ESENIN – MOSCA DELLE BETTOLE E ALTRE POESIE


ESENIN – MOSCA DELLE BETTOLE E ALTRE POESIE
ACQUAVIVA – 2005

TRADUZIONE: SVETA KRISTOVA e GIUSEPPE D’AMBROSIO ANGELILLO

LETTERA ALLA MADRE p. 22

[…]
Mi affaticano le vane angosce,
adesso desidero che il mio corpo
risplenda in modo leggero di una tranquilla luce,
e la calma di un morto.
Adesso non mi rattristo più
di passare da nascondiglio in nascondiglio,
incarceriamo la natura nel cemento,
come dentro una camicia di forza.
Ed anche in me con le stesse regole
viene placata l’intensa passione,
ma io sempre dico addio
a quelle pianure che un tempo ho amato. (pp. 24-25)

IL TEPPISTA

[…]
Io non desidero mentire a me stesso,
è penetrata l’angoscia nel cuore fumoso,
perché mi hanno considerato un impostore?
Perché mi hanno considerato un attaccabrighe?
Non sono un malvivente,
mai nel bosco ho ucciso gli animali,
mai infelici ho fatto morire in carcere,
sono solamente uno scansafatiche,
che sorride la sera a quelli che arrivano. […]

per gli animali sono un buon compagno,
rallegra l’anima loro la mia poesia.[…]

Non ho tanti amici tra gli uomini,
appartengo ad un altro mondo,
sono pronto a mettere al collo
di un qualsiasi cane la mia cravatta.
Ora io non desidero più soffrire,
si è diradato il fumo nel mio cuore nuvoloso,
per questo motivo mi hanno considerato un impostore,
per questo motivo mi hanno considerato un attaccabrighe. (pp. 42-43)

Sono passati tempi di terribili problemi,
tempi di frenetica, folle vitalità,
mi è venuta in mente
la mia vita da bambino nelle campagne,
mi è venuta in mente la celeste pianura.
Non desideravo né gloria né tregua,
sono inconsapevole dell’inconsistenza della gloria infinita,
ora, invece, nel momento in cui mi azzardo a chiudere gli occhi
scorgo solamente la casa del padre. (p. 48)

Ah questi luoghi me li ricordo anch’io,
per tanto tempo mi è capitato di essere molto vicino al paese natale,
desidererei ora rivederlo.
Ma si è dissolto quel dolce tepore,
in una fossaia celeste si è infiammato tutto,
serenità a te, paglia di fattore,
serenità a te, casa di alberi da frutta. (p. 49)

[…]
Ttutto abbandonerò, mi farò crescere la barba,
e per la Russia girovagherò.
Mi scorderò dei libri e delle canzoni,
mi butterò addosso un sacco,
poiché nelle terre il vento canta le sue canzoni
più di tutti gli alcolisti.
[…]
Non mi serve nessuna gioia,
solo svagarmi e sentire la tempesta,
perché senza questa originalità non posso vivere. (p. 50)