GIUSEPPE D’AMBROSIO ANGELILLO – LA LUNA GIRA IL MONDO E VOI DORMITE

GIUSEPPE D’AMBROSIO ANGELILLO – LA LUNA GIRA IL MONDO E VOI DORMITE
ACQUVIVA – LUGLIO 1982
La poesia, in una società di mercanti, ha vita grama. E i poeti, che quasi mai hanno qualcosa da vendere, ma sempre, forse, qualcosa da comunicare, si riducono a vivere da fantasmi, costretti come sono a nutrirsi d’aria e di pure illusioni. (p. 5)
IL REALE
Perché raccoglier mele
Che finquando torniamo a casa
Marciscono?
Prendiamo le nostre case
E portiamole
Dove ci sono i frutti. (p. 21)

SOLITUDINE
Non mi amano.
Sono solo
E con la luna
Sulle spalle.
È inumano
Esser soli.
Vorrei sapere il luogo
E battermi con i miei nemici.
Nessuno si ferma.
Sono triste
E le parole
Mi scavano la fossa.
Non è polvere
Questo dolore per la strada.
Vorrei sapere quando
E slegare la mia rabbia. (p. 23)

CIÒ CHE FACCIO
Chi sei? – domandò la cicala.
Lavoro. – rispose la formica. (p. 31)

IL MIO GATTO
Il mio gatto bianco e nero
È diventato
Tutto nero.
Qual poco di luna
È tramontata
Ed è rimasta
Solo la notte.
Non mi spavento.
So che diventerà rosso.
Come questo mattino
Che mi sento nel cuore. (p. 38)

LA REALTà è MODIFICABILE

Ero in un lago di menzogne.
Nuotavo allegro
E spensierato
Tra i flutti di mille parole false.
Ma non so come
E neanche il perché
D’un tratto comincia a bere.
Eppure sapevo ben nuotare.
Annaspavo disperato
E ormai pensai
Che per me sarebbe finita.
E poi ero solo.
Andando sotto
Vidi la verità in corteo.
Gridavano con forza
E parlavano di un mondo migliore.
“Ma come si fa? – mi domandai.
Sott’acqua?
Perché non muoiono?”.
Ma poi ci pensai:
era un lago di menzogne
e tutta quell’acqua
non erano che parole false.
E non era vero nulla.
Nemmeno che per me sarebbe finita.
E poi non ero neanche solo.
C’erano sorrisi veri
In corteo
E li riconobbi subito.
Erano miei fratelli.
E come me
Parlavano di realtà modificabili
E di giustizie realizzabili. (pp. 39-40)

LE SCARPE ROTTE
Oggi piove.
E non posso uscire
Perché ho scarpe coi buchi.
Il saggio di profitto
Passa anche per i miei piedi bagnati. (p. 44)

PIÙ GIUSTO
Se credi
D’impazzire,
agli occhi della gente
può anche sembrare giusto.
Di giorno
Sei un pezzo meccanico
E di notte
Legno che galleggia
In acqua marcia.
La casa
È un sogno lontano
E il cibo
Uno schifo.
Proprio così.
Se per tutto questo
Credi d’impazzire
Pochi avrebbero
Qualcosa da eccepire.
A molti
Le disgrazie di una vita
Interessano poco.
Ma tu sei un operaio,
le disgrazie sono tue.
Per te
È più giusto
Impossessarti delle macchine
E spazzare nelle fogne
L’acqua marcia. (p. 48)

GIUSTIZIA CAPITALISTA
“Case!”
Dissero gli operai.
“Giusto” replicarono
I padroni.
Carceri nuovi e molto efficienti
Sorsero d’incanto.
“Lavoro!”,
dissero i disoccupati.
“Giusto” replicarono
I padroni.
La polizia
Raddoppiò
I suoi battaglioni. (p. 51)

L’APOLITICO
“Non fate politica.
Statevene a casa vostra.
Sono tutti
Dei pezzi di merda.
Chi ve lo fa fare?
Vi mettete in vista.
E poi?
Peggio di prima.
Pensate a voi stessi.
Che prima o poi
Le cose si aggiustano.
Non fate politica.
Che non ci guadagnate niente”.
Così parla l’apolitico di destra.
Indifferente
Perché contro di voi.
Così parla
Il corvo.
Profeta del giusto egoismo
Perché d’egoismo si nutre.
Premuroso con voi
Come il contadino
Con i tacchini
Vicino a natale. (p. 53)

IL NEMICO

“Dov’è
Casa mia?”
Domandò il cane.
“In quel che fanno
Le tue mani”,
rispose il gatto.
“Ma io non ho niente,
disse il cane,
mangio male
e dormo per terra.
Eppure lavoro tutto il giorno”.
“Quel che fai
Non è tuo perché hai dei padroni.
E loro
Prendono in vece tua.
Liberati da loro
E vedrai:
ti fari una casa
e il cibo
non ti mancherà”.
“Chi bestemmia
In così malo modo?,
gridò una voce.
Chi parla
Contro il mio cane?”.
“è un gatto”,
disse pauroso il cane.
Il padrone
Gli tirò un calcio.
“E sbranalo, stupido!
Non capisci
Che vuol mangiare
Dalla tua ciotola?”.
Il cane
Non pensò niente
E si avventurò furioso
Contro il gatto,
che con un balzo
raggiunse un albero molto alto
al riparo
dalla furia scatenata.
Il cane latrava
E si dannava l’anima.
Il padrone, a quella scena,
sorrise
e ritornò, rincuorato,
nel caldo della casa.
“Povero cane,
disse amareggiato il gatto
dall’alto dell’albero,
davvero non riesci
a vedere qual è
il tuo nemico?”. (pp. 64-65)

IL PECCATO IMPERDONABILE
La Chiesa
Ha dieci comandamenti.
E bisogna rispettarli
Perché quella è la legge
Di Dio.
Uno dicembre di onorare il padre e la madre.
Ma anche se qualche volta
Ti scappa uno sputo
O un calcio,
il Cristo è misericordioso: ti perdona la colpa.
Un altro dicembre di avere un solo Dio.
Ma se oltre all’oro
Veneri in segreto anche chi te lo procura, poco male,
il Cristo è infinitamente grande
nella sua bontà:
ti perdona la colpa.
Un altro ancora dice
Di non rubare.
Ma anche se oltre a sfruttare
Centinaia di operai
Nella tua fabbrica
Ti capita di accaparrare
Le loro case
E di alzare il prezzo
Non ti prender pena,
il Cristo è compassionevole:
la colpa nemmeno esiste.
Un altro poi dicembre di non desiderare donne d’altri.
Ma anche se oltre a violentarle
Ti apri un bordello
E vivi sulla loro carne,
non ti dar pensiero,
il Cristo è miracoloso:
sono figlie di proletari
e non appartengono a nessuno.
Un altro dicembre di non ammazzare.
Ma anche se dopo averli maltrattati
E ridotti alla fame
Mandi i carabinieri
A sparare
E a uccidere
Contadini, operai,
giovani,
che si rivoltano
o che cercano di sopravvivere,
non ti preoccupare eccessivamente
il Cristo è immenso nella sua misericordia:
il libero arbitrio umano
fa anche le sue vittime,
e la colpa ti è perdonata
dopo un’avemaria e tre paternostri.
Questi sono alcuni
Dei divini comandamenti
Della Chiesa
E questa l’infinita bontà
Del Signore.
Ma se qualcuno,
il più umile tra gli uomini,
si alza
e domanda,
con la voce forte degli umili,
quanti miliardi
entrano nelle banche dei preti
e perché entrano
se non lavorano mai
nella loro vita.
e quanto hanno
e cosa ne fanno
con i loro amici di truffe,
i padroni.
Ecco allora che anche
L’infinita bontà del Signore
Registra il suo limite
E si scatenano le furie di Dio
Dal cielo e dalla terra
A punire l’orrendo delitto
E a far precipitare il malvagio provocatore
Nel più profondo degli abissi infernali. (pp. 76-77-78)

L’ARTEFICE

“Posso insegnarti
Qualcosa
Poco o molto,
disse il poeta,
ma se qualcosa cambia
nella tua vita,
poco o molto
non ha importanza
l’artefice
sei soltanto tu stesso”. (p. 80)

L’EGOISMO
Il segreto
Porta
Il carro
Delle dimenticanze.
La voce
È effimera,
l’eco
di carta.
Ognuno
Pensa a se stesso.
È forse questo
Il segreto
Da difendere? (p. 88)

LA VILTÀ

I morti
Non parlano, dicono.
E ci sono vivi
Che nemmeno pensano,
rispondo.
Non la morte
Ma la viltà
È la vera
Taciturna. (p. 92)

L’INCOMUNICABILITà
Inutile parlare,
dicono.
Neanche guardarsi
È importante.
Ognuno
Con il proprio inferno.
Le barriere
Sono insormontabili.
Così i mercanti
Teorizzano
La solitudine.
Disgustati
Dall’immondo pensiero
Che gli uomini
Possono conoscersi
E capirsi. (p. 105)

IL GUERRIERO
Sei un debole,
disse la donna.
Ci sei andata vicino
Rispose il guerriero.
Sono quasi invincibile. (p. 107)

L’ALBERO

Mi muovo,
disse l’albero.
Ti agiti soltanto,
rispose il gatto.
Rimani sempre
Allo stesso posto. (p. 111)

GLI SCHEMI
“Piangete!”,
ordinò il padrone.
I ragazzi
Piansero.
“Ridete!”
Ingiunse il padrone.
I ragazzi
Piansero
Di nuovo.
“Sono i frutti
Della libertà,
si scusò il padrone
con il Controllore generale,
ormai crescono
senza schemi”. (p. 113)

ANDARE
Non è chi va lontano
Che si perde,
ma chi fugge.
Le rondini
D’altro
Non intendono
Che la morte. (p. 126)

COME IL MARE
Come il mare
È in burrasca
L’orizzonte.
Che ci aspetta, madre?
Tempesta, figliolo.
L’azzurro
È guerriero.
Come le nuvole
Corrono
Le leggende.
Cambierà, madre?
Il mare è pazzo, figliolo.
Può accadere di tutto.
Come le barche
Partono
Le speranze.
Addio, madre.
Addio, figliolo.
Come il mare
È in burrasca
Il mio cuore. (p. 127)

I PRIMI RICCHI
Dividere
Le ricchezze fra tutti
È diventare poveri?
E chi se ne preoccupa?
Proprio voi
Che racimolate
L’indispensabile
Così a fatica?
O forse
È la novità
Che vi scandalizza?
I vostri figli
Ne avranno
Da masticare
Di più grosse.
Ricchi
Come diventerete voi
Non ne sono
Mai esistiti.
I miliardari
Saranno
Degli spaventapasseri
Al vostro confronto.
Il Papa
Con tutta
La sua catena
Di chiese e cattedrali
Risulterà
Un padrone di povere catapecchie.
Credete
Così spudoratamente
Alle fandonie
Degli sfruttatori?
Chi avrà
Bisogno
Di soldi?
Voi ve la ridete
Di tutte
Le miniere
D’oro e d’argento
Del mondo.
Chi si preoccuperà
Dei palazzi?
I padroni
Vi faranno pena
E maggio pena
Vi faranno
I loro servi.
Le bandiere rosse
Portano la povertà?
Davanti a voi
Rabbrividiranno
I più grossi banchieri
Del mondo.
Voi
Sarete i primi ricchi
Della storia!
Voi costruirete
Il comunismo. (pp. 129-130)

IL VESTITO D’ORO

“Vestiti
D’oro!,
dissero gli ipocriti.
Sari quel che sembrerai”.
“E cosa?,
rispose il pensatore.
Un uomo
Di metallo?” (p. 131)

I PADRONI DEL PENSIERO
Accanto
Alle ciminiere
Ci sono industri invisibili.
Sopra le officine
Scorrono, nascoste,
altre catene di montaggio.
Nei campi
Con il grano
Crescono piante trasparenti.
Sono le industrie
Della ipocrisia
Che producono
Fantasmi sorridenti.
Sono le catene
Che montano falsità,
forbici
che ritagliano
etichette
buone per tutti gli usi.
Sono piante
Che spargono veleno
Tra gli uomini.
Perché è impossibile
Essere uniti.
Sono le industrie borghesi
Del pensiero.
I padroni
Come al solito
Si fanno concorrenza
Nel pieno rispetto
Della libertà:
vendono a buon prezzo
nobili meschinità
e schifo pregiato. (pp. 144-145)

VENTO DI CITTà
La città
Illividisce
La fantasia.
Tutto scorre
Con violenza
Tra i mille
Spilloni
Della solitudine.
O pensieri
Si fanno
Nubi arcigne
E solo
Il silenzio
Tempesta
Fragili vetri
Color di rosa.
Gli incontri
Rimangono
Appesi
A un vento
Di falsi ventagli.
Un vento
Ipocrita
Che non vuole
Dormire. (p. 147)
IL PARTITO DEI LAVORATORI

Non soddisfa
I vostri bisogni,
li organizza.
Non abbellisce
Le vostre speranze,
gli dà un programma.
Non pascola i vostri miti,
scolpisce la realtà.
Non schiaccia
Le differenze,
le unisce.
Non ama i deboli,
li rafforza.
Non odia gli oppressori,
li combatte.
Non disprezza,
trasforma.
È il cantiere
Dove i lavoratori
Stanno allestendo
Un futuro migliore.
È rosa
E tigre.
È la primavera
Invincibile.
Partito Comunista! (p. 152)