vago e di impalpabile, che è facile sentire, difficile chiudere in termini razionali. (p. 823)

*GRAZIA DELEDDA (1871-1936)

4 – I GENERI: LA NARRATIVA p. 830

Il romanzo «nuovo» dunque tende a essere soggettivo, lirico, rappresentazione non tanto di «fatti» quanto del modo in cui essi sono vissuti da una «coscienza». […]

Vi era un romanzo di «consumo popolare», letto da strati di pubblico di cultura modesta[…]. A questo filone appartengono i romanzi polizieschi, che da noi cominciavano allora a leggersi in traduzione (Conan Doyle con il suo famosissimo Sherlock Holmes), o quelli di avventure che potremmo dire pre-fantascientifiche ([…] Giulio Verne) o quelli di avventure per ragazzi ([…]Emilio Salgari[…]), o quelli che continuavano il romanzo d’appendice (famosissima allora Carolina Invernizio), o quelli «rosa» per ragazze[…].

Su un altro piano vi erano i romanzi che potremmo dire «di consumo per lettori medioborghesi»: più ambiziosi nelle loro pretese ideologiche e artistiche, ma miranti a farsi leggere da un pubblico il più largo possibile[…]. (p. 832)

Su un altro piano ancora vi erano quelli nei quali la dissoluzione dei moduli narrativi naturalistici e la ricerca di moduli nuovi fu consapevole e programmatica; quindi coloro che costituirono la nostra «avanguardia» narrativa[…]. È il caso delle opere di Palazzeschi, Marinetti, Soffici, Govoni: i romanzi della ruomorosa sperimentazione futuristica ed espressionistica, o, su un altro piano, quelli degli sperimentatori pazienti e solitari: Pirandello e Svevo. (p. 833)

*ITALO SVEVO (1861-1928)

Una vita[…] storia di un «vinto»[…]. (p. 835)

Il personaggio di Svevo è sconfitto invece da un qualcosa che è dentro di lui e che, si direbbe, è anteriore a ogni suo incontro con gli altri: una sua incapacità alla vita, come egli capisce alla fine del libro, prima di uccidersi; la presenza, dentro di lui, di qualcosa che «gliela rendeva dolorosa, insopportabile». (p. 836)

Senilità; La coscienza di Zeno

5 – I GENERI: LA LIRICA p. 842

[…] i nomi che spiccano[…] sono pochi, ma in cui comprimari e comparse sono tanti. (p. 842)

[…]«decadenti» o «simbolisti» o «liberty»[…] tra Otto e Novecento. Sono tutti scrittori che prendono le mosse dai «decadenti» e «simbolisti» francesi e belgi e dal nostro D’annunzio[…]:versi raffinati, linguaggio raro e arcaizzante, temi preziosi[…].

I crepuscolari

Il termine «crepuscolari» fu coniato da Giuseppe Antonio Borgese[…]. (p. 843)

[…] una poesia malinconica e grigia come il crepuscolo della sera. […]

i crepuscolari sono giovani intellettuali che,credendosi sconfitti nella vita e nell’arte, si rifugiano in un passato che immaginano poetico, in una infanzia che mitizzano, in piccole cose che riconoscono «brutte» ma che sentono «buone»[…].

Alla tematica delle piccole cose facevano riscontro modi espressivi che trovavano il loro centro in una scrittura volutamente prosaica e quotidiana. (p. 844)

*GUIDO GOZZANO (1883-1916)

Dal punto di vista della poetica, il futurismo fu il primo moto organico italiano di «avanguardia»[…].

Questa poetica si espresse in una serie di «manifesti» che investirono tutte le attività artistiche: la pittura, la scultura, l’architettura, la scenografia, il teatro, il varietà, il cinema, addirittura la politica[…]. (p. 848)

*FILIPPO TOMMASO MARINETTI (1876-1944)

*ALDO PALAZZESCHI (1885-1974. Il codice di Perelà; Le sorelle Materassi)

*CORRADO GOVONI (1884-1965)

*ARDENGO SOFFICI (1879-1964)

6 – IL TEATRO p. 853

Vi è, fiorente, un teatro dialettale,con scrittori e attori famosissimi. (p. 853)

Vi fu poi, fiorente, un teatro che potremmo chiamare «di consumo borghese» e che allora dicevano «boulevardier», cioè modellato sugli spettacoli dati nei grandi viali a Parigi[…].

*NINO OXILIA (1888-1917. Addio giovinezza!)

Ma intanto penetravano influenze e fermenti nuovi; per esempio quello di HENRIK IBSEN (1828-1906)[…]. Altre spinte antinaturalistiche venivano dal belga MAURICE MAETERLINCK (1862-1949. Pelleas et Melisande). (p. 854)

*ROBERTO BRACCO (1862-1943)

Su un altro piano c’era il «teatro di poesia»[…]. (p. 855)

*SEM BENELLI (1877-1949. La cena delle beffe).

Su un altro piano ancora vi era un teatro che potremmo dire « di avanguardia», in quanto tentava sulla scena le stesse operazioni che nella prosa e nel verso compivano i futuristi e in genere gli sperimentalisti. (p. 855)

*PIER MARIA ROSSO DI SAN SECONDO (1887-1956)

*LUIGI PIRANDELLO (1867-1936)

Sei personaggi in cerca d’autore (1921).

[…] istituì una compagnia teatrale con la quale girò largamente l’Europa e l’America[…]. (p. 857)

Il fu mattia pascal (1904)

L’umorismo (1908). «Umorismo» è per lui «il sentimento del contrario»[…] e il contrasto tra l’essere e il parere, tra la sostanze e le forme, ci fa ridere. Ma se siamo capaci di passare dall’«avvertimento» al «sentimento del contrario», se cioè siamo capaci di vedere nello stesso tempo la maschera e il volto, l’esterno e l’interno dell’uomo, non ridiamo più. (p. 859)

L’esclusa (1893); Quaderni di Serafino Gubbio Operatore (1911); Uno, nessuno e centomila (1926; Novelle per un anno; Questa sera si recita a soggetto (1930); I giganti della montagna (1931).

7 – IL SISTEMA LETTERARIO p. 866

X – TRA LE DUE GUERRE: L’ETÀ DEL FASCISMO p. 869

1 – LA GUERRA E L’IMMEDIATO DOPOGUERRA p. 871

La base sociale dell’attività letteraria[…] è ancora tutta «borghese». […] Ma la «letteratura» era ancora borghese. […] In quegli anni dunque il pubblico che leggeva era tutto o quasi borghese[…]· (p. 884)

2 – LA CULTURA p. 888

Nel complesso, pertanto, la cultura italiana del ventennio ripeté, sviluppò, riadattò alle situazioni nuove motivi e tesi della cultura del primo Novecento, non elaborò idee nuove, e fu, in ultima istanza, una cultura provinciale, orgogliosa del suo presunto primato, sprezzante, senza confrontarsi con esso, del lavoro altrui. (p. 889)

Centri di organizzazione e aggregazione culturale furono, nel ventennio, quelli ormai tradizionali della società moderna: la scuola; l’università; il teatro; le case editrici; le riviste. (p. 891)

La prima, cronologicamente, delle riviste letterarie del ventennio, fu «La Ronda», pubblicatasi dall’aprile del 1919 al dicembre del 1923, a cura di alcuni scrittori e critiche in essa maturarono e definirono la loro vocazione e la loro poetica[…].

A queste manifestazioni considerate deteriori i rondisti contrapposero ciò che essi dissero «classicismo»[…]. (p. 892)

*PIETRO GOBETTI (1901-1926. Energie nuove; Il Baretti)

[…]«Solaria», fondata nel 1926 da Aberto Carocci[…] e pubblicatasi fino al ‘36, quando fu soppressa.[…]

[…] costituendo il luogo d’incontro di scrittori o critici quali Carlo Emilio Gadda, Elio Vittorini, Ungaretti, vale a dire la più alta letteratura del tempo. (p. 894)

*GIOVANNI GENTILE (1875-1944)

3 – I GENERI: LA LIRICA p. 901

[…]«ritorno all’ordine»[…].

[…] il rifiuto di quanto di esagitato e «avanguardistico» vi era stato nella cultura e nell’arte fino alla guerra, e il ritorno a una compostezza, i cui modelli potevano sia essere ritrovati in scrittori o età del passato, sia essere elaborati in modi nuovi e originali. […]

Alla base di questo «ritorno»[…] c’erano il ripudio dell’avanguardismo e la ricerca di una forma[…]. (p. 901)

In una prima sua fase, prima e durante la guerra, questa lirica si definì come tendenza al «frammento», vale a dire a componimento di breve misura, nei quali fosse evidente la volontà di un discorso poetico raddensato, sciolto dai vincoli tradizionali, liberato dalla discorsività e dalla «oratoria», tale da accogliere, con una concentrazione intensa,l ‘intuizione o illuminazione interiore. (p. 904)

[…] individualismo esasperato[…]; la dissoluzione della «poesia costruita» e la ricerca sperimentale, cioè quel processo «avanguardistico» al cui culmine[…] pare essere la prima produzione di Ungaretti. (p. 905)

*SCIPIO SLATAPER (1888-1915)

DINO CAMPANA (1885-1932. Canti orfici)

*GIUSEPPE UNGARETTI (1888-1970)

Il Porto Sepolto (1917); Allegria di naufragi (1919).

[…] scardinò il verso tradizionale, isolò ogni singola parola, l’avvolse di spazi bianchi e di pause, a caricarla così del maggiore peso possibile di valori intellettuali e affettivi. E adoperò tutti gli strumenti tecnici dei simbolisti – soprattutto l’analogia e la sinestesia – a congiungere velocemente oggetti e affetti apparentemente lontani. […]

Le liriche scritte dopo la guerra e raccolte più tardi, nel ‘33, con il titolo di Sentimento del tempo, parteciparono in pieno, ma in modi personalmente originali, al nuovo clima di restaurazione classificata. (p. 907)

Temi delle sue nuove liriche furono il sentimento del tempo, che passa senza sosta e senza pietà, e la coscienza allora della nostra fragilità, eppure, in questa coscienza, il senso della bellezza del mondo in cui siamo immersi e lo sforzo di cogliere questo mistero di bellezza. (p. 908)

Il dolore 1947; La terra promessa 1950; Un grido e paesaggi 1952; Il taccuino del vecchio 1960; Il deserto e dopo 1961; Morte delle stagioni 1967.

*EUGENIO MONTALE (1896-1981)

Ossi di seppia 1925.

[…] il senso di un atroce «male di vivere», per cui non resta all’uomo altro «bene» che la «divina Indifferenza». (p. 910)

Le occasioni 1939; Finisterre 1943; La bufera e altro 1956

Col passare degli anni questo sentimento di un immedicabile distacco dal mondo si fa sempre più acuto. (p. 911)

*UMBERTO SABA (1883-1957. Ernesto; Il Canzoniere)

La lirica degli anni Trenta – dal 1930 circa alla seconda guerra mondiale – è stata battezzata con un termine – ermetismo – ambiguo e complesso, che indica un modo non solo di rendere ma di vedere le cose, e che può riferirsi non solo la lirica ma anche a prosatori e saggisti[…]. (p. 916)

*SALVATORE QUASIMODO (1901-1968)

4 – I GENERI: LA NARRATIVA p. 919

*FEDERICO TOZZI (1883-1920. Tre Croci; Il podere)

[…] scrittori che sulla «Ronda» avevano fatto le loro prime prove. Maestro ne pareva nella prosa e nel verso VINCENZO CARDARELLI (1887-1959). (p. 923)

*ANTONIO BALDINI (1889-1962)

*BRUNO BARILLI (1880-1952)

Un altro gruppo potrebbe essere quello dei «solariani»[…].

*GIOVANNI COMISSO (1895-1969)

*ROMANO BILENCHI (1909-1989)

«Strapaese»

*CURZIO MALAPARTE (1898-1957

*MINO MACCARI (1898-1981)

Al polo opposto operò «Stracittà» che si espresse nella rivista «Novecento», pubblicata dal 1926 sotto la direzione di Massimo Bontempelli, e che mirò invece all’apertura verso l’Europa e il mondo moderno. (p. 927)

*MASSIMO BONTEMPELLI (1878-1960)

*DINO BUZZATI (1906-1972. Barnabo delle Montagne; Il deserto dei Tartari; Il segreto del bosco vecchio; Settanta Racconti; Un amore)

*ALBERTO SAVINIO (1891-1952)

*TOMMASO LANDOLFI (1908-1979)

[…] il racconto «rosa»[…] LIALA (pseudonimo di Liliana Negretti)[…].

Assai più importante il «giallo», cioè la narrativa poliziesca[…]. Essa era nata in A,erica con uno scrittore di altissimo livello, EDGAR ALLAN POE (1809-1849)[…]. Primo grandissimo maestro l’inglese ARTHUT CONAN DOYLE (1859-1930) il creatore di Sherlock Holmes[…]. (p. 931)

Nacque, dunque, allora in Italia come un «genere letterario», e i primi nostri giallisti furono romanzieri già di successo, come ALESSANDRO VARALDO (1878-1953) o giornalisti che ne intravidero le possibilità, come facevano intanto in Francia Geroges Simenon, il creatore di Mairet, e in America Raymond Chandler, il creatore di Marlowe. Di questi giallisti italiani il maggiore fu AUGUSTO DE ANGELIS (1888-1944)[…].

Per questo stesso pubblico vi era anche tanto giornalismo: quello quotidiano con i suoi inviati speciali; quello sportivo, a cui si è già accennato; quello a rotocalco; quello umoristico. In un quadro più largo della nostra attività letteraria del ventennio non potrebbero tralasciarsi il giornalismo umoristico né il rotocalco: certi periodici, come «Marc’Aurelio» e «Bertoldo» anno avuto una serie incidenza sul costume e sulla lingua, e certi giornalisti hanno esercitato una larga influenza, come LEO LONGANESI (1905-1957). E vi fu una letteratura umoristica, che, condizionata anch’essa dal fascismo, si esercitava sul costume più che sulla politica, ma che pure si costruì dei suoi moduli e un suo stile, e nella quale eccelse soprattutto il romano ACHILLE CAMPANILE (1900-1976). (p. 932)

*GUIDO DA VERONA (1881-1939)

5 – I GENERI: IL TEATRO p. 937

il fatto grosso fu l’esplosione, negli anni Venti, del teatro pirandelliano, cioè il passaggio di Pirandello dalla forma narrativa a quella teatrale come strumento privilegiato di espressione della propria concezione della vita. (p. 937)

Il teatro popolare

[…] dal teatro dialettale o da quel teatro «di varietà»[…]. (p. 939)

*ANTON GIULIO BRAGAGLIA (1890-1960)

*ETTORE PETROLINI (1886-1936)

6 – IL SISTEMA LETTERARIO p. 941

XI – L’ETÀ DELLA SOCIETÀ E DELLA LETTERATURA DI MASSA. GLI ANNI DEL NEOREALISMO p. 943

1 – IL SECONDO DOPOGUERRA p. 945

[…] l’editoria è diventata un’industria, intrecciata con altre attività quali il giornalismo, il cinema, la radio, la televisione,costretta a ubbidire alle leggi che regolano l’attività industriale. Essa quindi deve imporre i propri prodotti con mezzi pubblicati che condizionino il successo dell’opera, al di là del suo valore letterario, e deve produrre, come qualsiasi altra industria, prodotti smerciabili su un mercato quanto più vasto è possibile. (p. 947)

[…] nel rapido consumarsi delle mode anche i prodotti di avanguardia diventano presto «di consumo»: il pubblico si abitua a ciò che ieri gli pareva strano, e il libro, il quadro, la musica, che oggi fanno scandalo, domani non impressionano più, sicché l’artista che voglia far scandalo, distinguersi dal gusto corrente, deve cercare continuamente moduli nuovi, inventare dell’altro[…].

[…] si può ottenere il successo, commerciale, di massa, anche facendo, o fingendo di fare, avanguardia. (p. 948)

Ecco, allora, i così detti «intermedia», cioè le opere nate dalla mescolanza di mezzi espressivi diversi e dal confluire di diversi linguaggi artistici entro un medium nuovo; il radiodramma, il romanzo sceneggiato, la scultura dipinta, la pittura ritagliata, l’architettura con dentro figure, lo happening, e così via. (p. 949)

2 – GLI ANNI DEL «NEOREALISMO» p. 951

Tradotto in letteratura o, più generalmente, in arte, questo stato d’animo di superamento del passato, di confidenza fiduciosa nell’avvenire, di volontà di fare dell’arte uno strumento di partecipazione sociale, si disse «neorealismo»[…]. (p. 953)

Questa aspirazione fu comune sia a scrittori – prosatori piuttosto che lirici – sia ad artisti di arti figurative (si distinse soprattutto Renato Guttuso), sia, ancora, a registi cinematografici. Anzi proprio nel cinema il neorealismo diede presto el sue prove più alte, con registi quali Roberto Rossellini, Cesare Zavattini, Vittorio De Sica, Giuseppe De Santis, e con film che restano documento di un momento vivo del cinema italiano: Roma città aperta (1945); Paisà (1946); La terra trema (1947); Ladri di biciclette (1948); Riso amaro (1948); Non c’è pace tra gli ulivi (1949); Napoli milionaria (1949) ecc. (p. 954)

Perciò, per tutte queste contrastanti e intricate ragioni, gli anni tra il ‘45 e il ‘55 furono occupati, nella nostra letteratura, dalla produzione di opere variamente «neorealistiche» e dalla discussione intorno a esse[…]. (p. 957)

*CESARE PAVESE (1908-1950. Lavorare stanca; La luna e i falò; La casa in collina)

*VASCO PRATOLINI (1913-1991. Cronache di poveri amanti)

*ELIO VITTORINI (1908-1966. Il garofano rosso; Conversazione in Sicilia; Uomini e no)

*ALBERTO MORAVIA (1907-1990. Gli indifferenti; La mascherata; La noia Racconti Romani; LA romana; La ciociara)

*CORRADO ALVARO (1895-1956. Gente in Aspromonte)

*CARLO LEVI (1902-1975. Cristo si è fermato a Eboli)

*CARLO BERNARI (1909-1992. Tre operai)

*VITALIANO BRANCATI (1907-1954. Don Giovanni in Sicilia; Il Bell’Antonio; Paolo il caldo)

*IGNAZIO SILONE (1900-1978. Fontamara)

Il teatro

EDUARDO DE FILIPPO (1900-1984. Napoli milionaria; Filumena Marturano)

La critica

*ANTONIO GRAMSCI (1891-1937. Quaderni del carcere)

XII – L’ETÀ DELLA SOCIETÀ E DELLA LETTERATURA DI MASSA. SPERIMENTALISMI E NEOVANGUARDIE p. 979

1 – DAGLI ANNI CINQUANTA A NOI p. 981

[…] gli scrittori sono costretti dalle leggi del mercato a essere sempre sulla scena per non essere dimenticati, e perciò scrivono[…], si ripetono, appaiono su giornali, riviste, alla radio, alla televisione; sono, sempre più, artigiani delle lettere, produttori di opere da consumare e buttar via, anche se ognuno di essi conserva vivo dentro di sé il sogno dell’opera «grande», destinata a restare nei secoli. (p. 983)

E intanto si pubblicavano romanzi nei quali gli autori, riprendendo i temi della lotta partigiana, testimoniavano e lamentavano il fallimento degli ideali resistenziali[…]

La Ragazza di Bube (1960) di CARLO CASSOLA; La vita Agra (1962) di LUCIANO BIANCIARDI[…]. BEPPE FENOGLIO (1922-1963. Una questione privata; Il partigiano Johnny) (p. 984)

Lo strumentalismo

Culturalmente, questa crisi si espresse soprattutto con il rifiuto, da parte di tanti, del gramscismo e il ricorso ad altri strumenti di indagine, ritenuti più idonei ad analizzare la realtà.

Uno di essi fu lo strutturalismo[…]. (p. 986)

Roland Barthes (1915-1980)

Negli stessi anni Sessanta nasceva in Svizzera, a opera di Hans Robert Jauss, la così detta teoria della ricezione letteraria[…]. (p. 988)

La scuola di Francoforte

Theodoro Adorno, Max Horkheimer; Walter Benjamin, Herbert Marcuse[…] avevano dato vita a un movimento di pensiero che solo verso la fine degli anni Cinquanta giunse in Italia. (p. 989)

L’interdisciplinarietà

Un altro tratto tipico della cultura in quegli anni e in quelli seguenti, fino a noi, è cip che è stato detto «interdisciplinarità»: la tendenza a una cultura non fondata su una sola disciplina ma nascente della cooperazione armoniosa di più discipline strette intorno a una di essa riconosciuta preminente. […]

Ernesto De Martino, 1908-1965[…]. (p. 991)

2 – LA LIRICA p. 996

*GIORGIO CAPRONI (1912-1990)

Gli sperimentalisti

[…] si proclamarono «neoavanguardisti» e sperimentalisti.

Nella lirica, il primo momento significativo di questa concezione dell’arte si ebbe con «Officina»[…].

La figura più rilevante emersa da «Officina» è stata quella di PIER PAOLO PASOLINI (1922-1975. Ragazzi di Vita; Una vita violenta) (p. 1002)

Il nodo di atteggiamenti e di intenzioni già presente in «Officina» fu ripreso e portato alle sue conseguenze estreme dal movimento che da un suo convegno a Palermo nel 1963 è detto «Gruppo 63»[…]. (p. 1004)

*EDOARDO SANGUINETI (1930-2010)

*TONINO GUERRA (1920-2012)

*ANTONIO PORTA (1935-1989)

3 – LA NARRATIVA p. 1015

[…] fiorì allora un tipo di romanzo che oggi i critici battezzano diversamente: istituzionale, tradizionale, scritto bene, di autore, di qualità; un romanzo nel quale la volontà di innovazione è controbilanciata da una relativa fedeltà alla tradizione, e la sperimentazione[…]. (p. 1016)

*CARLO CASSOLA (1917-1987. Il Taglio del Bosco; La ragazza di Bube)

*GIUSEPPE TOMASI DI LAMPEDUSA (1896-1957 Il Gattopardo)

*GIORGIO BASSANI (1916-2000. Il giardino dei Finzi-Contini)

*LEONARDO SCIACIA (1921-1989 Il giorno della civetta; A ciasuno il suo; Todo modo; Una storia semplice)

*GUIDO PIOVENE (1907-1974)

*ELSA MORANTE (1912-1985. L’isola di Arturo)

*CARLO EMILIO GADDA (1893-1973. L’Adalgisa; La cognizione del dolore; Quer pasticciaccio brutto de via Merulana; Eros e Priapo)

Il romanzo «colto» e «d’ingegneria»

*ALBERTO ARBASINO (1930-2020)

*ITALO CALVINO (1923-1985. Il sentiero dei nidi ragno; Ultimo viene il corvo; Il visconte dimezzato, Il barone Rampante; Il cavaliere inesistente; Le cosmicomiche Se una notte d’inverno un viaggiatore)

*UMBERTO ECO (1932-2016. Il Nome della Rosa; Il pendolo di Foucault; L’isola del giorno prima; Baudolino; La misteriosa fiamma della Regina Loana; Il cimitero di Praga; Numero Zero)

Le opere di questi scrittori e il loro largo successo anche fuori d’Italia consentono di parlare, con la discrezione necessaria, della nascita di una «avanguardia di massa», o di un avvio a essa. (p. 1029)

*ANTONIO TABUCCHI (1943-2012. Sostiene Pereira)

Così sempre più frequente è il romanzo che, con un’espressione di Croce, si potrebbe chiamare «d’intrattenimento» o, come fanno altri, «scritto bene» o «d’autore»: il romanzo di uno scrittore esperto del mestiere, che intende raccontare per intrattenere il su pubblico, fornendogli dunque una storia[…].

È questo il libello dei libri che «la gente»[…] consuma più facilmente. (p. 1031)

GIUSEPPE BERTO (1914-1978. Il Male oscuro)

*PIERO CHIARA (1913-1986. Il cappotto di Astrakan; Il prete di Cuvio; La stanza del vescovo)

*GESUALDO BUFALINO (1921-1996. Diceria dell’untore

*NATALIA GINZBURG (1916-1996)

*ALBERTO BEVILACQUA (1934-2013. La califfa)

*MARIO TOBINO (1910-1991. Per le antiche scale)

*DACIA MARAINI (1936-).

Un altro gruppo […] può essere costituito da […] opere di attualità politica, inchieste giornalistiche, analisi di costume, scritte «bene»[…]. (p. 1032)

ENZO BIAGI; ORIANA FALLACI; GIORGIO BOCCACCIO

3 – IL TEATRO p. 1037

*PASQUALE FESTA CAMPANILE (1927-1985)

*GIUSEPPE PATRONI GRIFFI (1921-2005)

*DARIO FO (1926-2016)

5 – IL SISTEMA LETTERARIO p. 1040

INDICI p. 1043

INDICE DEI NOMI p. 1045

INDICE TEMATICO p. 1071

INDICE GENERALE p. 1078

GIUSEPPE PETRONIO – L’ATTIVITÀ LETTERARIA IN ITALIA. STORIA DELLA LETTERATURA ITALIANA
GIUSEPPE PETRONIO – L’ATTIVITÀ LETTERARIA IN ITALIA. STORIA DELLA LETTERATURA ITALIANA