DANIEL PENNAC – COME UN ROMANZO

DANIEL PENNAC – COME UN ROMANZO
FELTRINELLI – Collana UNIVERSALE ECONOMICA FELTRINELLI n. 8315 – XXIII ed LUGLIO 2014

TRADUZIONE: Jasmina Melaouah

I – NASCITA DELL’ALCHIMISTA p. 9

1 p. 11

Il verbo leggere non sopporta l’0imperativo, avversione che condivide con alcuni altri verbi: il verbo “amare”… il verbo “sognare”… (p. 11)

2 p. 12
Tanto più inconcepibile, questa avversione per la lettura, se apparteniamo a una generazione, a un’epoca, a un ambiente, a una famiglia dove la tendenza era piuttosto quella di impedirci di leggere. […]
Cosicché leggere era a quei tempi un atto sovversivo. Alla scoperta del romanzo si univa l’eccitazione di disobbedire alla famiglia. Duplice incanto! Oh, il ricordo di quelle ore di lettura rubate sotto le coperte alla luce di una torcia elettrica! (p. 12)
9 p. 23
E se non è il processo alla televisione o al consumismo selvaggio, sarà quello all’invasione elettronica. E se la colpa non è dei piccoli giochi ipnotici, sarà della scuola: gli aberranti metodi di apprendimento della lettura, l’anacronismo dei programmi, l’incompetenza dei maestri, la vetustà dei locali, la mancanza di biblioteche. (p. 23)
A ogni lettura presiede, per quanto inibito, il piacere di leggere; e per la sua stessa natura – questa gioia da alchimista – il piacere di leggere non ha nulla da temere dall’immagine, anche televisiva, e anche sotto forma di massicce dosi quotidiane. (p. 34)
Se, come usiamo dire, mio figlio, mia figlia, i giovani non amano leggere – e il verbo è giustissimo, poiché proprio di una ferita d’amore si tratta – non bisogna incolpare né la televisione, né i tempi moderni, né la scuola. Oppure, se vogliamo, tutte queste cose insieme, ma solo dopo esserci posti una domanda fondamentale: che cosa ne abbiamo fatto del lettore ideale che lui era all’epoca in cui noi stessi svolgevamo contemporaneamente il ruolo del narratore e quello del libro?
Quale enorme tradimento!
Lui, il racconto e noi formavamo una Trinità ogni sera riunificata. Adesso lui è solo, davanti a un libro ostile. (p. 39)
Sì… La televisione elevata alla dignità di ricompensa… e, come corollario, la lettura relegata al rango di corvé. È nostra, questa gran trovata… (p. 40)

22 p. 43

È, da subito, il buone lettore che rimarrà se gli adulti che lo circondano nutrono il suo entusiasmo invece di dimostrare a se stessi la propria competenza, stimolano il suo desiderio di imparare prima di imporgli il dovere di recitare, lo accompagnano nel suo sforzo senza accontentarsi di aspettarlo al varco, accettano di perdere qualche serata invece di tentare di guadagnare tempo, fanno vibrare il presente senza agitare la minaccia del futuro, evitano di trasformare in corvé quel che era un piacere, alimentano questo piacere finché per lui non sarà un dovere, fondano questo dovere sulla gratuità di qualsiasi esperienza culturale, e riscoprono anch’essi il piacere di questa gratuità. (p. 43)

II – BISOGNA LEGGERE (IL DOGMA) p. 49

28 p. 56
Il dogma.
Ci sono quelli che non hanno mai letto e sene vergognano, quelli che non hanno più tempo per leggere e se ne rammaricano, quelli che non leggono romanzi, ma libri utili, saggi, testi tecnici, biografie, libri di storia, quelli che leggono di tutto, quelli che “divorano libri” e gli brillano gli occhi, quelli che leggono solo i classici, signore, “perché non c’è miglior critico del vaglio del tempo”, quelli che passano l’età matura a “rileggere”, e quelli che hanno letto l’ultimo Tale e l’ultimo Talatro, perché bisogna pure, signore, tenersi al corrente…
Ma tutti, tutti, in nome della necessità di leggere.
Il dogma. (p. 56)
33 p. 66
Bisogna leggere, bisogna leggere…
E se invece di esigere la lettura il professore decidesse improvvisamente di condividere il suo personale piacere di leggere? […]
Abbiamo letto (e leggiamo) per proteggerci, per rifiutare o per opporci. […]
Ogni lettura è un atto di resistenza. Di resistenza a cosa? A tutte le contingenze. (p. 66)
34 p. 68
Difficile insegnare le Belle Lettere, quando la lettura impone a tal punto l’isolamento e il silenzio!
La lettura, atto di comunicazione? Ecco un’altra simpatica frottola da commentatori! Quel che noi leggiamo, lo taciamo. Il piacere del libro letto lo teniamo spesso gelosamente segreto.[…]
[…]quasi dolorosa consapevolezza che questa lettura, questo autore ci hanno, come si usa dire, “cambiato la vita”! (p. 68)
Salvo, naturalmente, per i parolai del potere culturale. Ah! Le chiacchiere da salotto, dove poiché nessuno ha niente da dire, la lettura passa al rango di possibile argomento di conversazione. Il romanzo ridotto a strategia di comunicazione! Tante urla silenziose, tanta ostinata gratuità perché il primo cretino possa rimorchiare la smorfiosa di turno: “Come, non ha letto il Viaggio di Céline?”
Si uccide per molto meno. (p. 69)

35 p. 70

Tuttavia, pur non essendo un atto di comunicazione immediata, la lettura è, alla fine, l’oggetto di una condivisione. Ma una condivisione lungamente differita, e tenacemente selettiva.
Se dovessimo tener conto delle letture importanti che dobbiamo alla Scuola, ai Critici, a tutte le forme di pubblicità e, viceversa, di quelle che dobbiamo all’amico, all’amante, al compagno di scuola, vuoi anche alla famiglia […] il risultato sarebbe chiaro: quel che abbiamo letto di più bello lo dobbiamo quasi sempre a una persona cara. Ed è a una persona cara che subito ne parleremo. Forse proprio perché la peculiarità del sentimento, come del desiderio di eleggere, è il fatto di preferire. […]
Quando una persona cara ci dà un libro da leggere, la prima cosa che facciamo è cercarla fra le righe, cercare i suoi gusti, i motivi che l’hanno spinta a piazzarci quel libro in mano, i segni di una fraternità. Poi il testo ci prende e dimentichiamo chi in esso ci ha immersi: tutta la forza di un’opera consiste proprio nel saper spazzar via anche questa contingenza.
Eppure, con il passare degli anni, accade che l’evocazione del testo faccia tornare alla mente il ricordo dell’altro: alcuni titoli sono allora di nuovo dei volti. (p. 70)

39 p. 77
Viceversa, noi che abbiamo letto e affermiamo di diffondere l’amore per il libro, preferiamo troppo spesso il ruolo di commentatori, interpreti, analisti, critici, biografi, esegeti di opere rese mute dalla devota testimonianza che diamo della loro grandezza. Imprigionata nella fortezza delle nostre competenze, la parola dei libri lascia il posto alla nostra parola. Invece di permettere all’intelligenza del testo di parlare per bocca nostra, ci affidiamo alla nostra personale intelligenza, e parliamo del testo. (p. 77)

III – DARE DA LEGGERE p. 83

47 p. 94

Il fatto è che il piacere di leggere era vicinissimo, imprigionato in quelle soffitte adolescenti da una paura segreta: la paura (molto molto antica) di non capire. (p. 94)
“A me piace l’inizio di Adolphe, sai, quel pezzo sulla timidezza: “Io non sapevo che – persino con suo figlio – mio padre era timido, e che spesso, dopo aver lungamente atteso da me qualche manifestazione di affetto, che la sua apparente freddezza sembrava impedirmi, egli mi lasciava con gli occhi gonfi di lacrime e si lagnava poi con altri che io non lo amavo”. (p. 95)

48 p. 97
Oltre all’ossessione di non capire, un’altra fobia da vincere per riconciliare questo piccolo mondo con la lettura individuale è quella della durata.
Il tempo della lettura: il libro considerato come una minaccia di eternità! (p. 97)
Contate le pagine… Si comincia meravigliandosi del numero di pagine lette, e poi si arriva a spaventarsi del poco che rimane da leggere. (p. 98)

49 p. 99

Dove trovare il tempo per leggere?
Grave problema.
Che non esiste.
Nel momento in cui mi pongo il problema del tempo per leggere, vuol dire che quel che manca è la voglia. […]
Il tempo per leggere è sempre tempo rubato. […]
Rubato a cosa?
Diciamo, al dovere di vivere. […]
Il tempo per leggere, come il tempo per amare, dilata il tempo per vivere. (p. 99)
Eppure, si è mai visto un innamorato non avere tempo per amare?[…]
La lettura è, come l’amore, un modo di essere. (p. 100)
51 p. 102
Non si forza la curiosità, la si risveglia. (p. 102)
52 p. 104

Ma leggere ad alta voce non basta, bisogna anche raccontare, offrire i nostri tesori, spiattellarli sull’incolta spiaggia. Udite, udite, e vedere quant’è bella una storia.
Per risvegliare l’appetito di un lettore non c’è modo migliore che dargli da fiutare un’orgia di lettura. (p. 104)
È così facile raccontare un romanzo. Tre parole bastano, a volte. (p. 105)
54 p. 110
Resta da “capire” che i libri non sono stati scritti perché mio figlio, mia figlia, i giovani, li commentino, ma perché, se ne hanno voglia, li leggano. (p. 110)
56 p. 113
Pochi oggetti risvegliano quanto il libro il sentimento di assoluta proprietà. Caduti nelle nostre mani, i libri diventano i nostri schiavi[…].
[…]quel letto coperto da una banchisa di libri sparpagliati come uccelli morti[…]
Di tutto, ai libri facciamo subire di tutto. Ma solo il modo in cui gli altri li maltrattano ci ferisce… (p. 113)
Prodotto di una società iperconsumistica, il libro è coccolati quasi quanto un pollo gonfiato con gli ormoni e molto meno di un missile nucleare. […]
Da questo punto di vista, quindi, il libro non è né più né meno che un oggetto di consumo, effimero come qualsiasi altro. Subito mandati al macero se “non funziona”, esso muore il più delle volte senza essere stato letto. (p. 115)
IV – IL COSA-LEGEGRÀ-LA GENTE (O I DIRITTI IMPRESCRITTIBILI DEL LETTORE) p. 117
1 – IL DIRITTO DI NON LEGGERE p. 119
Per cominciare, la maggior parte dei lettori si concede quotidianamente il diritto di non leggere. […]
I nostri periodi di lettura si alternano sovente a lunghi digiuni durante i quali la sola vista di un libro risveglia in noi i miasmi dell’indigestione. (p. 119)
In altri termini la libertà di scrivere non può ammettere il dovere di leggere. (p. 120)
2 – IL DIRITTO DI SALTARE LE PAGINE p. 121
E poi, anche una volta “grandi”, e anche se ci ripugna ammetterlo, ci capita ancora di “saltare delle pagine”, per ragioni che riguardano soltanto noi e il libro che stiamo leggendo. Ci può anche succedere di vietarcelo categoricamente, e leggiamo tutto fino all’ultima parola, osservando che qui l’autore tira un po’ per le lunghe, lì si concede un virtuosismo abbastanza gratuito, in quel punto cade nella ripetizione, e in quell’altro nell’idiozia. Ma qualsiasi cosa diciamo, la caparbia noia che imponiamo a noi stessi non rientra nell’ambito del dovere, è una categoria del nostro piacere di lettori. (p. 123)
3 – IL DIRITTO DI NON FINIRE UN LIBRO p. 124
Ci sono mille ragioni per abbandonare un romanzo prima della fine[…]
Tuttavia, fra le ragioni che abbiamo di abbandonare una lettura, ce n’è una su cui val la pena di soffermarsi: la vaga sensazione di una sconfitta. Ho aperto, ho letto, e ben presto mi sono sentito sopraffatto da qualcosa che percepivo come più forte di me. (p. 124)
Ma, contrariamente alle buone bottiglie, i buoni libri non invecchiano. Ci aspettano sui nostri scaffali e siamo noi a invecchiare. Quando ci riteniamo abbastanza “invecchiati” per leggerli, li affrontiamo un’altra volta. Allora possono succedere due cose: o l’incontro ha luogo o è un nuovo fiasco. Forse tenteremo ancora, forse no. […]
Tanto più che essa può offrire un piacere raro: quello di rileggere un libro capendo finalmente perché non ci piace. E un raro piacere: quello di sentire senza scomporci il pedante di turno che ci urla nell’orecchio:
“Ma come può non piacerti Stendhal?”
Può. (p. 125)
4 – IL DIRITTO DI RILEGGERE p. 126
[…]incantarci di una permanenza e trovarla ogni volta così ricca di nuovi incanti. (p. 126)

5 – IL DIRITTO DI LEGGERE QUALSIASI COSA p. 127
Per essere brevi diciamo a grandi linee che esiste quella che chiamerei una “letteratura industriale” che i limita a riprodurre all’infinito gli stessi tipi di racconti, che fabbrica stereotipi a catena, fa commercio di buoni sentimenti e sensazioni forti, prende al volo tutti i pretesti offerti dall’attualità per sfornare una narrativa di circostanza, effettua “studi di mercato” per piazzare secondo la “congiuntura” un determinato tipo di “prodotto” che si ritiene debba infiammare una determinata categoria di lettori.
Ecco, a colpo sicuro, dei cattivi romanzi.
Perché? Perché non sono il risultato della creazione ma della riproduzione di “formule” prestabilite[…]. (p. 127)
Insomma, una letteratura “usa-e-getta” fatta con lo stampo e che in quello stampo vorrebbe imprigionare anche noi. […]
Lo sfruttamento del sensazionalismo, dell’operetta da due lire, del brivido facile in una frase senza autore è cosa di vecchia data. […]
Dunque ci sono “buoni” e “cattivi” romanzi.
Molto spesso sono i secondi che incontriamo per primi sulla nostra strada. (p. 128)

6 – IL DIRITTO AL BOVARISMO (MALATTIA TESTUALMENTE CONTAGIOSA) p. 130
È questo, a grandi linee, il “bovarismo”, la soddisfazione immediata ed esclusiva delle nostre sensazioni: l’immaginazione che si dilata, i nervi che vibrano, il cuore che si accende, l’adrenalina che sprizza, l’identificazione che diventa totale ei l cervello che prende (momentaneamente) le lucciole del quotidiano per le lanterne dell’universo romanzesco… (p. 130)
E ricordarsi inoltre che il bovarismo è una delle cose più diffuse nel mondo, ma è sempre nell’altro che lo vediamo. […]
Mai ingenui, sempre lucidi, passiamo il nostro tempo a succedere a noi stessi, eternamente convinti che madame Bovary sia l’altro.
Anche Emma doveva pensarla così. (p. 131)
7 – IL DIRITTO DI LEGGERE OVUNQUE p. 132
8 – IL DIRITTO DI SPIZZICARE p. 134
È la libertà che ci concediamo di prendere un volume a caso della nostra biblioteca, di aprirlo dove capita e di immergercisi un istante, proprio perché solo di quell’istante disponiamo. (p. 134)
9 – IL DIRITTO DI LEGGERE A VOCE ALTA p. 135
Strana scomparsa, quella della lettura a voce alta. (p. 137)
10 – IL DIRITTO DI TACERE p. 139
Vive in un gruppo perché è gregario, ma legge perché si sa solo. La lettura è per lui una compagnia che non prende il posto di nessun’altra, ma che nessun’altra potrebbe sostituire.[…]
Cosicché le nostre ragioni di leggere sono strane quanto le nostre ragioni di vivere. E nessuno è autorizzato a chiederci conto di questa intimità. (p. 139)