GIAMPIERO MUGHINI – UN SECOLO D’AMORE. ARTE, BELLEZZA E DESIDERIO DA PICASSO A MARILYN

GIAMPIERO MUGHINI – UN SECOLO D’AMORE. ARTE, BELLEZZA E DESIDERIO DA PICASSO A MARILYN

MONDADORI – Collana LE SCIE – I ed 1999

16 pagine di illustrazioni fuori testo su carta patinata.

IL DIARIO DI UN SECOLO VISSUTO EROTICAMENTE p. 3

Da così tanto tempo che ero abituato a mettere becco sulle cose del mondo, c’è stato un momento, alcuni anni fa, che mi ritrovai senza giornali su cui scrivere. […] Per un po’ ebbi a disposizione solo due paginette mensili che mi aveva donato Massimo Balletti[…] dirigeva «Penthouse».[…] Per sei o sette mesi, solo di «Amori e furori» scrissi, potei scrivere. (p. 3)

Dopo poco più di un anno, l’editore di «Penthouse» giudicò che costavo troppo e mi cacciò. (p. 4)

I – UN BORDELLO A BARCELLONA p. 5

Quelle cinque figure femminili come rotte e guizzanti, è il quadro campione del Novecento e che in un certo modo lo inaugura. Les Damoiselles d’Avignon, il quadro di Pablo Picasso che nel 1907 avvia la rivoluzione cubista. Sono cinque prostitute, cinque donne che in un bordello si atteggiano e si offrono. (p. 5)

A fungere da punto di partenza e di ispirazione de Les Damoiselles erano state le ragazze che si offrivano nel Carrer d’Avignyo, uno dei bordelli del Barrio Chino di cui il giovane Picasso era stato un ardente frequentatore. (p. 7)

[…] la Barcellona di inizio secolo era stata un capitale di sensualità. […]

Se Picasso e Dalì erano di stampo catalano, Ramon Gomes de la Serna era nato a Madrid, nel 1888. (p. 10)

[…] il 1908 è l’anno in cui lui assume la direzione di un’importante rivista d’avanguardia spagnola.

Sono tante le affinità tra Picasso e Gòmez de la Serna; quest’ultimo aspira in un certo senso ad essere il corrispondente letterario del cubismo. […]

Gòmez de la Serna e Picasso si incontreranno per la prima volta a Parigi, nel 1916. (p. 11)

Al tempo di Les Demoiselles, nel 1907, Picasso abitava a Montmartre.[…]

A Rue Ravignan Picasso ci resterà sino all’autunno del 1909 quando, pittore già celebre e ben remunerato, traslocherà in un appartamento confortevole situato sul viale che funge da confine meridionale di Montmartre, il Boulevard Clichy. Nel 1912 lascerà definitivamente Montmartre in direzione di Montparnasse, lì dove si stava spostando il baricentro della vita intellettuale parigina. (p. 14)

[…] la tribù parigina degli artisti d’avanguardia aveva piantato le tende sulla collinetta di Montmartre, «La Butte». (p. 15)

Venne esposto per la prima volta nel 1916, in un appartamento-galleria di proprietà del sarto Paul Poiret, e fu in quell’occasione che smise il titolo originario, Le Borde d’Avignon, e assunse quello più pudico che è divenuto il suo. […]

Solo nell’aprile del 1924 Les Demoiselles troveranno un compratore nella persona del famoso sarto Jacques Doucet[…].

Il grande collezionista pagò 25.000 franchi a un Picasso che li accettò senza tirare sul prezzo. Morto Doucet, nel 1937 il quadro passerà al Moma di New York e a tutt’oggi ne costituisce il vanto. (p. 18)

Nell’aprile di quello stesso 1907, era venuto ad abitare a Montmartre, al numero 9 di Rue Léonie (oggi Rue Henner), a poca distanza dalla casa-studio di Picasso, Guillaume Apollinaire. […]

[…] Apollinaire trovò subito le parole giuste a raccontare la pittura di Picasso, la sua rivoluzione. Il cubismo fu per loro l’occasione e l’appuntamento di una vita. (p. 19)

II – UNA LATRINA DOVE C’ERA QUALCOSA DI DIO p. 24

Era stato Picasso, nel maggio del 1907, a presentare all’amico Apollinaire una ragazza sottile e aguzza che studia pittura all’accademia, Marie Laurencin. […]

Bellissimo e niente affatto cubista è un quadro che la Laurencin dipinge nel 1909, Apollinaire et ses amis. (p. 24)

Fra i frequentatori della «band à Montmartre» c’è Alfred Jarry, il creatore di uno dei personaggi più dissacranti della letteratura francese del Novecento, Ubu. […]

Nell’uno o nell’altro dei caffè di Montmartre s’avanza Amedeo Modigliani, uno che a Parigi c’era arrivato nel 1906[…]. (p. 25)

Il 12 maggio 1918 Vollard e Picasso saranno entrambi fra i testimoni di nozze di Apollinaire, che stava sposando Jaqueline Kolb senza sapere che gli restavano solo sei mesi di vita. (p. 27)

Oltre che gallerista, il Vollard di inizio secolo s’era fatto editore di libri dove fosse particolarmente accurata la fusione tra la parte scritta e la parte figurata, litografie o acqueforti o linoleum. È lui il creatore dei cosiddetti libri d’artista, i libri alla cui qualità e riuscita è decisivo l’apporto dell’artista che ha concepito e disegnato appositamente per quel libro. (pp. 27-28)

Negli anni in cui Picasso dipingeva le ragazze di bordello a inventarne il cubismo, Apollinaire aveva trovato un lavoro che gli dà qualche soldo e molto piacere intellettuale. Lo hanno incaricato di perlustrare e catalogare uno a uno i circa 900 libri contenuti in una specie di girone maledetto della Bibliothéque Nationale di Parigi, un girone cui si può accedere solo con uno speciale permesso. È chiamato «l’Enfer», ed era stato Napoleone Bonaparte a volerne l’istituzione, a ricalco dell’«Enfer» della Biblioteca Vaticana. (p. 30)

Ma nella collana dedicata ai «Maitres de l’amour» la scoperta più importante di Apollinaire, la sua grande intuizione, è il volume antologico pubblicato nel 1909 e consacrato alle opere di Donatien Alphonse-Françis marchese de Sade. (p. 33)

Il 1904, uno degli «anni Apollinaire», è una data particolarmente importante quanto alla celebrazione e alla diffusione delle opere di Sade. È l’anno della prima edizione semiclandestina delle 120 giornate di Sodoma[…]. (p. 37)

Certo è che Apollinaire ne parla con un giovane intellettuale suo amico, Maurice Heine, della necessità di portare alla luce le opere di Sade e dar loro una veste editorialmente acconcia. Ma muore prima che il progetto prenda corpo. (p. 38)

Quella degli amanti di Sade, degli esperti tenaci in «decouvertes sadistes», sarà per tutto il Novecento un tribù un po’ speciale. […]

La prima edizione delle 120 giornate di Sodoma relativamente a portata di mano del lettore corrente sarà quella pubblicata in 475 esemplari nel 1953 da Jean-Jacques Pauvert, anche quella immediatamente condannata e sequestrata. (p. 39)

Dopo quattordici anni di detenzione trascorsi prima a Vincennes e poi alla Bastiglia, ci volle il pandemonio creato dalla Rivoluzione del 1789 perché Sade potesse tornare alla libertà. […]

Il 27 luglio 1794, difatti, Sade avrebbe dovuto far parte dell’ultima carrettata di suppliziati[…].

Si salvò per miracolo, perché i suoi aguzzini non sapevano esattamente in quale carcere fosse andato a finire. (p. 42)

Lo arrestano nuovamente pochi anni dopo, nel marzo 1801, ai tempi in cui Bonaparte è divenuto il padrone della Francia, e questa volta perché nel perquisire una tipografia hanno trovato i manoscritti autografi di Juliette o Justine, di cui lui disperatamente negherà essere l’autore. Perché autore di questi libri, lo mettono in un asilo per pazzi a Charenton, dovere resterà sino alla morte. (pp. 42-43)

III – «MR WILDE, LA PENA È INADEGUATA ALL’ORRORE DEL SUO CRIMINE» p. 45

Dalla collina di Montmartre dove abbiamo visto affaccendarsi i nostri eroi cubisti, dalla Parigi degli anni Dieci e Venti dove circolavano edizioni sulfuree e maledette, saltiamo adesso al quartiere londinese di Chelsea, come dire il quartiere dei Parioli di Londra. Lì al numero 16 di Tite Strett, dove Oscar Wilde aveva abitato dal 1884 fino al giorno del suo arresto, il 5 aprile 1895. (p. 46)

Al momento della pubblicazione di Teleny, il trentanovenne Wilde (era nato in Irlanda nel 1854) era all’apice del suo successo. Il Ritratto di Dorian Gray era uscito nel 1891, Salomé due anni dopo. (p. 47)

Il libro viene pubblicato anonimo da una casa editrice ce ha nome Cosmopoli. (p. 49)

[…] nel 1936, André Gide va in Russia a vedere se davvero sia lì il paradiso terrestre. […]

tornato a Parigi, scrisse che in Urss il paradiso terrestre non c’era. Diventerà per questo, e per anni, il bersaglio della più furibonda propaganda comunista. (p. 57)

La prima teatrale della Salomé avrà luogo a Parigi l’11 febbraio del 1896, mentre Wilde era in prigione, e sarà uno strepitoso successo. (p. 58)

È lui a coltivare come in una serra l’arte di farsi dei nemici e dunque averne pubblicità sui giornali, un’arte che nell’Italia di oggi hanno copiato tanti miseruzzi. Lui a scalciare via ogni confine che separi l’arte della vita, e a presumere orgogliosamente che sia la vita a copiare l’arte. È lui a compiere un’estenuante circumnavigazione della sensualità e dell’erotismo in ogni loro ambivalenza. È lui a farsi apostolo indefesso della religione della bellezza, di tutto ciò che è esteriore[…]. (p. 64)

La rottura di ogni confine fra l’arte e la vita, la vita che copia l’arte. (p. 65)

[…] querela il marchese per diffamazione, perché gli ha dato del «somdomite».[…]

E invece nella Londra di cento anni fa quel processo comincia, il 3 aprile 1895, e per Wilde è una catastrofe. Perché nello spazio di una giornata, da accusatore lui diventa accusato. I detective assunti dal marchese di Queensberry avevano lavorato bene. (p. 67)

Dai fatti che emergono al pressante interrogatorio di Carson risulta che non è stato il marchese di Qeensberry a diffamare un immacolato Wilde, è lui che è uso scegliersi dei ragazzi a trarne piacere sessuale. Queensberry è perciò innocente del reato di diffamazione, e mentre Wilde sta per essere riconosciuto colpevole del reato di omosessualità. […]

Alle sei del pomeriggio del 5 aprile 1895, due poliziotti vengono ad arrestarlo nell’appartamento da lui affittato all’Hotel Cadogan. (p. 68)

Un primo processo contro Wilde, apertosi il 26 aprile, si conclude con un nulla di fatto. Al che, il 7 maggio e dopo trentun giorni di prigione, lo scrittore viene messo in libertà provvisoria dietro pagamento di una cospicua cauzione. Il 22 maggio comincia un secondo processo, quello decisivo. (pp. 68-69)

Ed è difatti, dopo quattro giorni di dibattimento, una condanna a due anni di lavori forzati. […] Wilde venne riconosciuto colpevole per ciascuno degli otto capi d’accusa. (p. 69)

Alla condanna per atti osceni s’era nel frattempo aggiunta la condanna per bancarotta, perché Wilde non è più in grado di onorare i suoi debiti, e di debiti ne aveva sempre fatti a iosa. […]

Lui che viveva di diritti d’autore, i suoi libri sono adesso ritirati dal commercio, le sue commedie cancellate. […]

Émile Zola, quello che difenderà un capitano ebreo accusato ingiustamente di avere tradito la Francia, si rifiuta di difendere un confrère accusato di omosessualità. (p. 70)

Wilde uscirà dal carcere nel maggio 1897, dopo aver espiato intera la sua condanna. […]

Muore di meningite cerebrale a Parigi, in una stanzuccia dell’Hotel d’Alsace. […] Era la mattina del 30 novembre del 1900, Wilde aveva 46 anni. (pp. 71-72)

IV – LULU E LE ALTRE p. 73

Di vent’anni più giovane di Wilde, Karl Kraus era nato in Boemia nel 1874. (p. 73)

Di tutti i protagonisti del primo Novecento europeo, Kraus è tra i più consapevoli di quello che il secolo appena nato deve a Wilde. (p. 75)

Nessun’altra cosa come la morale sessuale gli sembrava rivelasse la verità vera di una società. Dimmi quel che pensi degli uomini e dei loro diritti in materia sessuale, e ti dirò chi sei. (p. 77)

«La vera natura della donna: darsi dove si ama e amare tutto quello che piace» aveva scritto il galiziano Leopold von Sacher-Masoch nel suo celeberrimo Venere in pelliccia, pubblicato in Germania nel 1870 e che nel 1900 aveva avuto una seconda edizione. Eroe dell’Ottocento, l’Ottocento aveva presto dimenticato von Sacher-Masoch: quando muore nel 1895, a 60 anni, nessuno ricordava più il suo nome.

E invece anche lui ha consegnato qualcosa di importante al nostro patrimonio novecentesco. Come Sade, anche lui ha fondato e coniato un sostantivo che ci appartiene e che ci connota, il masochismo. Ovvia la voluttà nell’esser colpiti, frustati, umiliati dal proprio partner sessuale. (p. 80)

Per le attrici Kraus ebbe sempre un debole particolare, a cominciare da Annie Kalmar, uno dei grandi amori della sua vita. (p. 82)

Né può sorprendere che un Kraus talmente invaghito della femminilità, fosse stato un tale ammiratore di un libro acidamente misogino quale sesso e carattere di Otto Weininger. […] Sesso e carattere, pubblicato nel maggio del 1903, è un libro oggi pressoché illeggibile da quanto vi è irsuta e grottesca l’avversione al femminile. […] Clamore che diverrà leggenda sei mesi dopo, quando Weininger si uccide con un colpo di pistola all’alba del 4 ottobre 1903, a 23 anni. (p. 83)

Pasolini è morto sul terreno dell’omosessualità, dei suoi desideri e pulsioni fortissime di omosessuale, non certo sul terreno della politica e della lotta tra i partiti politici. […] Cercava un piacere che doveva essere connesso al dolore e al rischio, alla violenza anche. (p. 85)

Condite nella salsa del desiderio e della misoginia, le immagini di ragazze scabrose e discinte ricorrono e si accampano nell’iconografia viennese dell’alba del secolo. (p. 88)

V – LONDRA E VIENNA CHIAMANO, FIRENZE RISPONDE p. 94

Il saggio in questione aveva per titolo Karl Kraus ed era apparso nel 1911 su «L’Anima», una rivista fiorentina che dirigevano Giovanni Amendola e Giovanni Papini, due di quelli che stavano cercando di fare l’Italia diversa da come era stata nell’Ottocento. L’autore del saggio su Kraus era un triestino ventiduenne ai suoi debutti, Italo Tavolato, uno che s’era trasferito a Firenze e che si sarebbe intruppato nella pattuglia fragorosa dei lacerbiani. (p. 94)

Duecentomila abitanti contro i due milioni di Vienna, Firenze è tuttavia la capitale della cultura italiana di inizio secolo. Da Firenze era partito in direzione id Parigi Ardengo Soffici[…].

A Firenze un prodigioso artigiano, Giuseppe Prezzolini, da direttore di una rivista che aveva per titolo «La Voce» e della omonima casa editrice, sta facendo e disfacendo i fili della cultura che nel dopoguerra darà vita tanto al fascismo che all’antifascismo. […]

nel 1913 fonda una nuova rivista. La sua «Lacerba» vorrebbe essere più artistica, più creativa[…]. (p. 96)

Nell’impresa fiorentina, Papini ha come sodali Soffici, Aldo Palazzeschi, Tavolato, Govoni. […]

Presentato come un «periodico quindicinale», otto pagine in tutto, il primo numero di «Lacerba» porta la data del 1° gennaio 1913. (p. 96)

Udienze a porte chiuse, il processo Tavolato dura in tutto due giorni. […]

Sentenzia di no, che nel suo elogio dell prostituzione Tavolato non ha travalicato i limiti della decenza, e perciò lo assolve. […]

Anche lui uno del giro dei collaboratori di «Lacerba», l’ultimo bohémien d’Italia, Giuseppe Vannicola visse a lungo a Firenze tra l’inizio del secolo e quel 1915 che è l’anno della sua morte. (p. 100)

Scrittore e musicologo, organizzatore di cultura ma soprattutto dandy, il suo è tutto un mimare francesi e inglesi con vent’anni di ritardo. (p. 101)

Firenze, 1913. assieme allo scandalo Tavolato, i primi numeri di «Lacerba» ne alimentano un altro, e purtroppo c’è di mezzo Vannicola. Gustavo Botta[…] lo becca in flagrante reato di plagio.[…]

[…] aveva ricalcato di sana pianta. (p. 105)

Un articolo a difesa di un libro scabroso che nel 1908 era stato pubblicato a Roma dall’editore Bernardo Lux, l’editore di alcuni dei libri di Vannicola. […]

Il libro edito da Lux portava come autore un nome di donna, Fede, palesemente un nome di penna. Il titolo invece era esplicito, L’Eredità di Saffo. (p. 106)

Marinetti era nato in Egitto nel 1876 da una famiglia italiana assai ricca, padre piemontese e madre milanese. […] Molte delle sue strategia a irrompere e farsi notare, Marinetti le aveva imparate da Gabriele d’annunzio, che pure poi rinnegò e derise. […]

Il resto Marinetti lo aveva imparato a Parigi, dove dal 1894 al 1909 aveva vissuto a intermittenza ma intensamente. (p. 115)

Lui che passa per un misogino, e che nel manifesto fondatore del futurismo ha esaltato il disprezzo della donna, Marinetti è il primo intellettuale moderno a capire la necessità di buttare nella mischia le donne,che se in un movimento intellettuale c0è una donna vale come se ci fossero dieci uomini. (p. 117)

Valentine de Saint-Point è la capostipite della genìa femminile del futurismo. (p. 118)

Un’altra di queste donne protagoniste fu la fiorentina Maria Gianni, quella che nel 1917 creerà le Edizioni de «L’Italia futurista», dove usciranno alcuni dei libri più belli del futurismo italiano; […] lo fu Adele Gloria[…]; la pittrice e scrittrice Benedetta[…].

Il «Manifesto della Donna futurista» con la firma di Valentine de Saint-Point porta la data del 25 marzo 1912[…]. (p. 119)

Il «Manifesto futurista della Lussuria» porta la data dell’11 gennaio 1913, ed è una perla luccicante nella ricca collana delle provocazioni futuriste. (p. 120)

La «Lussuria» è parola chiave e cavallo di battaglia di Marinetti e del futurismo. […]

Con quel suo continuo e ostentato sconfinare dai territori della genialità a quelli della cialtroneria, e viceversa, di lui non sai mai dove finisca l’eroe e dove cominci la macchietta. […]

I libro campione di questo atteggiamento, un libro che ha per titolo Come sedurre le donne, Marinetti lo pubblica più e più volte. (p. 122)

VI – IL COMUNISMO PER LUI EBBE GLI OCCHI DI ELSA p. 131

Tra gli anni Cinquanta e Sessanta, «Les lettres françaises» erano state un settimanale pregiato dalla cultura francese di sinistra. […]

Quando ne uscirà il numero datato 23 agosto 1992, un numero monografico interamente dedicato al «porno», Louis Aragon era morto da dieci anni, il 24 dicembre 1982. fosse stato ancor vivo, lui che di quel giornale filocomunista era stato il direttore per quasi vent’anni, avrebbe avuto un soprassalto. […]

Scelto dal partito comunista, Aragon aveva diretto «Les Lettres françaises» dal 1953 al 1972. (p. 131)

Nella menzogna dell’apologia del comunismo russo, l’Aragon del 1953 ci viveva da oltre vent’anni. Dalla coltivazione di quella menzogna aveva attinto potere, onori, riconoscimenti. Nessun intellettuale europeo di questo secolo, e di un tale talento, ha convissuto con la menzogna come Aragon. […]

Dopo la sua adesione al comunismo, e almeno sino al 1968, l’anno dell’invasione della Cecoslovacchia da parte dei carri armati russi, la sua fede di «homme communiste» non conoscerà incrinature. (p. 134)

C’è l’Aragon «scintillante» e blasfemo dei debutti, il principe della prosa e della poesia surrealiste, l’imprecatore di ogni verità costituita, il ribelle malinconico e dandy. L’autore di un capolavoro della letteratura erotica di questo secolo, uno che a trent’anni aveva già alle spalle una sequela di opere inimitabili. Poi c’è l’altro Aragon, quello che va dal 1930 almeno fino al 1968, l’anno in cui finalmente si incrina la sua fede nell’Urss maestra di socialismo. (p. 136)

Nel 1929, a 32 anni, quando era già ricco di un fastoso bottino letterario, la sua adesione al comunismo era stata una sorta di «ritorno all’ordine». […]

A un certo punto del suo tragitto scelse la causa del proletariato, l’Urss, il comunismo, i «domani che cantano», gli operai che vanno al lavoro in bicicletta. A un certo punto. Dopo aver incontrato Elsa. (p. 137)

Le Con d’Irène apparve nella primavera del 1928 in un’edizione semiclandestina in 150 copie, e senza menzione di autore in copertina o altrove. (p. 150)

Che le donne siano talmente belle e canaglie, Aragon li sta scrivendo come col suo sangue. Ne Le Con d’Irène c’è dell’onanismo e della poesia, mescolati assieme. Teneramente, drammaticamente. (p. 151)

L’ultima settimana di settembre del 1930, la coppia parte in treno per l’Urss, il viaggio che segnerà una vita. […]

Gran festa di benvenuto per Aragon, battezzato dai russi «Aragocha». (p. 161)

Certo l’Aragon che esce dalla conferenza degli scrittori rivoluzionari, durata dal 5 al 12 novembre 1930, è un altro uomo, un altro tipo di intellettuale, più niente a che vedere con gli anni del surrealismo. E non è soltanto la sua anima che è cambiata, è la carta che canta. Perché a Kharkov Aragon ha firmato una dichiarazione che i comunisti russi gli hanno messo sotto il naso, una dichiarazione che smentisce, rifiuta, rinnega i suoi dieci anni vissuti da intellettuale d’avanguardia. È una dichiarazione in cui Aragon, e con lui Georges Sadoul […] si + impegnato a sottomettere il loro lavoro lavoro di scrittori al giudizio del partito comunista e ad accettarne i criteri di valutazione. […]

Una volta scelti l’Urss e il comunismo, Aragon ci mette del suo. […]

Tanto era stato estremista nel dare addosso ad Anatole France, tanto lo è adesso che si mette a scrivere da comunista ortodosso. (p. 163)

Aragon accorre al galoppo a sostegno di quella politica. «Fuoco sulla socialdemocrazia», questa è la parola d’ordine che ispira il suo poema.[…] Il poeta s’è fatto incitatore dell’assassinio politico. […]

L’avere incitato a uccidere capi di governo e ministri francesi non è uno scherzo. E dunque il 16 gennaio del 1932 Aragon è accusato dal giudice istruttore di «incitamento all’omicidio». Rischia la bellezza di cinque anni di prigione. I suoi amici surrealisti, Breton in testa, scendono in campo al suo fianco. (p. 164)

Quella petizione e altri documenti Breton li cuce assieme in una plaquette famosa, Misère de la poèsie, pubblicata dalla Editions Surréalistes alla fine di febbraio del 1932. […]

Sollecitato a prendere le distanze da Breton, Aragon lo fa. […]

Guerra deve essere, guerra sia. Gli ex compagni di Aragon contrattaccano con un’altra plaquette pubblicata in quello stesso mese di marzo del 1932. (p. 165)

Una volta entrato nella chiesa comunista, la fede di Aragon rimarrà intatta e invulnerabile almeno sino al 1957, data di pubblicazione de Le Roman inachevé, il romanzo in cui avvia il ripensamento di tutto il suo destino. […] Muore nel 1982, a 85 anni, dodici ani dopo Elsa. Dodici anni senza Esal. Finita Elsa, finito l’ordine. Ricomincia il rischio, l’azzardo, la vita come prova da tentare ogni volta saranno gli anni in cui si disvela l’ambiguità della sua giovinezza, la tentazione della bisessualità. (p. 167)

VII – LA BELLA E IL BARBARO p. 169

Jackie Kahane era l’ultimo arrivato di quella pattuglia di piccoli editori in lingua inglese molto attivi nell’underground parigino degli anni Trenta, editori tanto raffinati quanto impertinenti. […]

riuscì a far debuttare una piccola casa editrice cui diede nome Obelisk Press. (p. 169)

Un giorno d’estate del 1932 Kahane ricevette da u agente letterario americano che viveva a Parigi il manoscritto di un romanzo di un americano di nome Henry Miller, e che aveva per titolo Tropic of Cancer. (pp. 169-170)

[…] ci vollero due anni perché nel settembre 1934 comparissero le fatidiche mille copie della prima edizione di Tropic of Cancer. E senza l’intervento di Anais Nin[…] il libro[…] non sarebbe venuto alla luce. (p. 171)

A cominciare dalla Nin, da questa bella ragazza di origini cubane senza il cui concorso il suo libro sarebbe rimasto nei cassetti dell’editore. (p. 173)

Quel giorno di dicembre del 1931 che lei e Miller s’erano conosciuti, la bella aveva 28 anni, il barbaro 40. (p. 175)

Ossia June Edith Miller. (p. 176)

Dopo quello rappresentato da Eluard, Gala e Max Ernst, quello costituito da Anais e dai due Miller è il più suggestivo terzetto della storia letteraria di questo secolo. (p. 177)

È il febbraio del 1932, quando June se ne torna a New York. La Nin capisce che deve ricucire con un Henry rimasto ai margini di quelle loro estasi femminili. (p. 179)

Nel dicembre 1934 June ha ottenuto un divorzio in Messico. A questo punto Henry chiede alla Nin di scegliere tra lui e Hugo, di poterla sposare insomma. Lei è franca e dritta nel rispondergli che tra tutt’e due non hanno il becco di un quattrino, che va bene così; lei resta la moglie di Hugo e loro si vedranno il più spesso possibile. […]

Siamo arrivati nel 1935 e lui sta scrivendo il Tropico del Copricorno, mentre mangia, beve e fuma a spese di Anais. (p. 190)

I due libri erotici di Anais, Il Delta di Venere e Little Birds, sono divenuti famosissimi e letti in tutto il mondo. Fanno da esempio campione di una letteratura erotica al femminile. Nel nostro giudizio non valgono le pagine più vere e incandescenti del diario. Il capolavoro di Anais Nin restò la sua vita, e il diario ne fu lo specchio per mezzo secolo. (p. 191)

Poco meno di trent’anni dopo la pubblicazione a Parigi di Tropic of Cancer, la scrittura di Miller […] irromperò nella vita e nell’esercizio letterario di un intellettuale della provincia italiana che era arrivato a Milano da pochi anni e che stravedeva anche lui per le donne. Luciano Bianciardi[…]. (p. 193)

E siccome l’inglese lo conosceva abbastanza bene, alla Feltrinelli[…] giudicarono che fosse lui il tipo adatto a tradurre i due Tropici[…].

Dal tradurre Miller allo scrivere se non alla maniera di Miller, certo nel suo spirito, il passo per Bianciardi non era lungo. Ne nacque La vita agra[…]. (p. 194)

VIII – COSÌ GENIALI, COSÌ CHIC, COSÌ SESSUALMENTE AMBIGUI p. 196

Alan Turing, questo suo vero nome, era un omosessuale. […] Si sarebbe suicidato il 7 giugno 1954, a 42 anni. […] Lui che era uno dei talenti scientifici della sua generazione, venne sottoposto per un anno a un trattamento sedicente scientifico, delle iniezioni ormonali che avrebbero dovuto cancellare la sua «perversione». (p. 197)

E come martire omosessuale e come eroe della storia inglese, Turing è rimasto marginale e seminascosto. (p. 198)

Il termine Bloomsbury, uno dei contrassegni peculiari nella storia della cultura inglese di questo secolo, trae origine dal nome di un quartiere londinese che agli inizi del secolo non era rinomato affatto. […] in una casa sita al numero 46 di Gordon Square, erano andati ad abitare nel 1904 i quattro fratelli Stephen. […]

Dei quattro fratelli Stephen, saranno le due ragazze a entrare nella leggenda culturale del Novecento. Virginia sarebbe passata allora storia della letteratura moderna come Virginia Woolf, il cognome del marito. Vanessa figura nella storia della pittura inglese come Vanessa Bell, dal cognome del suo primo marito. L’una e l’altra sarebbero state le due stelle femminili al centro della costellazione di Bloomsbury. (p. 199)

Sono stati loro i pionieri del secolo nuovo in Inghilterra. […]

A Virginia, ad esempio, piace molto Lytton Strachey[…], solo che lui è un omosessuale convinto[…]. (p. 202)

[…] il 17 febbraio del 1909 lui le propone di sposarla, al che lei gli dice di sì. […] E per fortuna che lo stesso Lytton ci ripensa e si tira indietro. (p. 203)

[…] nel maggio 1912, Virginia aveva detto di sì a Leonard Woolf[…].

Woolf era stato uno dei frequentatori della prima ora del giro di Bloomsbury. (p. 206)

Per trent’anni e sino al suo suicidio, il 28 marzo del 1941, quell’uomo sarà suo marito ma soprattutto il padre, il fratello maggiore, il suo scudo contro gli assalti della vita, quell’«antagonista» che mai un istante cedeva il campo. […]

Leonard Woolf passerà i trent’anni di una vita matrimoniale dolente a proteggere la salute di Virginia, ma anche a temperarne gli umori più radicali[…]. (p. 207)

Già a un anno dal matrimonio, Virginia ha tentato il suicidio con una dose letale di Veronal. La salvano per miracolo. […]

[…] la sola difesa di Virginia[…] è lo scrivere[…].

[…] per lei lo scrivere era un mettere fuori il dolore, oggettivarlo, sedarlo. (p. 208)

Quel che non era vissuto, era possibile scriverlo, consegnarlo alle lettere. Come sarà del suo rapporto con una donna che le piace molto e ha nome Vita Sackville-West. Quanto a vedersi e toccarsi, tra loro avverrà raramente; si scambieranno invece caterve di parole per iscritto. (pp. 208-209)

Il 14 dicembre del 1922 l’allora quarantenne Virginia incontra a cena Vita e Harold Nicolson, due sposi trentenni amici di Clive Bell. (p. 209)

Qualcosa scattò tra loro «scandalosamente» nel dicembre del 1925[…]. (p. 210)

A cominciare dal 9 ottobre del 1927 quella scrittura prende a oggetto Vita. È nato il proposito di scrivere Orlando, «una biografia», ossia al biografia di Vita Sackville-West raccontata come un personaggio che ora è un uomo e ora diventa una donna. (p. 211)

IX – LE DEE DI CARTA p. 217

[…] l’avvento delle pin-up, le ragazze le cui immagini voluttuose andavano ritagliate dai giornali e appese al muro, a rendere migliore la giornata dell’uomo medio americano.

Dee di carta e che nell’essere di carta avevano la loro forza. […]

Un fenomeno, quello delle pin-up degli anni Quaranta e Cinquanta, che dall’America si diffuse in tutto il mondo e influenzò il gusto di tutto il mondo. (p. 218)

Dalla realtà e dalla mitologia delle pin-up verrà tanta pere della cultura americana degli anni Cinquanta e Sessanta, da Marilyn Monroe a Andy Warhol, al «Playboy» fondato da Hugh Hefner, e tanto per citare alcuni capisaldi. (p. 219)

Il corpo ideale di donna era quello sagomato alla maniera di una clessidra, la vita sottile, i fianchi pronunciati, il busto prorompente[…]. (p. 220)

All’origine del successo di un autore o di una modella c’era spesso un calendario tutto puntato sulle beltà femminili. (pp. 220-221)

Quanto a calendari e copertine di riviste, dapprima fu l’era degli illustratori, più tardi le foto presero il sopravvento e il dominio. […]

Allo stesso modo, fu un calendario del 1950 ad impennare la sorte glamour di una ragazza di nome Norma Jeane Morteson, meglio nota come Marilyn Monroe. (p. 221)

[…] Robert Harrison[…]. «Beauty Parade», il giornale da lui fondato e che metteva in mostra «le più belle ragazze del mondo», nasce nel 1942, in piena guerra. […]

«Beauty Parade durerà quattordici anni, sino al 1956, quando l’età aurea delle pin-up andava scemando.

Harrison capisce che la sua arma vincente deve essere la copertina[…]. (p. 225)

Nella storia dell’immaginario erotico s’è un’era ante-bikini e un’era post-bikini. (p. 226)

Un bikini, tacchi a spillo alti 14 centimetri, e Bettie Page divenne l’icona erotica dei Cinquanta. (p. 227)

Willie, il delizioso ossesso del feticismo.[…]

Basterebbe la sequela di quelle magnifiche copertine a fare della rivista da lui inventata nel 1946, «Bizarre», una delle riviste underground più belle del Novecento. (p. 236)

Dal 1946 al 1954 ne pubblicò 26 numeri[…]. (p. 238)

X – IL PIÙ GRAN GUARDONE AL MONDO p. 242

All’alba degli anni Sessanta, a New York, le dee uscirono dalla carta e andarono per strada. […]

le dee irruppero nelle discoteche, nei cineclub, negli stati dov’era assordante l’accordo delle chitarre rock, nei salotti i più sofisticati, alle inaugurazioni delle mostre d’arte o degli happening teatrali. (p. 242)

Tra Sessanta e Settanta, in America, sono stati «gli anni Warhol». (p. 243)

[…] quello che i suoi stessi amici definivano il più gran guardone che esistesse al mondo. (p. 244)

Gli amici di Warhol lo avevano soprannominato «Drella», un nomignolo risultante dalla commistione di Dracula e Cinderella. […]

Warhol è stato il profeta e l’innovatore del look moderno, lui che bello non era. Il più gran guardone del mondo non era bello in un mondo di bellissimi e bellissime. (p. 247)

Durante gli anni della sua giovinezza e del suo apprendistato artistico e professionale, la beauty gli apparve un mito irraggiungibile, un ideale che gli era precluso e che solo poteva ammirare negli altri o nelle altre. Un ideale da godere a forza di guardare. (p. 248)

Il suo salto di qualità verso il successo lo ebbe con la serie di quadri dipinti nel 1961 e che raffiguravano le scatole di zuppa Campbell, la zuppa che era nelle cucine di tutti gli americani. (p. 249)

XI – LA CITTÀ EROTICA p. 262

A partire dai primi anni Sessanta, giù giù fino ai nostri giorni e sempre di più, le città d’Occidente sono diventate delle città erotiche. (p. 262)

A fare da cavallo da battaglia di questa costruzione di un’identità e di una protesta è innanzitutto la moda, che ha scelto la strada quale la sua passerella ideale. (p. 262)

Di tutte le città d’Occidente degli anni a cavallo fra i Sessanta e i Settanta, Amsterdam era divenuta la più erotica. (p. 266)

E nella pubblicità la donna erotica l’ha sempre fatta da padrona[…]. (p. 270)

Già tra i Settanta e gli Ottanta la pubblicità stradale fatta a mezzo di cartelloni e manifesti, e dunque la pubblicità che ha come suo baricentro l’offerta erotica del corpo femminile, aveva cambiato il volto delle città. (p. 271)

NOTE p. 287

INDICE DEI NOMI p. 309

 GIAMPIERO MUGHINI – UN SECOLO D’AMORE. ARTE, BELLEZZA E DESIDERIO DA PICASSO A MARILYN
GIAMPIERO MUGHINI – UN SECOLO D’AMORE. ARTE, BELLEZZA E DESIDERIO DA PICASSO A MARILYN