CASSATA <>. POLITICA, IDEOLOGIA E IMMAGINE DEL RAZZISMO FASCISTA

CASSATA <<LA DIFESA DELLA RAZZA>>. POLITICA, IDEOLOGIA E IMMAGINE DEL RAZZISMO FASCISTA
EINAUDI – 2008

INTRODUZIONE p.XI

RINGRAZIAMENTI p. XVII

PARTE PRIMA – POLITICA p.3

CAPITOLO PRIMO – L’ESTREMISTA DI REGIME p.5

Telesio Interlandi nasce a Chiaramonte Gulfi, in provincia di Ragusa, il 20 ottobre 1894.[…]
Di nuovo a Roma, nel 1923 diviene redattore capo dell'<<Impero>>[…] (p.5)

A distanza di un mese dall’intervista a Pirandello, e forse anche grazie a questo scoop giornalistico, Interlandi viene scelto da Mussolini per dirigere un nuovo quotidiano romano, «Il Tevere». […]
Il primo numero del «Tevere» esce il 27 dicembre 1924.[…]
«Il Tevere» sopravvive, infatti, a partire dal 1926, grazie ai contributi che giungono dal Partito Nazionale Fascista (pnf) e dall’Ufficio stampa della Presidenza del Consiglio.
A trent’anni, il giornalista di Chiaramonte Gulfi si trova dunque a capo di un quotidiano destinato a essere presto riconosciuto come l’anticipatore e il contenitore ufficioso delle posizioni politiche di Mussolini. (p.7)

Ma sulla terza pagina del «Tevere» compaiono anche Emilio Cecchi, Giuseppe Ungaretti, Vitaliano Brancati, Elio Vittorini, Corrado Alvaro, Ardengo Soffici,..Cesare Zavattini, Ennio Flaia- no, Giovanni Macchia, Silvio D’Amico, Antonio Baldini, Antonello Trombadori, Marino Mazzacurati, Vinicio Paladini. Nell’agosto 1933, Interlandi fonda «Quadrivio», «settimanale illustrato di Roma»: vicedirettore è Luigi Chiarini, direttore del Centro sperimentale di cinematografia; redattore capo è Vitaliano Brancati15, mentre fra i collaboratori, oltre a molti dei nomi già citati, si trovano anche Umberto Barbaro, Massimo Bontempelli, Alfredo Casella, Roberto Melli, Aldo Palazzeschi.
E nelle colonne di queste due riviste che si forma quel milieu giornalistico destinato a costituire il lungo elenco di collaboratori della «Difesa della razza», quindicinale che Interlandi dirigerà a partire dall’agosto 1938: dall’architetto e critico d’arte palermitano Giuseppe Pensabene al polemista cattolico Gino Sottochiesa; dallo scrittore Alfredo Mezio al pedagogista Nazareno Padellaro; da filosofi tradizionalisti come Massimo Scaligero e Julius Evola all’antropologo Guido Landra; dallo storico della letteratura italiana Francesco Biondolillo al giornalista, esperto di esercito e aeronautica, Antonio Trizzino; da Domenico Paolella, critico cinematografico e poi regista, sceneggiatore e produttore, al critico letterario Aldo Capasso; dal giornalista Giovanni Savelli a Giorgio Almirante, redattore capo del «Tevere» a partire dal 1934. (p.8)

Ripercorrere l’attività pubblicistica interlandiana dal 1924 al 1938 consente, infatti, di precisare due aspetti storiografici senza i quali sarebbe probabilmente impossibile comprendere la genesi, nell’agosto 1938, della «Difesa della razza». In primo luogo, l’antisemitismo e il razzismo non sono, per Telesio Interlandi, il frutto di una scelta improvvisa, cinica e opportunistica, come si evince, ad esempio, dal profilo di Antonio Spinosa ripreso da Renzo De Felice16, ma rappresentano un nucleo sostanziale e strutturale della sua formazione intellettuale e della sua Weltanschauung ideolo- gico-politica. In secondo luogo, il legame privilegiato fra Interlan- di e Mussolini autorizza a considerare in controluce gli articoli razzisti e antisemiti del «Tevere» e di «Quadrivio» non solo come invenzioni propagandistiche di un giornalista o come isolati eccessi di un fascista radicale, ma come cartina di tornasole del «pensiero segreto» del dittatore e del complesso e non lineare sviluppo delle sue posizioni in materia di razzismo e antisemitismo. (p.9)

1 – UN ANTISEMITISMO DI LUNGA DATA p.9

Basterebbero forse i numerosi apprezzamenti che Alfred Rosenberg dedica al «Tevere» nel Vòlkischer Beobachter, almeno a partire dall’aprile 192618, per non nutrire dubbi sulla profondità e sulla radicalità del pregiudizio antiebraico presente negli scritti di Telesio Interlandi, ben prima dell’ascesa al potere di Hitler. Profondamente influenzato dalla lettura di Charles Maurras e di Léon Daudet19, Interlandi fa dell’antisemitismo uno degli aspetti imprescindibili della sua visione «integrale» del fascismo.
Prima di tutto, l’ebreo è infatti, per il giornalista siciliano, il simbolo dell’antifascismo. (p.9)

Antifascismo e «anti-Italia» sono evidentemente connessi, in una logica antisemita nella quale ebreo è costantemente sinonimo di «europeismo», di «internazionalismo», di «rollandismo». […]
Nemico politico (in quanto antifascista e internazionalista) e culturale (in quanto «europeista»), l’ebreo è infine, nell’ottica di Interlandi, il nemico economico. (p.10)

La «finanza internazionalista» non è certo l’unico tassello della rete cospirazionista immaginata da Interlandi. Fin dal 1924 il giornalista ha individuato, infatti, nella massoneria il principale nemico del fascismo56: «associazione a delinquere internazionale», la massoneria deve essere colpita a morte”, deve essere distrutta*8. In più occasioni Interlandi disegna le maglie di una cospirazione internazionale, composta dalla «demomassoneria francese»”, dal «fuoruscitismo», dalla democrazia, dal socialismo, dove l’ebreo gioca sempre un ruolo rilevante. Definito, come si è visto, il «ghetto della nazione», l’Aventino è per Interlandi l’atto di nascita della figura del «demo-masson-popolare-repubblicano»40, il prototipo dell’eterno avversario del fascismo. (p.12)

Elemento della cospirazione «massonica» antifascista e nemico interno/esterno sul piano politico, culturale ed economico, l’ebreo rappresenta, pertanto, fin dalla metà degli anni Venti, il polo negativo della Weltanschauung ideologico-politica di Interlandi. Le principali argomentazioni di questo immaginario antisemita – incentrato particolarmente sull’idea dell’ebraismo come movimento «internazionale», antifascista e antitaliano – ritorneranno con frequenza nella produzione giornalistica interlandiana degli anni Trenta. (p.13)

Se il nesso «internazionalismo» ebraico-antifascismo sembra, dunque, costituire un elemento di continuità deH’antisemitismo interlandiano, la progressiva declinazione in senso razzista del concetto di ebreo inizia a delinearsi con i primi anni Trenta, intrecciandosi con l’entusiastico sostegno fornito dal «Tevere» all’ascesa politica di Hitler in Germania. Dopo aver salutato, nell’aprile 1925, Hindenburg come «l’incarnazione dell’interesse della razza» tedesca e, due anni dopo, Hitler come il «corpo vivo della Germania», gli orientamenti assunti dal quotidiano romano tra il 1930 e il 1933, lungi dal rivelare presunti finanziamenti da parte tedesca, si accordano per contro perfettamente con la complessa strategia adottata da Mussolini nei suoi rapporti con Hitler, soprattutto in relazione alla «questione ebraica». Nel quadro dell’organizzazione diplomatica del Patto a Quattro, Mussolini persegue, infatti, nel 1932 fino al giugno 1933, un’articolata politica di mediazione, finalizzata a frenare sia la violenza nazista contro gli ebrei sia lo sdegno antinazista dell’opinione pubblica internazionale. (p.14)

Con l’inizio degli anni Trenta, la valutazione positiva della progressiva ascesa nazionalsocialista s’intreccia con la polemica del «Tevere» nei confronti dei gradi di «italianità» e di adesione al fascismo degli ebrei sionisti della penisola. (p.15)

Nell’aprile 1933, Interlandi si scaglia contro le «tenere anime» che – in Italia, ma non solo – si sono allarmate di fronte all’antisemitismo nazionalsocialista. (p.16)

È il consueto stereotipo dell’ebreo «padre dei razzismi», tipico delle strategie autodifensive dell’antisemitismo moderno, che ritorna. La sintesi interlandiana è da manuale antiebraico: «Tutti i razzismi non sono che una derivazione del razzismo semitico o una difesa contro di esso». (p.17)

Quest’ultimo argomento – Vanti-italianità del sionismo, ma, più in generale, dell’ebraismo italiano – rappresenta il perno concettuale della campagna antisemita condotta dal «Tevere» tra il gennaio e l’aprile 1934. (p.18)

Alla fine di marzo, la campagna culmina con il lungo articolo scritto da Interlandi in occasione dell’arresto di un gruppo di ebrei torinesi appartenenti al movimento antifascista Giustizia e Libertà. Gli antefatti dell’episodio sono noti e ben ricostruiti in sede storiografica. L’11 marzo 1934, al posto di frontiera italo-svizzero di Ponte Tresa, due torinesi che rientravano in Italia, trasportando clandestinamente varie pubblicazioni e numerosi volantini con l’invito a votare «No» al plebiscito indetto dalla dittatura per il 25 marzo, vengono casualmente fermati e perquisiti da agenti della Finanza in cerca di «sigarette non denunciate». Uno dei due, Mario Levi, riesce a riguadagnare la Svizzera; il rapporto di polizia inviato da Ponte Tresa a Roma comunica tra l’altro la (falsa) notizia che egli, fuggendo, avesse gridato «Cani di italiani vigliacchi». Il secondo, Sion Segre, viene arrestato e condotto a Varese; il relativo rapporto inviato a Roma sottolinea la «religione ebraica» di Segre e informa che una nuova perquisizione avrebbe portato al rinvenimento di copie di una circolare di un «comunicato organizzatore riunioni ebraiche giovanili» di Torino (l’Onegh Shabbath). (pp.19-20)

Poche righe, ma in esse vi è già tutto l’Interlandi degli anni successivi: la definizione dell’ebreo in termini razziali, l’affermazione del suo carattere straniero e nemico, la denuncia della sua inassimilabilità. (p.21)

2 – IL CAMMINO DEL RAZZISMO BIOLOGICO p.21

La storiografia più recente colloca nell’estate 1935, ancor prima della guerra di Etiopia, la svolta del regime fascista verso la progressiva affermazione del razzismo e dell’antisemitismo di Stato. Nell’agosto 1935, Mussolini chiede al ministero delle Colonie di predisporre «d’urgenza un piano d’azione per evitare il formarsi di una generazione di mulatti in Africa Orientale»79. Due mesi prima, nel giugno, il dittatore ha preparato con cura il reinserimento nella sua Opera Omnia di un precoce articolo antiebraico del 1908, destinato a essere pubblicato da De Begnac nel 193780.
Tanto la campagna contro il «meticciato» quanto la persecuzione antiebraica conoscono un rilevante giro di vite sull’onda dell’impresa militare di conquista dell’Etiopia81. Nel giugno 1936, il nuovo ordinamento dell’Africa Orientale Italiana (aoi), esclude la possibilità di concedere la cittadinanza italiana a meticci nati da un genitore di «razza bianca» rimasto ignoto. Parallelamente, tra la fine del 1935 e l’estate del 1936 si verifica quella che Michele Sarfatti ha definito la transizione dalla persecuzione della parità e dell’autonomia dell’ebraismo (e dal progressivo allontanamento dalle cariche pubbliche) alla persecuzione dei singoli ebrei[…] (p.21)

Meir Michaelis ha insistito particolarmente sull’alleanza ideologica con la Germania e su altre ragioni legate soprattutto alla politica estera italiana: il risentimento di Mussolini nei confronti dell’«ebraismo internazionale»; la crociata contro il «bolscevismo giudaico», rappresentato sia dalla Spagna che dalla Francia di Léon Blum; il crescente disprezzo per le democrazie «corrotte»; la rivalità anglo-italiana nel Mediterraneo orientale e le accuse nei confronti del sionismo «inglese»83.
Per quanto riguarda il ruolo, in questo contesto, di Telesio In- terlandi, non è certo la guerra d’Etiopia ad alimentare il suo razzismo antinero. (p.22)

Se dunque l’idea di una precisa gerarchia razziale tra bianchi e neri e di una legittima e naturale superiorità dei primi sui secondi è ben antecedente alla guerra del 1935-36, la campagna giornalistica che affianca lo svolgimento del conflitto presenta due motivi specifici, destinati a esercitare un’influenza importante nello sviluppo del razzismo e dell’an- tisemitimo interlandiani. In primo luogo, il direttore del «Tevere», nella sua offensiva contro le democrazie sanzioniste, introduce il concetto di Europa «negroide»: l’Europa anti-italiana è, in quanto tale, un’Europa che – fatta eccezione per la Germania nazista – ha tradito la solidarietà della «civiltà bianca», dando pertanto chiari segni di «degradazione negroide». (pp.22-23)

Accanto all’Europa «negroide», sono le «manovre ebraico-mas- soniche intorno al conflitto italo-etiopico»86 ad attirare l’attenzione di Interlandi: una «solidarietà semitica» nei confronti del «negro» non poteva mancare, infatti, «sotto il segno di Mercurio intorno al trono di Salomone»87. Sulla scia dei risentimenti dello stesso Mussolini nei confronti dell’«ebraismo internazionale»88, le sanzioni contro l’Italia vengono lette dal direttore del «Tevere» come la riprova della cospirazione ebraico-massonica contro il fascismo[…] (p.23)

Concepita da Interlandi come un’offensiva dell’Italia fascista contro un’Europa «negroide», divenuta ormai mero strumento nelle mani della cospirazione «ebraico-massonica», la guerra d’Etiopia porta con sé la progressiva elaborazione di un apparato normativo razzista diretto contro i neri e gli africani in genere e, in particolare, le popolazioni dell’Aoi (Etiopia, Eritrea e Somalia). Nel gennaio 1937, «Il Tevere» è tra i pochi giornali autorizzati dal ministero della Stampa e Propaganda a commentare i nuovi Provvedimenti per i rapporti fra nazionali e indigeni, un progetto di legge finalizzato a vietare – in Italia e nelle colonie – le «relazioni d’indole coniugale» tra un «cittadino italiano» e un «suddito» dell’AOi o persona assimilabile (cioè le convivenze miste note come «madamato»). Nel suo editoriale, Interlandi insiste particolarmente sugli effetti disgenici dell’incrocio[…]
Sull’onda della vittoria militare in Etiopia, nell’estate-autunno 1936 Interlandi intensifica il rapporto di collaborazione con il ventottenne senese Giulio Cogni[…] (p.24)

E Interlandi a presentare Cogni a Mussolini, nel contesto di un progressivo avvicinamento tra Roma e Berlino in materia di razzismo, databile aU’estate-autunno 1935. Nel settembre 1935 – co- f me ha rivelato un documento pubblicato alcuni anni fa da Meir Michaelis – Mussolini invia, infatti, in Germania il console Gino Scarpa, il quale, nel corso della sua missione, intrattiene numerosi e lunghi colloqui con Walther Gross, capo deU’Ufficio Razza del Partito nazionalsocialista. Nel suo resoconto, Gross dichiara di aver raggiunto con Scarpa «un completo accordo sui principi fondamentali», concretizzatosi, dopo la conclusione della guerra d’Etiopia, nella campagna giornalistica di Farinacci, ma soprattutto nell’attività di Giulio Cogni, indicato come «il primo e il più coerente» studioso italiano impegnato a «introdurre l’approccio biologico razzista nel pensiero e nella scienza italiani». (pp.24-25)

Nell’agosto 1935, il filosofo di Siena aveva visto nel conflitto italo-etiopico la legittima affermazione gerarchica dell’«uomo ario» sugli «uomini bestiali», sulle «greggi di popoli che nulla mai hanno creato», in un crescendo di estetismo razzista[…] (p.25)

Caduto in disgrazia Giulio Cogni, Interlandi, nel corso del 1937, reimposta la campagna di stampa razzista e antisemita in una duplice direzione. In primo luogo, a partire dall’aprile, la mistica paganeggiante di Cogni lascia il posto, tanto su «Quadrivio» che sul «Tevere», al cattolicesimo fascista e razzista di Gino Sottochiesa.[…]
Se il paganesimo di Cogni lascia, dunque, il posto al cattolicesimo razzista di Sottochiesa, allo stesso modo, nel 1937, l’idealismo biologizzante del filosofo senese viene progressivamente sostituito dal modello biologico-eugenetico nazionalsocialista, proposto nella rubrica II razzismo è all’ordine del giorno, curata dal giornalista altoatesino Helmut Gasteiner (che opterà per la cittadinanza tedesca)144 e dall’architetto palermitano Giuseppe Pensabene, e pubblicata a puntate su «Quadrivio», dal 17 gennaio al 24 ottobre. (p.33)

Lo Stato «deve mettere la razza al centro della vita generale»: soltanto chi è sano può generare figli, mentre chi è «malato o difettoso» deve astenersi, e in questa astensione consiste il sacrificio per la patria, il «supremo onore».[…]
L’eugenica nazionalsocialista è chiaramente il punto di riferimento della rubrica di «Quadrivio». Lo dimostrano innanzitutto le illustrazioni che accompagnano gli articoli di Gasteiner e Pensabene, tratte dalla propaganda eugenetica nazista. Ma lo rivela anche il riferimento esplicito alla sterilizzazione forzata[…] (p.35)
Tra gli ultimi mesi del 1937 e le prime settimane del 1938 viene dato il via a una nuova fase della persecuzione dei diritti, quella delle «necessarie (e di per sé già persecutorie) operazioni preliminari al varo della nuova normativa razzista: identificazione e censimento degli ebrei, varo di prime misure di arianizzazione settoriale, intervento ufficiale dei massimi organi del governo e del partito, elaborazione della definizione giuridica di ebreo e dell’im- postazione della normativa persecutoria definitiva».
Anche in questa fase Telesio Interlandi gioca un ruolo di primo piano. Il 17 febbraio, «Il Tevere» è infatti tra i pochissimi giornali autorizzati a commentare VInformazione diplomatica n. 14164, prima dichiarazione ufficiale del regime sulla «questione antiebraica», redatta da Mussolini. (pp.36-37)

Nel suo editoriale, Interlandi accoglie VInformazione diplomatica n. 14 come la legittimazione politica dell’importanza e validità delle campagne giornalistiche che l’hanno preceduta, assumendosi l’onere e il merito di aver posto «davanti all’opinione pubblica i crudi termini d’un problema che la maggior parte degli italiani ignorava e che buona parte dei fascisti trascurava». (p.37)

Nel gennaio-febbraio 1938, è di nuovo Interlandi a favorire il contatto tra Mussolini e Guido Landra, un antropologo ventiquattrenne che aveva già collaborato con «Il Tevere» nel 1931, scrivendo alcuni reportage dalle città di Vienna, Monaco e Norimberga167. Documenti recenti hanno rivelato come Interlandi si sia fatto portatore, anche in questo caso, dei diretti orientamenti di Mussolini, volti a impostare la campagna razzista in termini strettamente scientifico-biologici168.
Il 2 febbraio 1938, Mussolini, approvati alcuni «appunti» di Landra «contenenti dei consigli tecnici per il razzismo», incarica l’antropologo – attraverso la mediazione del ministro della Cultura Popolare Dino Alfieri – di costituire «un comitato scientifico per lo studio e l’organizzazione della campagna razziale»169. Una prima lista di collaboratori viene spedita ad Alfieri due giorni dopo (il 4) e approvata da Mussolini l’11 febbraio. Il 24 giugno, il dittatore riceve personalmente il giovane antropologo, per impartirgli direttive precise sul «problema razziale», ordinandogli anche di creare «uno speciale Ufficio studi» con l’obiettivo di «stabilire entro cinque o sei mesi i punti fondamentali per iniziare la campagna razziale in Italia». (p.38)

Il 28 giugno174, Landra presenta a Mussolini il testo del Manifesto, frutto della sintesi fra le idee mussoliniane e la bozza da lui elaborata in aprile.[…]
Il comitato estensore – composto in quel momento, oltre che da Landra, da Lidio Cipriani, incaricato di antropologia aH’Università di Firenze e direttore del Museo nazionale di antropologia ed etnologia di Firenze; Leone Franzf, assistente nella clinica pediatrica dell’Università di Milano; Lino Businco, assistente di patologia generale all’Università di Roma e Marcello Ricci, assistente di antropologia presso la medesima università
si riunisce per discutere la bozza il 2, il 3 e il 5 luglio 1938. (p.39)

Così modificato, quello che diverrà noto come il Manifesto della razza viene pubblicato il 14 luglio 1938, in forma anonima, sulla prima pagina del «Giornale d’Italia» (datato però 15 luglio), con il titolo 11 fascismo e i problemi della razza. (p.40)
Nel frattempo, in stretta relazione con la pubblicazione del Manifesto, il ministero della Cultura Popolare progetta «una azione di ben studiata propaganda», definita nel dettaglio, il 19 luglio, da un documento – redatto probabilmente sulla base di appunti stesi da Lidio Cipriani186 – che merita di essere citato integralmente, poiché al suo interno si prospettano i contorni dell’attività del futuro Ufficio Razza187, che sorgerà il 16 agosto, e si auspica la pubblicazione di quella «rivista a carattere divulgativo», che diventerà, di li a breve, «La Difesa della razza» (pp.40-41)
Sempre nei giorni successivi al 14 luglio, matura, forse in seguito alla reazione sfavorevole di alcuni settori degli ambienti vaticani e in particolare del pontefice Pio XI189, la decisione musso- liniana di coinvolgere nella firma e nell’adesione al Manifesto personalità accademicamente più autorevoli, individuate nelle persone di Nicola Pende, direttore dellTstituto di patologia speciale medica deirUniversità di Roma; Sabato Visco, direttore dell’istituto di fisiologia generale della stessa università e direttore dell’istituto nazionale di biologia del cnr; Arturo Donaggio, direttore della Clinica neuropsichiatrica dell’Università di Bologna e presidente della Società italiana di psichiatria; Edoardo Zavattari, direttore dellTstituto di zoologia dell’Università di Roma. Questi nomi vengono comunicati al comitato iniziale in una riunione con Alfieri del 20 luglio. Cinque giorni dopo, nel pomeriggio, i dieci studiosi si incontrano e subito si evidenziano i contrasti tra il «gruppo» legato a Landra («noi quattro», secondo l’espressione usata, il 18 luglio, da Cipriani), da un lato, e, dall’altro, le posizioni teoriche di Nicola Pende e Sabato Visco, i quali – secondo quanto riporterà Alfieri a Mussolini – criticano l’idea di una «razza italiana» pura, contestano l’uso del termine «ariano» e disapprovano l’impostazione «nordica» del documento. (p.62)

Nonostante le tensioni, l’elenco dei firmatari viene ufficializzato il 25 luglio da un comunicato stampa del pnf194. Subito dopo però iniziano gli incontri per la modifica del testo del Manifesto, testimoniati da Bottai nel suo diario[…]
Al momento dell’uscita del suo primo numero, il 6 agosto, «La Difesa della razza» risulta, dunque, implicitamente percorsa da due linee di frattura. La prima è ovviamente quella con Nicola Pende e Sabato Visco, gli unici scienziati coinvolti nelle vicende del Manifesto di cui non compaia traccia nella rivista. (p.43)

Nel settembre 1938, il nome di Cogni è inserito – insieme a quelli di Landra e Cipriani – nel Comitato consultivo della «Biblioteca razziale Italia» o «Biblioteca de “La Difesa della razza”», collana legata al quindicinale, fondata da Interlandi riprendendo proprio l’iniziale progetto di Cogni con la casa editrice Sansoni. […]
A inaugurare la collana della Biblioteca della Razza213 è, in ottobre, un libello di Telesio Interlandi, dal titolo inequivocabile: Contra Judaeos.(p.46)

2 – IN NOME DEL MANIFESTO p.56

«La Difesa della razza» esce nelle edicole sabato 6 agosto 1938, anche se la data riportata sulla copertina del primo numero corrisponde al giorno 51. Lo stesso giorno, il ministro dell’Educazione Nazionale, Giuseppe Bottai, emette quattro circolari riguardanti la diffusione della rivista, tra loro differenti, indirizzate rispettivamente ai rettori e direttori degli Istituti Superiori; ai provveditori e presidenti degli Istituti d’arte; al presidente della Giunta centrale per gli studi storici; ai presidenti delle accademie e delle associazioni culturali2. L’8 agosto, la commissione ministeriale per gli acquisti delle pubblicazioni, «derogando dalle norme ordinarie», vara l’acquisto e la distribuzione di mille copie: 20 per le biblioteche governative, 80 per quelle non governative, 250 per le biblioteche delle scuole medie classiche, 250 per quelle medie e scientifiche, 400 per le biblioteche dei provveditori («una per Provveditore») e per le biblioteche magistrali e scolastiche3. Accanto a Bottai, a supportare la diffusione della rivista di Interlan- di intervengono anche le veline di Dino Alfieri, ministro della Cultura Popolare4; i fogli di disposizione di Achille Starace, segretario del Partito Nazionale Fascista5 e i telegrammi ai prefetti di Guido Buffarini Guidi, sottosegretario all’interno6.
Gestita inizialmente dal ministero della Cultura Popolare, «La Difesa della razza» viene stampata con una tiratura imponente che oltrepassa le 140 mila copie, al prezzo relativamente basso di una lira a fascicolo7. La redazione, inizialmente indicata in Largo Ca- valleggeri, troverà, nel novembre 1938, una collocazione definitiva a Palazzo Wedekind, nella centralissima Piazza Colonna, non distante da Montecitorio, Palazzo Chigi e Piazza Venezia. (p.56)

La forte tiratura, il basso prezzo di vendita e l’affitto della prestigiosa sede fanno ben presto salire alle stelle i costi, producendo saldi passivi coperti dal ministero della Cultura Popolare: tra il 15 agosto 1938 e il 30 giugno 1939, le spese superano del doppio le entrate, con un disavanzo di 1 115 687 lire9. E la situazione non migliora tra il luglio 1939 e il giugno 1940, con un saldo passivo di 906403,05 lire. Parallelamente, le entrate pubblicitarie diminuiscono: dalle 233 771,10 lire del periodo agosto 1938 – giugno 1939 alle 138 759,80 del periodo luglio 1939 – giugno 1940. Tra i maggiori finanziatori, emergono, dai dati disponibili, la Banca Commerciale Italiana, l’istituto Nazionale Assicurazioni, il Banco di Sicilia, il Credito Italiano, la Finmare. Seguono, a distanza, la Società Breda, le Officine Villar Perosa, la Venchi Unica. Nel secondo semestre 1940, la tiratura si riduce, attestandosi a circa 20 000 copie (di cui 5000 per abbonamenti e il resto per la vendita), ma il saldo passivo continua a essere alto, ammontando a 230 779,94 lire. A partire dal i° dicembre 1940, Mussolini incarica il ministero di ridurre le spese. Con i nuovi accordi, la gestione della rivista viene direttamente assunta dall’istituto di arti grafiche Tumminelli (responsabile delle spese di stampa, lancio, vendita, collaborazione, ecc.); il numero delle pagine è ridotto da 48 a 32; il ministero della Cultura Popolare corrisponde un contributo annuo di 350 000 lire a copertura delle spese dei locali, mantenuti in Piazza Colonna «a scopo politico-propagandistico».
Per quanto riguarda il comitato di redazione, i suoi membri (Guido Landra, Lidio Cipriani, Lino Businco, Leone Franzi e Marcello Ricci)10 testimoniano, come si è visto, lo stretto legame esistente tra la genesi della rivista e le vicende del Manifesto del 14 luglio 193811. I dieci punti del documento si ritrovano nell’apertura del primo numero12, le cui pagine ospitano gli articoli di ben otto firmatari, soli assenti Nicola Pende e Sabato Visco.

Un’impostazione teorico-politica fortemente connessa al Manifesto e il diretto e propulsivo sostegno di Mussolini sembrerebbero garantire alla «Difesa della razza» una tranquillizzante solidità. Saranno sufficienti, invece, soltanto pochi mesi per assistere al coinvolgimento del quindicinale nel nugolo delle tensioni e delle contrapposizioni interne alle differenti correnti ideologiche e politico-istituzionali del razzismo fascista. (p.59)

1 – L’OFFENSIVA NAZIONAL-RAZZISTA p.60

Fin dagli inizi di agosto, «La Difesa della razza» deve fare i conti con i tentativi di «spiritualizzare» il razzismo fascista – senza per altro negare l’impianto biologico della legislazione persecutoria29 – provenienti dagli editoriali di Giuseppe Bottai su «Critica Fascista». […]
Un altro episodio, in quei mesi, rivela il delicato conflitto ideologico in corso. Nella Dichiarazione sulla razza, redatta da Mussolini nel settembre
e approvata dal Gran Consiglio del fascismo il 6 ottobre, nel passaggio dalla stesura manoscritta a quella definitiva, pubblicata ufficialmente, viene eliminato il primo paragrafo, contenente un esplicito riferimento al Manifesto-. «Il Gran Consiglio fa sue le dieci proposizioni elaborate dagli Universitari Fascisti, sotto l’egida del Ministero della Cultura Popolare ed approvate successivamente dal Segretario del Partito»31. Nel settembre 1938, la costituzione del Consiglio superiore della Demografia e Razza, presieduto da Giacomo Acerbo, vede la totale esclusione dei razzisti biologici che fanno capo alla «Difesa della razza»32. Se ne accorge Lidio Cipriani, che scrive allarmato a Landra[…] (p.60)

Le stesse modalità interlandiane di conduzione della campagna antiebraica divengono ben presto oggetto di critica. Nella citata riunione del Gran Consiglio del 6 ottobre, alcuni membri esprimono, infatti, la loro disapprovazione nei confronti degli articoli pubblicati dal «Tevere» contro gli ebrei. Lo comunica alcuni giorni dopo il ministro Alfieri a Interlandi, il quale reagisce duramente, scrivendo, il 28 ottobre, a Mussolini – su carta intestata della «Difesa della razza» – per precisare che tutti i passaggi della campagna di stampa – in particolare, gli attacchi ai docenti universitari e ai professionisti ebrei («con fatti personali» e «indirizzo di casa») – sono stati preventivamente concordati con il ministero della Cultura Popolare. (p.61)

Le parole di Interlandi si riferiscono probabilmente alla crescente influenza della corrente nazional-razzista, politicamente guidata da Giacomo Acerbo58 e scientificamente incarnata da Nicola Pende, l’endocrinologo che Interlandi ha accusato, soltanto alcuni giorni prima, di aver aderito strumentalmente al Manifesto del luglio 1938 per poter immettere nell’organizzazione politica del razzismo il proprio «antirazzismo», ovvero le sue idee sulla «bonifica ortogenetica individuale»59. L’attacco del «Tevere» segue, in quel momento, una precisa direttiva politica: il ministero della Cultura Popolare ha infatti elaborato, il 16 ottobre, un comunicato in cui si invita «a non occuparsi più di quello che fa e di quello che scrive il Senatore prof. Pende»40. Il 18 ottobre Pende invoca, in una lettera a Mussolini, «giustizia piena ed esemplare» contro Interlandi, sottolineando non senza ironia come le sue teorie abbiano riscosso «l’approvazione dell’altra sponda del Tevere», cioè della Santa Sede. (pp.60-61)
L’ostracismo è durato dunque soltanto quattro giorni e il suo esito prelude chiaramente a un mutamento di rotta e a un adeguamento della dottrina razzista ufficiale.
Sul piano istituzionale, la svolta si produce nel febbraio 1939, quando Sabato Visco assume il controllo dell’Ufficio Razza del ministero della Cultura Popolare, al posto di Guido Landra. Il cambio di guardia non tarda a far sentire i suoi effetti sulla situazione generale della «Difesa della razza». Tra il febbraio 1939 e il luglio 1940, Visco segnala, infatti, criticamente al ministero ddla Cultura Popolare numerosi articoli pubblicati sulla rivista. (p.62)

Oltre ai contenuti, a essere oggetto delle strategie offensive di Visco è la redazione stessa della «Difesa della razza». Nell’aprile 1939 e nel maggio 1940, il ministero della Cultura Popolare, su indicazione di Visco, sospende, infatti, le sovvenzioni mensili destinate, rispettivamente, a Lino Businco e a Leone FranzP. Con l’estate, l’onda travolge Cipriani. A un’inchiesta del ministero del- l’Educazione Nazionale, che attesta gli illeciti amministrativi commessi dall’antropologo, rimuovendolo dalla carica di direttore dell’istituto fiorentino, si aggiunge l’azione di Visco, il quale recupera una recensione della quarta edizione del celebre manuale Baur-Fi- scher-Lenz (1921)54, in cui lo stesso Cipriani, nel 1936, assimilava positivamente gli «israeliti» ai «mediterranei» e giudicava incompatibile l’antisemitismo con il «pensiero latino». (pp.63-64)

Rimosso dai ruoli scientifico-accademici, Cipriani sarà anche sospeso, a partire dal luglio 1941, dal suo incarico presso l’Ufficio Razza. (p.64)

Nel frattempo, l’offensiva di Visco ha raggiunto, nell’estate- autunno 1940, il suo apice, travolgendo anche Guido Landra, la figura sicuramente più significativa del comitato redazionale della «Difesa della razza».
Il licenziamento di Landra dalla sua carica di addetto presso il ministero della Cultura Popolare è in realtà l’epilogo dei violenti contrasti fra le diverse anime del razzismo fascista, innescati dalla pubblicazione, nel 1940, del saggio di Giacomo Acerbo, I fondamenti della dottrina fascista della razza59.
Membro del Gran Consiglio del fascismo e presidente dell’istituto internazionale di Agricoltura, Acerbo è oggetto delle invettive del «Tevere» fin dal settembre 1938. Nella rubrica Kitratto degli ebrei d’Italia, una lettera firmata A. G. denuncia, infatti, l’istituto internazionale di Agricoltura come una delle «rocche forti del giudaismo», un «covo di antifascismo e di traditori» nel bel mezzo della capitale, dove «gli ebrei detengono il venti per cento dei posti dell’organico»60. Acerbo reagisce immediatamente con una lettera a Dino Alfieri, ministro della Cultura Popolare, in cui, oltre alla precisazione che «nessun funzionario di razza israelitica occupa gradi direttivi o comunque elevati» all’interno dell’istituto, s’invoca il diretto intervento politico contro l’«interferenza» di In- terlandi61. Pochi giorni dopo, Alfieri assicura di aver «già provveduto perché il fatto deplorevole non abbia a ripetersi»62.
Tra l’ottobre e il dicembre 1938, Acerbo sottopone all’attenzione di Mussolini e del ministero della Cultura Popolare i principi generali di una nuova impostazione «etno-storica» del «problema della razza» in Italia, finalizzata a riorientare le posizioni teoriche espresse dal Manifesto del luglio 1938 in una duplice direzione: in primo luogo, l’accentuazione del dato «storico» e «culturale» rispetto a quello puramente «biologico»; in secondo luogo, il ridimensionamento del concetto di «arianità» a favore invece di quello di «mediterraneità» della «razza italica». Questi due presupposti – entrambi tesi a sottolineare l’autonomia del razzismo fascista rispetto a quello nazionalsocialista – dovrebbero costituire l’intelaiatura fondamentale di una conferenza, che Acerbo – come si legge in una lettera ad Alfieri – ha in mente fin dal dicembre 1938[…] (pp.65-66)

L’impostazione di Acerbo viene approvata da Mussolini il 23 dicembre 1938, con un’unica, rilevante riserva, volta a salvaguardare il concetto di «arianità» dalle critiche più pesanti64. La conferenza si tiene a distanza di poco più di un anno, il 27 gennaio
presso la sede fiorentina dell’istituto Nazionale di Cultura Fascista. Dei tre titoli proposti da Acerbo – La dottrina fascista della razza, I fattori spirituali e storici della dottrina fascista della razza e II fattore spirituale e il fondamento storico della dottrina fascista della razza65 – quello effettivamente adottato, I fondamenti della dottrinafascista della razza, accentua indubbiamente il carattere di ufficialità politica dell’iniziativa. Pubblicizzato sulla prima pagina del «Corriere della Sera» del 28 febbraio 194066, il testo della con- lerenza viene trasmesso, in marzo, all’Ufficio Studi e Propaganda sulla Razza di Visco, che ne cura «con grande diligenza» (per usare le parole di Acerbo) la stampa. (pp.66-67)

L’uscita dei Fondamenti di Acerbo rappresenta, nel luglio 1940, un nuovo casus belli, che vede la corrente razzista interlandiana allearsi con il filone esoterico-tradizionalista di Giovanni Preziosi e della «Vita Italiana» al fine di fronteggiare l’avanzata ideologico- politica del nazional-razzismo di Acerbo e di Visco”. Non è certo un caso, infatti, che la nota di Preziosi, intitolata Per la serietà degli studi razziali italiani (Dedicato al camerata Giacomo Acerbo), venga pubblicata contemporaneamente sia sulla «Vita Italiana» che sulla terza pagina del «Tevere». (p.67)

Alla fine di settembre, Acerbo consegna al ministero della Cultura Popolare la bozza di un suo articolo di risposta alle «battute polemiche» della «Vita Italiana» e del «Regime Fascista», chiedendo a Mussolini che venga pubblicato sul «Giornale d’Italia».
Il testo, intitolato A proposito di studi razziali, si appella alla «serietà scientifica», contrapposta agli «scambietti», le «faceziuole» e le «piccole insolenze» di Preziosi e Farinacci. (p.70)

Per decisione di Mussolini, l’articolo di Acerbo non viene pubblicato, ma questo non basta a sedare le polemiche. Accolto con entusiasmo da una recensione di Messineo, pubblicata dalla «Civiltà Cattolica»90, il saggio di Acerbo attira nuovamente gli strali del «Tevere».[…]
Il 7 novembre, Pavolini chiama, dunque, Preziosi, e lo invita «a smettere una volta per sempre ogni accenno polemico» nei riguardi di Acerbo. (p.71)

Il confronto fra Acerbo, da un lato, e, dall’altro, la triade Inter- landi-Preziosi-Farinacci, conosce, nel settembre-ottobre 1940, pesanti ripercussioni sull’assetto redazionale della «Difesa della razza». Alla fine di agosto, Carlo Barduzzi, giornalista del «Tevere» e della «Difesa della razza»95, viene licenziato improvvisamente, senza spiegazioni.[…]

Negli stessi mesi, oltre a mettere in dubbio la solidità della direzione di Interlandi, il «caso» Acerbo coinvolge anche Guido Landra. Accusato da Visco di essere stato il «promotore della polemica contro il libro di Acerbo»99, il 26 settembre 1940 Landra viene licenziato dalla sua carica di addetto dell’Ufficio Razza del ministero della Cultura Popolare. Nello stesso giorno, il giovane antropologo chiede soccorso a Preziosi, contestando l’addebito nei suoi confronti[…] (p.72)

Il salvataggio di Landra ad opera di Preziosi è forse l’aspetto più evidente della convergenza, maturata nell’estate 1940, fra il gruppo interlandiano e la corrente esoterico-tradizionalistica del razzismo fascista. Una sintonia che, tra l’agosto e l’ottobre 1940, non viene meno, risultando invece rafforzata dalla comune battaglia per l’inasprimento della legislazione antiebraica in vigore. Non è un caso, infatti, che la terza pagina del «Tevere» pubblichi e condivida esplicitamente due importanti prese di posizione espresse da Preziosi sulla «Vita Italiana», riguardanti, in primo luogo, la necessità di interrompere la politica delle «discriminazioni» e delle «arianizzazioni» degli ebrei105 e, in secondo luogo, l’istituzione di una «Carta della razza», ovvero di un «documento personale di arianità per ogni cittadino», con allegati la «dichiarazione dei principi fascisti della razza» e la «legislazione fascista della razza»106.
Occorre, tuttavia, attendere il 1942 per assistere a una nuova offensiva comune contro la corrente nazional-razzista paragonabile a quella scatenata nel luglio 1940. (p.74)

2 – LA COLLABORAZIONE DI JULIUS EVOLA p.76

Già collaboratore del «Tevere» tra il 1928 e il 1930112, Julius Evola pubblica sulla «Difesa della razza», tra il gennaio 1939 e l’aprile 1942, più di trenta articoli, alcuni dei quali particolarmente rilevanti, tanto sul piano teorico quanto su quello ideologico-politico. (p.76)

Evidente è la critica al razzismo esclusiva- mente biologico implicita in tale distinzione, ed Evola non esita, infatti, a esprimerla proprio dalle colonne della «Difesa della razza». (p.77)

Se il razzismo «totalitario» di Evola fin dall’inizio non risparmia, dunque, critiche nei confronti del razzismo «materialista», è però soltanto a partire dall’estate-autunno del 1941 che la posizione evoliana comincia a suscitare non poche apprensioni presso Yentourage interlandiano che dirige «La Difesa della razza». Supportate dalla nomina di Alberto Luchini a direttore dell’Ufficio Studi e Propaganda sulla Razza, nel maggio 1941, e alimentate dagli entusiasmi mussoliniani per Sìntesi di dottrina della razza1M), le teorie avanzate da Evola sembrano, infatti, trovare finalmente un’adeguata concretizzazione in due progetti specifici. Il primo, ideato nel luglio 1941, concerne l’elaborazione di un’indagine sulle componenti razziali del popolo italiano, sulla base della tripartizione corpo-anima-spirito. (p.79)

Per quanto riguarda la composizione della commissione chiamata a effettuare le rilevazioni e a disegnare il nuovo Atlante razziale dell’Italia, Luchini delinea inizialmente i nomi di Lidio Cipriani per le misurazioni antropometriche, di Ludwig Ferdinand Gauss”2 e di Alberto Manzi, direttore della Scuola di psicologia sperimentale dell’Università di Firenze, per le analisi di «psicologia della razza», oltre che dello stesso Evola per le ricerche sulle «razze dello spirito».
Quanto al secondo progetto, esso si sviluppa quasi in parallelo, a partire dai colloqui intercorsi fra Evola e Mussolini nell’estate 1941. Fra il 25 e il 29 agosto 1941, Sintesi di dottrina della razza viene, infatti, letto da Mussolini, il quale convoca Evola a Palazzo Venezia alcuni giorni più tardi, alla presenza di Pavolini, per esprimergli la propria approvazione134. Nel corso dei colloqui dell’autunno fra Evola e Mussolini, prende corpo un’iniziativa di consolidamento dei rapporti italo-tedeschi in materia di razzismo, che dovrebbe cristallizzarsi intorno al progetto di una nuova rivista bilingue, intitolata «Sangue e Spirito». Gli stessi uffici dell’Auswàr- tiges Amt seguono con attenzione gli sviluppi della vicenda, individuando in Preziosi ed Evola i principali fautori della politica di «revisione» dei presupposti teorici e pratici del razzismo fascista[…] (p.80)
Nei colloqui bilaterali svoltisi a Berlino nel febbraio 1942, Evo- la presenta il piano del nuovo periodico, ottenendo l’approvazione della commissione tedesca composta da Walther Gross (capo dell’Ufficio politico della razza della nsdap), Alfred Bàumler (filosofo, dell’ufficio di Rosenberg), Franz Rademacher (SS-Ober- sturmbannfiihrer, del ministero degli Esteri), Hans Huttig (Ufficio politico della razza) e Johannes Vollmer (ministero degli Interni, Ufficio informazioni). Dopo aver ricordato la piena adesione di Mussolini al progetto, Evola indica gli ambienti e i personaggi che partecipano all’iniziativa in Italia: fra questi Fernando Mez- zasoma e Carlo Ravasio, vice segretari del pnf e, fra le istituzioni, la Scuola di Mistica Fascista di Milano, possibile sede organizzativa degli incontri italo-tedeschi. Nell’ambito del progetto «Sangue e Spirito», Evola elabora, inoltre, uno schema comprendente «i punti principali della dottrina fascista della razza», da considerarsi come «le norme generali» per i collaboratori italiani della rivista. La stesura del testo è evoliana, ma ha ricevuto il «consenso» di un gruppo più esteso, che comprende, oltre ovviamente a Giovanni Preziosi, anche buona parte dei collaboratori della «Vita Italiana»: Aniceto del Massa, Massimo Scaligero, Guido De Giorgio, Carlo Costamagna, Luigi Fontanelli, Roberto Pavese, Stefano Maria Cutelli, Pasquale Pennisi, Riccardo Molinari, Gislero Flesch, Aldo Modica, Giovanni Savelli, Riccardo Carbonelli, Guido Cavallucci. Lo schema è stato sottoposto da Evola «personalmente» a Mussolini, il quale «ha dato il suo assenso»136. Esso non costituisce un nuovo «Manifesto», anche se questa era, secondo Evola, l’originaria interpretazione voluta da Alberto Luchini. Articolato in ventidue punti, il progetto evoliano sintetizza i concetti fondamentali del suo razzismo «totalitario»: la distinzione tra razza del corpo, dell’anima e dello spirito; l’individuazione di una gerarchia razziale che ha, al suo vertice, nel caso dell’Italia fasci
sta, l’elemento «ario-romano»; la nozione di ebraismo come «modo d’essere» e, di conseguenza, il richiamo all’«assoluta necessità del risanamento degli elementi interiormente ebraizzati»1”; la progettazione di una politica razziale, che, attraverso l’impiego di misure tanto biologiche quanto etico-spirituali, faccia emergere un’élite razziale, favorendo «la separazione di una nuova razza dell’uomo fascista all’interno del popolo italiano»138; l’obiettivo di una Nuova Europa i cui «centri di cristallizzazione» siano rappresentati dall’Italia, esponente dell’elemento «ario-romano», e dalla Germania, espressione, invece, di quello «nordico-ario»139.
Quando ormai il progetto «Sangue e Spirito» sembra andare in porto, dall’ambasciata tedesca a Roma giunge l’ordine di sospendere tutto. Il 15 maggio 1942, l’addetto Von Rademacher riferisce, infatti, al ministero degli Esteri tedesco di un recente incontro fra Mussolini, Evola, padre Tacchi Venturi e Telesio Interlandi, in cui avrebbero avuto la meglio gli ultimi due, curiosamente alleati nel tentativo di respingere il razzismo «totalitario» evoliano, interpretato come una grave minaccia nei confronti sia dell’egemonia in campo spirituale esercitata dalla Chiesa cattolica, sia del razzismo biologico sostenuto dalla corrente interlandiana140. Nel luglio 1942 anche l’iniziativa dell’«Atlante della razza italiana» si arena: Ludwig Ferdinand Clauss non può infatti raggiungere l’Italia, poiché sottoposto ad «un procedimento di natura politica avendo egli una assistente non ariana con la quale intrattiene rapporti di intimità»141.
All’interno di questo retroscena politico vanno probabilmente ricondotte la fine della collaborazione evoliana alla «Difesa della razza», nell’aprile 1942, e l’intensa polemica avviata dal quindici- naie interlandiano, in quegli stessi mesi, nei confronti del razzismo «spiritualista». (pp.81-82)

Tra razzismo «scientista» e «fumi spiritualistici».

A turbare le acque dell’ideologia razzista del fascismo giunge, fra il dicembre 1941 e l’aprile 1942, un intenso dibattito ospitato da «Roma Fascista», settimanale del guf della capitale. E proprio Julius Evola a rivolgersi alla «nuova generazione fascista e rivoluzionaria», affinché essa aiuti il «razzismo italiano» ad uscire «da quella “sacca”, nella quale esso, sotto più di un riguardo, sembra andato a finire»’42. Il razzismo – afferma Evola – non è una «disciplina teorica», ma «una visione generale della vita» e, in quanto tale, non può essere lasciato nelle mani degli scienziati, degli «intellettuali» e dei «borghesi». (pp.82-83)

Nello svolgimento del dibattito, la posizione esoterico-tradi- zionalistica di Evola appare condivisa soltanto da Massimo Scaligero[…]
Pur riconoscendo a Evola e al gruppo della «Vita Italiana» il merito di aver contribuito a far superare al razzismo fascista i limiti puramente biologici del Manifesto del 1938, «quanto mai contingente, e neppure brillante in più d’un suo paragrafo», Carbonelli lo accusa di avviare nuovamente il razzismo lungo una deriva filosofica, introducendo «i cavalli di Troia di teorie bell’e fatte, di sistemi filosofici e di errori estranei e contrari alle posizioni fondamentali del Fascismo»151. (p.84)

Il razzismo «spiritualista» va dunque combattuto come una qualsiasi altra forma di «antirazzismo. […]
Il fondo pubblicato da Interlandi sulla prima pagina del «Tevere» corrisponde all’editoriale della «Difesa della razza», che inaugura, il 5 maggio 1942, un numero interamente costruito a difesa delle impostazioni teoriche espresse dal razzismo biologico e dal Manifesto del 1938. (p.92)
In tale contesto, i più pesanti attacchi nei confronti del razzismo esoterico-tradizionalista sono contenuti negli articoli di Landra e di Almirante. (p.94)

Il numero del 5 maggio 1942 sancisce, ovviamente, la fine della collaborazione evoliana sulle pagine della «Difesa della razza». La risposta agli attacchi di Interlandi non si fa, tuttavia, attendere, e viene ospitata sempre dal Diorama mensile del «Regime Fascista». (p.94)

Tra il maggio e il giugno 1942, la polemica innescata da «Roma Fascista» si conclude, dunque, con il definitivo divorzio fra «La Difesa della razza» e gli orientamenti evoliani. Tuttavia nei mesi successivi, e in particolare nel luglio-agosto 1942, il quindicinale interlandiano prosegue nella sua battaglia anti-spiritualista, affidandosi soprattutto ai solitari interventi di Guido Landra. (p.96)

Nella denuncia delle reciproche «deviazioni» e nella proclamazione di una radicale alterità di posizioni, sembra dunque concludersi, alla fine del 1942, il confronto fra la corrente biologica e quella esoterico-tradizionalista del razzismo fascista.
Tuttavia, contrariamente a quanto si potrebbe presupporre, l’elemento spiritualistico non scompare del tutto dalle pagine della «Difesa della razza». Collaboratori come Massimo Scaligero e Aldo Modica, firme importanti del Diorama Filosofico evoliano, continuano, infatti, a pubblicare i loro articoli sul quindicinale di Interlandi. (p.103)

PARTE SECONDA – IDEOLOGIA p.113

3 – CONTRA JUDAEOS: ANTISEMITISMO E COSPIRAZIONISMO p.115

La felice intuizione dello storico tedesco è stata recentemente ripresa da Pierre-André Taguieff, il quale ha individuato, nell’antisemitismo moderno2, cinque tradizioni giudeofobiche corrispondenti ad altrettante configurazioni ideologiche: liberalismo, tradizionalismo, socialismo, razzismo, nazionalismo. (p.115)

Nella misura in cui adotta e sintetizza queste cinque tradizioni giudeofobiche di differente provenienza ideologica, «La Difesa della razza» esprime quello che si potrebbe definire un antisemitismo totale, ovvero un antisemitismo il cui elevato potenziale sincretico è sostenuto e alimentato dalla presenza di due invarianti costantemente identificabili: da un lato, la tesi, variamente declinata, dll’inassimilabilità radicale degli ebrei; dall’altro, la visione cospirazionista della storia, ovvero la teoria del complotto, locale o mondiale, applicata all’«ebreo internazionale» ed «eterno», stereo- tipizzato come nemico ubiquo, indistruttibile e proteiforme. (pp.115-116)

1 – DALL’INTIGIUDAISMO CATTOLICO ALL’ANTISEMITISMO POLITICO p.116

Fin dai primi numeri del 1938-39, l’antisemitismo della «Difesa della razza» attinge largamente all’arsenale rappresentato, nella tradizione culturale italiana, dall’antigiudaismo di matrice cattolica. Dietro la retorica della continuità fra antigiudaismo religioso e antisemitismo razzista vi è chiaramente un preciso obiettivo politico: dimostrare con un’insistita propaganda che le misure assunte dal governo contro gli ebrei non fanno altro che ripetere quanto già fatto dalla Chiesa nel passato, significa, infatti, costringere preventivamente gli ambienti cattolici, già profondamente divisi al loro interno, in una posizione di ulteriore difficoltà e di difesa9. Lo stesso discorso vale per la contemporanea, e per molti aspetti simile, campagna contro il «pietismo», la quale, lungi dall’attestare una diffusa presenza di posizioni di positivo dissenso e opposizione all’antisemitismo fascista, appare piuttosto come un’operazione tattica ad deterrendum, volta cioè a prevenirle e a scoraggiarle10. (p.116)

A illustrare il secondo aspetto della polarità identificata da Moro, ovvero l’assorbimento della logica razzista all’interno del discorso cattolico, un elemento chiave pare indubbiamente rappresentato dalla collaborazione del pubblicista Gino Sottochiesa alle riviste interlandiane. (p.117)

Portavoce sul «Tevere» e su «Quadrivio» di una linea di conciliabilità fra cattolicesimo e razzismo ai limiti dell’ortodossia, Sottochiesa diverrà ovviamente, a partire dall’agosto 1938, una delle firme più importanti della «Difesa della razza».[…]
Nell’ambito del gruppo di pubblicisti che ruota attorno a Telesio Interlandi, è Mario de’ Bagni il più impegnato nella denuncia delle scritture talmudiche. (p.120)

Ciò che colpisce, in questa ricezione dello stereotipo antitalmudico da parte del milieu interlandiano, è la significativa torsione dell’antigiudaismo religioso in chiave biologica e razziale: a differenza dèli’Antico Testamento, il non è soltanto un testo sacro, ma uri manuale razzista; e Ì suoi precetti non implicano soltanto un dovere religioso, ma plasmano un comportamento e un modo di essere, che si trasmette di generazione in generazione: «dispotismo, terrorismo, super-razzismo» sono – per usare la sintesi delineata da Gino Sottochiesa – il messaggio centrale del- l’«anticristianesimo giudaico»48. Di conseguenza, se l’ebreo blasfemo dell’Antico Testamento era ancora moralmente e socialmente recuperabile, a patto che riconoscesse la verità del Cristo,, l’ebreo «talmudico» è invece un soggetto irrecuperabile, ormai precipitato nel vortice della degenerazione e della perversione. In quest’ottica, non basta nemmeno l’ateismo a salvare l’ebreo dall’influenza nefasta del Talmud.(p.122)

Questa stessa torsione del pregiudizio antiebraico cattolico in funzione di un discorso antisemita essenzialmente politico e razziologico si riscontra anche in relazione alla cosiddetta «accusa del sangue»”, il secondo importante tema antigiudaico ripreso nelle pagine della «Difesa della razza». Come è noto, con questo termine si intende l’accusa rivolta contro gli ebrei di usare il sangue dei cristiani come ingrediente dei cibi e delle bevande prescritti per le feste pasquali. (p.123)

Nelle pagine della «Difesa della razza», il recupero dell’«accusa del sangue» va inserito nel più generale contesto della razzizzazione dei «riti» e delle «superstizioni» degli ebrei, che caratterizza in particolare gli articoli del noto incisore Luigi Servolini e del giornalista e autore di commedie in dialetto bolognese, Bruno Biancini: la specificità culturale della circoncisione55, del matrimonio56, della macellazione rituale57, della cucina58 viene qui costantemente tradotta in termini di irriducibile alterità e inassimilabilità razziale.
[…]

Come nel caso del Talmud, anche in questi articoli emerge, tuttavia, in misura significativa, la ripresa di un tema antigiudaico di matrice religiosa a sostegno, però, di un antisemitismo a caràttere politico e razziale: l’ebreo, in sostanza, sacrifica i bambini cristiani non solo per i suoi riti religiosi, ma soprattutto in quanto crudele e criminale per natura, nonché fedéle esecutore dei precetti assassini del Talmud. (p.124)
Oltre a subire una torsione concettuale nel senso di una progressiva biologizzazione e razzizzazione, i temi antigiudaici propri della tradizione religiosa assumono, nelle pagine della «Difesa della razza», una dimensione immediatamente politica, alimentando, in misura non casuale, due campagne di stampa, che la redazione della rivista orchestra abilmente attraverso la mobilitazione della rubrica dei lettori.
La prima, tra il novembre 1938 e il marzo 1939, affronta direttamente il problema dei rapporti tra «razza e cattolicesimo». (pp.124-125)
L’insistenza della «Difesa della razza» sul tema «razza e cattolicesimo » produce l’irritata reazione della Segreteria di Stato del Vaticano, là quale denuncia presso la Regia Ambasciata d’Italia le «gravi offese alla Religione cattolica» contenute nella rivista[…] (p.126)
Chiusa nel marzo 1939, forse proprio in seguito alle proteste della Santa Sede, la campagna conosce tuttavia un seguito nell’estate-autunno 1939, allorché la rubrica Questionario avanza una proposta di aggravamento della legislazione antiebraica in vigore, che sembra suggerita direttamente dalla tradizione antigiudaica di matrice religiosa: l’introduzione di un «segno» distintivo per gli ebrei, la stella gialla a sei punte. (p.127)

Il processo di razzizzazione e di politicizzazione che interessa, nelle pagine della <<Difesa della Razza>>, l’adozione di alcuni stereotipi classici dell’antigiudaismo cattolico, convive, nell’immaginario antisemita della lobby interlandiana, con il mantenimento di precise linee di confine tra antisemitismo religioso e antisemitismo laico e biologizzante. Conversione e matrimoni misti costituiscono, in particolare, il principale terreno di scontro fra cattolicesimo e razzismo. […]
Simulate, provvisorie e, in definitiva, sacrileghe, le conversioni corrispondono, oltretutto, alla strategia adottata dalla <<razza ebraica>> per nascondersi, in caso di persecuzioni antisemite, sotto l'<<ombra protettrice della Chiesa>>. (p.128)

2 – Gli <<eterni nemici di Roma>> p.130

Il razzismo – scrive Giorgio Almirante nel settembre 1938 – implica il recupero del passato e il ritrovamento della «tradizione che pulsa col sangue nelle nostre vene»*4. La riscrittura della storia nazionale e l’espulsione simbolica degli ebrei da questa vicenda rappresenta, dunque, il primo atto del cospirazionismo antisemita della «Difesa della razza».
E la contrapposizione fra «Roma antica» e i «giudei» a individuare, nelle pagine del quindicinale interlandiano, il primo sintomo dell’inconciliabilità razziale; fra «ebraismo» e «italianità». (p.130)

La costruzione dell’ebreo come «eterno nemico» dell’Italia si traduce, dunque, sia nella giustificazione teorica della legislazione antisemita fascista sia nell’identificazione di una concreta misura operativa contro gli ebrei: da un lato, essa consente, infatti, la rivendicazione dell’assoluta autonomia del razzismo fascista […] (pp.132-133)
dall’altro lato, una volta descritta la storia d’Italia come un paesaggio segnato dalle «vessazioni», dalle «angherie» e dai «soprusi» degli ebrei contro le innocenti «masse popolari», il «massacro» e l’«espulsione» vengono individuati come le misure che, nel corso dei secoli, hanno costituito Tunica possibile «soluzione del problema ebraico»107.
Dopo aver cercato i suoi antecedenti storici nella giudeofobia romana e nell’antigiudaismo cattolico, l’offensiva antisemita della «Difesa della razza» si concentra, dunque, con particolare accanimento, sul problema del ruolo degli ebrei nel processo di unificazione nazionale italiano. (p.133)

Il culmine di questa campagna viene, tuttavia, raggiunto con il numero del 5 luglio 1939, all’interno del quale la sezione Polemica è interamente dedicata all’analisi dell’«ombra giudaica sulla vita italiana»: in particolare, nel campo della letteratura, dell’arte, della scienza, del giornalismo, del cinema, della banca, del diritto e della finanza.[…]
La prima Guerra mondiale segna ovviamente il momento più drammatico del complotto del «giudaismo internazionale» ai danni, della nazione italiana. Maestri del «più feroce e integrale disfattismo»144, gli ebrei da un lato provocano il conflitto per perseguire i propri interessi, ma dall’altro si sottraggono al bagno di sangue. (p.139)

È questa assimilazione fra «ebraismo» e «disfattismo» che trova compimento nella totale assimilazione di ebraismo e antifascismo147, l’ultimo atto dell’espulsione simbolica degli ebrei dal corpo nazionale, teorizzata dalla « Difesa della razza».

3 – LA VISIONE COSPIRAZIONISTA DELLA STORIA E IL PROGETTO MADAGASCAR p.141

Il cospirazionismo antisemita della lobby interlandiana non ha bisogno dei Protocolli dei Savi Anziani di Sion per attivarsi. Certo i riferimenti al celebre falso non mancano155, ma essi non risultano prioritari nella costruzione dell’immaginario del «complotto ebraico mondiale». Quella sostenuta dai giornalisti che fanno capo a lnterlandi è piuttosto L’idea di una « cospirazióne senza piano »: in altre parole, il complotto non appare tanto il risultato di una macchi- nazione occulta orchestrata a tavolino, quanto l’espressione di un dato costitutivo e ontologico della natura dell’ebreo. (p.141)

L’essenzialismo dell’antisemitismo cospirazionista del gruppo interlandiano non implica ovviamente la completa assenza di rimandi all’azione di una presunta organizzazione segreta ebraica, ma essi rimangono per lo più generici, sintetizzandosi di solito nella categoria di «internazionale ebraica». […]
Tale approccio, che unisce l’interpretazione essenzialista dell’ebreo complottista all’individuazione di una non meglio precisata struttura occulta, sembra trovare conferma nell5interpretazione cospirazionista della modernità, come luogo storico del potere ebraico. (p.142)

L’antifascismo è, infine, il trampolino di lancio utilizzato dal «giudeo-bolscevismo» per estendersi negli Stati Uniti e in Europa. (p.146)

Nell’antisemitismo cospirazionista della «Difesa della razza », anche ciò che potrebbe contraddire, in teoria, la logica del complotto, viene indotto ben presto a rientrare nel medesimo meccanismo interpretativo. Come,1 ad esempio, conciliare le manovre «internazionaliste », insite nel wilsonismo, nel bolscevismo, nell’antifascismo, con io sviluppo novecentesco del sionismo ? Nell’epistemologia cospirazionista, la risposta è semplice e automatica: ai complotti «demo-pluto-giudaico» e «giudeo-bolscevico», si aggiunge il complotto sionista. Per i pubblicisti antisemiti della «Difesa della razza» il sionismo è, infatti, un’impossibilità, in quanto contraddice i fondamentali impulsi razziali dell’Ebreo errante. (p.147)

Privato della sua autenticità ideologica e politica, il sionismo è decrittato, nell’immaginario antisemita della «Difesa della razza», sulla base di due logiche discorsive complementari. Da un lato, esso viene presentato come il portato politico di un conflitto di classe interno al mondo giudaico, attraverso cui gli «ebrei ricchi» tentano di allontanare dall’Europa quegli «ebrei poveri» i quali, a causa della loro scarsa integrazione, sono i primi ad alimentare la reazione antisemita. […]
Dall’altro lato, il sionismo appare come l’ennesima «maschera»,, dietro la quale si cela ancora una volta l’ipernazionalismo ebraico, al tempo stesso razzista e internazionalista, in quanto teso a realizzare il progetto di dominio planetario da parte degli ebrei. (p.148)

4 – CRIMINALITÀ E PROSTITUZIONE p.149

Nel dispositivo ideologico del cospirazionismo antisemita, Fazione disgregatrice compiuta dall’ebreo in campo politico ed economico affonda le sue radici in un più profondo processo di corrosione dell’intero sistema sociale, operato attraverso la diffusione del crimine e il rovesciamento dell’equilibrio naturale nei rapporti fra i sessi. Per quanto riguarda il primo aspetto, si è visto in precedenza come «La Difesa della razza» recuperi l’accusa di omicidio rituale, traducendola in dato ontologico e razziale, espressione della dedizione dell’ebreo alla delinquenza e alla rottura dell’ordine sociale. (pp.149-150)

Teorizzato in questi termini da Montandon, il nesso ebraismo- prostituzione ritorna con frequenza negli articoli dei quindicinale interlandiano. (p.151)

Sulla scia dei pamphlet di Ford e di Céline, è il cinema, oltre alla pubblicistica pornografica, a essere denunciato come il mezzo di comunicazione cui l’ebreo ricorre per diffondere degenerazione e immoralità in materia di relazioni fra i due sessi. (pp.152-153)

Evidentemente, nel dispositivo ideologico cospirazionista, tanto la prostituzione quanto la criminalità ebraiche sono articolazioni del medesimo piano di conquista mondiale elaborato dalla razza. In questa prospettiva, la mitridatizzazione dell’Ebreo è la chiave interpretativa fondamentale. Soggetto vizioso e corrosivo, l’ebreo è, infatti, mitridatizzato rispetto al vizio e al crimine che gestisce: provoca disgregazione sociale, ma non disgrega la propria ebraicità, che invece si esalta proprio nell’opera di disgregazione. Attraverso la promiscuità sessuale, ad esempio, l’ebreo non si deebraizza, ma ebraizza la società circostante. (pp.153-154)
L’onnipotenza dell’ebreo mitridatizzato e la pervasività della cospirazione ebraica contribuiscono forse a spiegare, dal punto di vista ideologico, il progressivo spostamento del discorso antisemita della «Difesa della razza» da una logica di segregazione verso una prospettiva politica palingenetica e protogenocida: non si tratta più di difendere un sistema sociale – quello moderno e «borghese» – ormai in larga parte ebraizzato, quanto piuttosto di attivare una strategia «rivoluzionaria» che ponga definitivamente fine al processo di ebraizzazione. (p.154)

5 – DALL’EBREO VISIBILE ALL’EBREO INVISIBILE p.155

L’antisemitismo cospirazionista privilegia senza dubbio una caratterizzazione psicologico-comportamentale dell’ebreo, che insiste particolarmente sulla categoria dell’«ebraicità». Ciò non significa, tuttavia, che «La Difesa della razza» rinunci tout court a tratteggiare un «tipo ebraico» anche dal punto di vista strettamente somatico.
Nel terzo numero della «Difesa della razza», uscito il 5 settembre 1938, Giuseppe Genna, direttore dell’Istituto di antropologia dell’Università di Roma, fornisce una prima descrizione degli ebrei «come razza». […]
Sul tema dei «caratteri del tipo ebraico », i contributi più. rilevanti apparsi sulle pagine del quindicinale interlandiano si devono, tuttavia, alla penna dell’etnologo francese Georges Montandon. (p.155)

Oltre che dai caratteri somatici, l’ebreo è reso visibile anche dalle malattie specifiche di cui è portatore.

Particolarmente frequenti fra gli ebrei sarebbero i casi di schizofrenia, «pazzia periodica», nevrastenia e psicastenia. Ma nell’elenco delle patologie riferite da Montandon, bisogna includere anche la lebbra, il diabete, la malattia di Tay-Sachs, l’artritismo, l’arteriosclerosi, la « cancrena spontanea», il glaucoma, l’astigmatismo, la « morfinomania» e la «cocainomania». (p.156)

Se, dunque, il processo di differenziazione-visualizzazione dell’ebreo si esprime, nella pagine della «Difesa della razza», attraverso i meccanismi della patologizzazione e della tipologizzazione morfologica, è ì’ebreo «invisibile», più di quello «visibile», a suscitare, in realtà, la maggior preoccupazione degli antisemiti raccolti attorno a Interlandi. Il direttore del «Tèvere» e della «Difesa della razza» si è espresso con chiarezza a questo proposito fin dal settembre 1938, denunciando! testi scolastici di «autori ariani ma di mentalità totalmente ebraizzata»: «Più pernicioso dell’ebreo, è l’ebraismo; più dell’ebraismo, l’ebraizzazione»255. ‘
Il problema dell’« invisibilità» degli ebrei alimenta l’ansia di sovrannumerazione che caratterizza il sostegno interlandiano al censimento degli ebrei dell’agosto 1938. (p.157)

Evidentemente non appagata dai dati numerici del censimento, la denuncia dell’ebreo «invisibile» supporta e alimenta la campagna promossa da Interlandi e dal suo entourage contro il «pietismo» nei confronti degli ebrei, al fine di un’ulteriore, radicalizzazione della legislazione antisemita italiana. (p.159)

A partire da questa prospettiva, ogni misura «pietista» deve essere respinta in quanto indebolisce la politica antisemita del regime, consentendo agli ebrei di mascherarsi e di nascondersi.
Alla fine dell’agosto 1938, Interlandi, in un durissimo edito-riale sul «Tevere», dichiara che soltanto un rigido criterio razziale dovrà essere considerato per definire l’ebreo. Nessun «fatto personale» consentirà di ridefinire la classificazione biologica. Anzi, l’«amico dell’ebreo» sarà considerato un «ebreo onorario» […] (p.160)

La definizione delle linee generali della persecuzione antisemita fascista, sancita dal Regio decreto legge del 17 novembre 1938, sembra tuttavia deludere gli ambienti dell’intransigentismo interlandiano. […]
Reazioni non meno discordanti accolgono l’introduzione del provvedimento della <<discriminazione>>. (p.161)

Agli ebrei che indossano la maschera dell’invisibilità si affiancano ovviamente gli ariani complici e, in quanto tali, <<ebreizzati>>. […]
Insieme alle <<discriminazioni>>, le <<arianizzazioni>> sono un bersaglio ricorrente. (p.160)

Anche il provvedimento che consente ai. cittadini ariani di mutare il proprio cognome «ebraico» al fine di evitare equivoci viene duramente criticato dalla << Difesa della razza»: Cognomi «cristiani» ed «arianissimi» sarebbero stati usurpati infatti, da ebrei in cerca di una nuova «maschera » per rendersi invisibili[…] (p.163)

La «guerra giudaica» e la giustificazione dello sterminio.

Lo scoppio della seconda Guerra mondiale conduce alle estreme conseguenze teoriche l’antisemitismo cospirazionista della «Difesa della razza». La generica interpretazione razzizzante del conflitto in corso302 culmina, infatti, sul piano dell’immaginario antisemita, in una «narrativa di guerra»303 alimentata dalla tesi del «complotto ebraico». Da un lato, la responsabilità dello scoppio del secondo conflitto mondiale, attraverso un paradossale rovesciamento delle nozioni di causa ed effetto, viene attribuita alla volontà di dominio dell’ebraismo internazionale, preannunciata dai Protocolli dei Savi Anziani di Sion, dall’altro, la distruzione dell’ebraismo viene presentata come la conseguenza «necessaria» di un conflitto epocale tra Noi e Loro. La seconda Guerra mondiale e la «soluzione del problema ebraico» non sono raffigurati, dunque, come due fenomeni distinti, ma s’identificano in un’unica apocalittica battaglia, in cui la distruzione dell’ebraismo appare come la conseguenza normale di una logica di guerra. Il conflitto in corso consente, in sostanza, di politicizzare l’immaginario antisemita della guerra giudaica[…] (p.167)

La denuncia della « guerra giudaica» in Corso, nella quale « gli ebrei hanno una buona parte dietro la schiena dei combattenti», innesca, nell’immaginario antisemita della rivista interlandiana, un processo di progressiva ebreizzazione del nemico politico e militare. Se l’identificazione tra comunisti sovietici ed ebrei è cosi strutturale e automatica nella logica cospirazionista da non richiedere particolari approfondimenti, contro la Gran Bretagna e gli Stati Uniti si concentrano invece, gli strali del gruppo di Interlandi. (p.170)

Dall’ebreizzazione del nemico politico e dalla denuncia cospirazionista della guerra in corso come «guerra giudaica» scaturisce il modello di «soluzione del problema ebraico» proposto dalla «Difesa della razza». Più le dinamiche del conflitto allontanano la prospettiva di un’eventuale vittoria dell’Asse, più la denuncia del nemico interno diviene ossessiva e pressante nel discorso del gruppo interlandiano: chiunque dia prova di atteggiamenti «filo-giudaici» deve essere considerato un traditore, e va punito come tale. (p.173)

Se, dunque, da un lato, l’ebreo deve essere privato formalmente dì qualsiasi riferimento alla cittadinanza italiana ed essere dichiarata soltanto «abitante» in Italia, dall’altro lato la guerra contro il nemico interno deve essere spietata.
Non a caso l’accusa di «disfattismo» diviene ~ nelle pagine del «Tevere» e della «Difesa della razza» – l’arma principale puntata contro l’intera società italiana, vittima di una progressiva ebreizzazione. (pp.174-175)
Nel luglio 1943, alla vigilia del crollo del regime, le invettive cospirazioniste di Interlandi raggiungono paradossalmente l’apice e si concentrano, in particolare, sull’infiltrazione ebraica» nella gestione italiana della guerra. (p.176)

La costruzione dell’ebreo non solo come pericolo razziale, ma come nemico politico-ideologico razzialmente definito è la premessa teorica di una logica di razzizzazione nella quale violenza, pogrom, annientamento appaiono misure necessarie in uri escalation giustificata dalla situazione bellica in corso. (p.178)

La profezia cospirazionista della storia come disperazione, come pianto dell’ariano, si autoadempie alcuni mesi dopo, nel luglio 1942 quando l’occupazione anglo-americana in Sicilia porta con sé l’abrogazione delle leggi razziali. (p.181)

Nella disperazione antisemita del direttore del «Tevere» precipita l’immaginario cospirazionista elaborato negli anni precedenti, ma sembra annunciarsi anche il drammatico futuro della Repubblica di Salò: in particolare, quel punto sette della Carta di Verona («gli appartenenti alla razza ebraica sono stranieri. Durante questa guerra appartengono a nazionalità nemica»), che spianerà la strada alle deportazioni e agli eccidi. (p.182)

4 – NATURE O NORTURE? <<LA DIFESA DELLA RAZZA>> E L’EUGENICA p.196

Di fronte alla domanda capitale dell’eugenica – sintetizzata, fin dai tempi di Francis Galton, nel binomio nature o nurture (natura 0 cultura, eredità o ambiente) – il quindicinale interlandiano non esprime un’effettiva «linea ufficiale», mantenendo di fatto una posizione oscillante fra ereditammo e ambientalismo. (p.197)

1 – LA RAZZA È EREDITARIETÀ p.196

Demonizzare Lamarck e smantellare, sul piano teorico, il lamarckismo – paradigma dominante nella medicina politica, nell’igiene sociale e in larghi settori dell’eugenica italiana di quel periodo – appare, fin dai primi numeri del 1938, l’obiettivo prioritario degli eugenisti eréditaristi della «Difesa della razza».
A guidare l’offensiva anti-Lamarck è, primo fra tutti, Guido Landra. Razza – dichiara l’antropologo, nel dicembre 1938 – vuol dire essenzialmente ereditarietà. L’ambiente non esercita alcuna influenza sui tipi etnici, descritti sostanzialmente come immutabili e immortali[…] (pp.197-198)

Nell’ambito di questa antica aspirazione dell’eugenica italiana alla schedatura totale della popolazione42, si innestano le parole d’ordine più radicali e tranchant della «Difesa della razza»: proibizione dell’«incrocio razziale» ed «eliminazione dei tarati». Per quanto riguarda il primo aspetto, indubbiamente la mixofobia e la denuncia del meticciato è un tema ricorrente nelle pagine del quindicinale. (p.202)

Intorno al problema eugenetico del meticciato si delinea, pertanto, la netta contrapposizione tra l’egualitarismo democratico e il fascismo razzista: all’«umanità di bastardi» favorita dal primo, il secondo contrappone* invece, un « programma di difesa e di potenziamento». […]
Anche per quanto riguarda il problema dell’«eliminazione dei tarati» attraverso misure quali il certificato prematrimoniale obbligatorio e la sterilizzazione, il modello di riferimento è chiaramente l’eugenica « negativa» di matrice tedesca e statunitense. (p.204)

2 – LA RAZZA È PLASTICITÀ p.212

Se il paradigma ereditarista costituisce indubbiamente l’asse portante del discorso eugenetico della «Difesa della razza», i riferimenti all’influenza dell’ambiente sull’ereditarietà umana certo non mancano.
L’immagine di un’eugenica intesa come prolungamento e completamento, in sede razziale, della politica sociale, igienica e demografica del regime fascista è, infatti, al centro dei contributi dei medici che collaborano al quindicinale, in particolare Lino Businco e Renato Semizzi, oltre che del giurista Ferdinando Loffredo. (p.212)

In sintesi: antisemitismo, antimeticciato e affermazione della superiorità della razza italiana. L’eugenica ambientalista e antropogeografica, pur nel suo antagonismo con la corrente ereditarista, giungeva così ad alimentare, per vie differenti, il medesimo discorso razzizzante. (p.219)

CAPITOLO QUINTO – IL RAZZISMO ANTINERO: L’EGEMONIA DI LIDIO CIPRIANI p.226

A differenza dell’antisemitismo e dell’eugenica, il razzismo antinero, sulle pagine della «Difesa della razza», s’identifica, in larga parte, con l’attività pubblicistica di un solo collaboratore: l’antropologo Lìdio Cipriani.
Tuttavia, le responsabilità politiche di Lidio Cipriani, la sua posizione all’interno della redazione e la quantità e continuità dei suoi contributi possono indubbiamente giustificare la definizione del ruolo dell’antropologo in materia di razzismo antinero come sostanzialmente egemonico. Ad accrescere la significatività della collaborazione di Cipriani alla «Difesa della razza» si aggiunge poi il suo collocarsi come punto di arrivo di un percorso teorico e ideologico, intrapreso dall’etnologo fin dagli anni Venti e finalizzato a legittimare, su base scientifica, la politica coloniale del regime fascista. (p.226)

1 – CONTRO L’IPOTESI CAMITICA p.226

È a partire dagli inizi del xix secolo che la cosiddetta «ipotesi camitica» assume alcuni dei connotati principali con cui sopravviverà fino agli anni Sessanta del Novecento. (p.226)
Stabiliti come tratti qualificanti della stirpe camitica il colorito più chiaro, tratti europeizzanti e più «fini» e un più alto grado di civiltà, restava comunque aperta un’altra questione da dove provenivano i Camiti? Dall’Africa o da qualche altro continente?
In un contesto nazionale come quello italiano, caratterizzato a partire dagli ultimi decenni del xix secolo da un’esperienza coloniale nel Corno d’Africa, l’interesse del mondo scientifico per il problema dell’origine dei Camiti, per la storia degli Egizi e per una corretta classificazione dei due gruppi nei blocchi razziali conosce ben presto risvolti politici di primaria importanza. (p.227)

Sarà proprio Lidio Cipriani a sciogliere questo dissidio e a legittimare, sul piano teorico, la sintesi fra razzismo fascista, classificazione antropologica e politica coloniale. (p.229)

La «decadenza irrimediabile del tipo originariamente meglio dotato» sarebbe stata conseguenza dei ripetuti incroci con i «popoli negri» dell’Africa sub-equatoriale. (p.230)

Dominati dagli «impulsi naturali» e dalla ricerca dell’ozio e dei piaceri individuali, i «negri» sono privi di qualsiasi capacità logico-critica e non concepiscono l’idea del lavoro: piuttosto che costruire una strada 0 scavare un pozzo; il «negro» – afferma Cipriani – preferisce << abbandonarsi ogni giorno, senza preoccupazioni di sorta, ai suoi piaceri prediletti, quali il cicaleggiare per ore e ore su argomenti insulsi ripetuti all’infinito, il saltare, il far rumore e talora il litigare o il sollazzarsi cori le sue donne. Tutto il resto, per qualsiasi di loro, vale assai meno». (p.231)
Iniziata nel 1931-32, con l’enunciazione dell’inferiorità biologica dei «negri» e la partecipazione al Terzo Congresso internazionale di Eugenica di New York20, la parabola del razzismo antinero di Lidio Cipriani si compie nel periodo compreso tra il T935, data di pubblicazione dell’articolo II passato e l’avvenire degli etiopici secondo l’antropologia, e il 1938, anno segnato dall’attivo Coinvolgimento di Cipriani nella stesura del Manifesto di luglio, oltre che dall’impegno nell’organizzazione dell’Ufficio Razza e dall’ingresso nella redazione della «Difesa della razza». (p.231)

Nel 1938, il processo di progressiva demolizione dell’ipotesi f camitica prosegue, questa volta sulle pagine della « Difesa della razza». In un articolo pubblicato nel fascicolo del 5 ottobre, Cipriani ripropone, infatti; il tema della natura «africana» degli Etiopici. (p.232)

2 – DALLO SFRUTTAMENTO DEI METICCI ALLA <<GUERRA DEGLI ETIOPICI>> p.233

Sul principio dell’inferiorità biologica innata dei << negri » si fondai infatti, nell’ottica dell’antropologo, il diritto, dei‘«bianchi» allo sfruttamento coloniale • dell ’ Africa. La via del «progresso» e dell’autogoverno appare del tutto impercorribile per i «negri», la cui incapacità psichica è sancita una volta per sempre dalla biologia.[…]
L’Africa viene descritta, in sostanza, dall’antropologo come «un immenso deposito di risorse naturali» il cui sfruttamento spetta esclusivamente alla superiore «razza bianca», poiché quella «negra» risulta strutturalmente ed eternamente «incapace di mettere in efficienza i tesori eccezionali della sua terra d’origine».
Al di là di questa generica legittimazione, su base biologica, del colonialismo occidentale, Cipriani propone, in concreto, l’utilizzazione sistematica dei meticci ai fini di un maggiore sfruttamento delle risorse economiche africane. (p.234)

L’adeguamento delle tesi di Cipriani alle nuove direttive del regime fascista non potrebbe essere più immediato. È infatti tra il 1936 e il 1938 che l’impianto segregazionista e anti-assimilazionista del razzismo coloniale dell’ antropologo raggiunge la sua piena maturità; Tale fase è ovviamente inscindibile dagli incarichi politici assunti a partire dall’estate 1938. (p.237)

Accanto alla denuncia del meticciato – oltre che, più in generale, degli incroci con «razze inferiori» – è sullo sfruttamento .dello «spiritò bellico.» degli Etiopici che insistono gli interventi di Cipriani in materia di politica coloniale, a partire dagli articoli pubblicati nel vi93 .8-3 9 sulle pagine della « Difesa della razza». Il progetto dell’antropologo è tanto semplice quanto visionario: oc- corte favorire la prolificità degli Etiopici per farne un’armata di: guerrieri al comando dell’élite italiana in vista della guerra per il dominio del continente africano. (p.239)

PARTE TERZA – ESTETICA p.247

CAPITOLO SESTO – ARTE E RAZZA: PITTURA, MUSICA E ARCHITETTURA p.249

L’avversione antimodernista non caratterizza, dunque, fin dagli inizi l’orientamento del milieu giornalistico interlandiano. Per individuare e comprendere le origini della campagna antisemita di Interlandi contro l’arte moderna, che raggiungerà il sub culmine nel 1938-39, bisogna piuttosto risalire a un arco cronologico piuttosto delimitato, compréso fra gli ultimi mesi del 1933 e gli inizi del 1934.
Una svolta che indubbiamente risente delle scelte mussoliniane e del mutamento in senso autarchico e tradizionalista della produzione estetica dei regime, ma che nondimeno appare coerente con almeno due leitmotive della nozione interlandiana di fascismo. (p.250)

Alla luce di questi due aspetti – la visione totalitaria del rapporto arte-apolitica «antieuropeismo» – la campagna di Interlandi contro l’«ebraizzazione» dell’arte moderna appare meno improvvisa è meno eterodiretta: Una volta identificato l’ebreo con l’intellettuale chiuso nella torre d’avorio e con l’« internazionalista» ed « europeista » per eccellenza polemica si approfondisce nel dicembre 1935, in un articolo intitolato significativamente Disintossicare l’arte italiana. Dopo la Quadriennale, il «collasso di alcune cosiddette tendenze quali <<Novecento, l’Astrattismo, il Surrealismo, il Realismo magico» finisce per coincidere, secondo Pensabene, con la nuova stagione politica segnata dalla campagna d’Etiopia e dall’autarchia. con la battaglia per la costruzione dell’«uomo nuovo». (pp.251-252)

1 – GIUSEPPE PENSABENE E IL <<MAL DI PARIGI>> p.252

Fin dal 1928 Corrado Pavolini, sulla terza pagina del «Tevere», aveva tuonato contro la «Scuola di Parigi» e, in particolare, contro «l’internazionalismo giudaico-parigino dei De Chirico». Ma è la sostituzione (nel 1932) di Pavolini, pur sensibile all’arte di Amedeo Modigliani, giudicata «bellissima» e « originalissima », con l’architetto trentaquattrenne di Palermo, Giuseppe Pensabene, a porre le premesse della campagna antimodernista. (P.252)

La polemica si approfondisce nel dicembre 1935, in un artico1ointitolato significativamente Disintossicare latte italiana. Dopo la Quadriennale, il «collasso di alcune cosiddette tendenze quali <<Novecento, l’Astrattismo, il Surrealismo, il Realismo magico» finisce per coincidere, secondo Pensabene, con la nuova stagione politica segnata dalla campagna d’Etiopia e dall’autarchia. […]
Pochi mesi dopo, nel febbraio 1936, l’equivalenza fra «internazionalismo» (o «europeismo») dell’arte ed «ebraizzazione» diviene esplicita e definitiva: «il razionalismo, il surrealismo, l’astrattismo, la cosiddetta metafisica, il realismo magico – dichiara Pensabene – sono creazioni ebraiche». (p.256)

Tra il luglio e il novembre 1938, la campagna di «Quadrivio» e del «Tevere» contro l’arte moderna conosce un’escalation dilagante.[…]
Al di là dei singoli artisti «ebrei», è ora l’intera arte moderna ad essere denunciata in quanto arte «ebraizzata». (p.265)

2 – RUMORI ANTISEMITI p.269

Nulla fa ancora presagire che, di lì a qualche anno, Interlandi intenda avviare un’offensiva contro la «musica internazionale ebraica».
E nel 1937, infatti, che la campagna131 ha inizio, sulle colonne del «Tevere»[…] (P.269)

3 – INTERLANDI CONTRO MARINETTI p.275

Sono gli ultimi giorni dell’ottobre 1938. Nel corso del programma radiofonico di Roma II, Filippo Tommaso. Marinetti legge una lapidaria dichiarazione in difesa dell’arte moderna, in cui si definiscono «disfattisti» gli assalti del gruppo interlandiano[…]
La risposta di «Quadrivio» non si fa attendere. Dopò aver confermato la «simpatia» nei confronti di Marinetti, il «taccuino» del settimanale interlandiano distingue tra futurismo e «arte moderna internazionalistica, ebraizzante, degenerata»[…] (p.275)

4 – L’ARTE COME MIMESI DELLA RAZZA p.292

Proprio «La Difesa della razza» è il luogo in cui, dopo le pole-|| miche condotte dal «Tevere» e da «Quadrivio», si sviluppa coni maggiore continuità il tema della contrapposizione fra arte «ital| liana» e arte «ebraica». (p.296)

Se tutta la classicità è, dunque, patrimonio razziale della com|’| ponente mediterranea degli Arii, dai Semiti non proviene, per con? tro, alcun apporto originale nel campo dell’architettura, della scultura o della pittura.(p.298)

La parabola del rispecchiamento razziologico nell’opera artistica è cosi compiuta: nel momento stesso in cui fissa la bellezza della «razza italiana», L’arte dei «grandi maestri» raffigura e denuncia l’alterità e la pericolosità dell’« elemento giudaico ». (p.302)

7 – LA RUBRICA DEI LETTORI E LO ZIBALDONE RAZZISTA p.315

La rubrica dei lettori della «Difesa della razza» non va interpreti tata, infatti- come un’arena spontanea e «democratica» di un fasciai smo giovanile critico, quanto piuttosto – e la lettera citata da Santarelli lo conferma – come uno spazio di idee, intriso di razzismo e ‘ antisemitismo, politicamente controllato da Interlandi e culturali mente gestito, fino al dicembre 1940, da un giornalista e scrittore} abruzzese, imbevuto di Vico, Croce e Leopardi: Massimo Lelj. (P.316)

1 – DALL’ANARCHIA AL FASCISMO: MASSIMO LELJ p.316

2 – IL QUESTIONARIO DELLA <<DIFESA DELLA RAZZA>> p.324

Assunto nella redazione del quindicinale fin dall’agosto 1938, Lelj è in particolare il curatore della rubrica dei lettori, il cosiddetto Questionano.(p.324)

8 – l’arte dell’odio p.341

1 – LE COPERTINE MANIFESTO p.342

I primi tre numeri della «Difesa della razza» presentano la me desima copertina, divenuta ormai tristemente celebre. Opera Idalgo Palazzetti, del guf di Perugia, il. fotomontaggio intende riassumere simbolicamente la fisionomia dell Ideologia razzista del fascismo, Lungo un’unica diagonale compaiono i profili di tre teste: quella del Doriforo di Policletò, una caricatura «ebraica» in terracotta, il capo di una donna africana di etnia Schilluk, fotografata da Lidio Cipriani- Con. una semplice contrapposizione, il montaggio vuole segnalare l’evidenza del contrasto fra i soggetti rappresentati, la cui intrinseca differenza di valore è confermata dalla diversa qualità del supporto (marmo, terracotta, carta fotografica) e dal differente linguaggio artistico adottato (scultura,, caricatura, fotografia). Al primo livellò interpretativo si somma pòi, inèqui- voco, il valore aggiunto della spada che attraversa il disegno lungo la diagonale opposta: arma che suggerisce implicitamente il rischio della contaminazione razziale e nello stesso tempo afferma l’implacabilità del razzismo fascista, separando sul pianò visivo la testa ariana da quelle non ariane.
Se la struttura dell’immagine sintetizza l’ideologia e là politica del razzismo italiano, l’analisi delle fonti rivela tuttavia un’evidente influenza dell’estetica nazionalsocialista. (pp.342-343)
Autore di sette copertine e di quattro illustrazioni interne, Be- pi Fabiano resterà comunque un’eccezione. Se si esclude una ri- produzione di Arturo Martini15, le copertine della «Difesa della razza» non riescono, infatti, in alcun modo a calamitare l’attenzione dell’arte contemporanea, come era negli intenti del concorso a premi interlandiano. Quanto poi alle altre «condizioni» fissate nell’annuncio del settembre 1938 ~ l’«efficace rappresentazione» delle idee razziste e la facile accessibilità per la gran massa dei lettori – soltanto la prima risulterà effettivamente esaudita. Il frequente ricorso ad allegorie e simbolismi non doveva essere, infatti, immediatamente comprensibile al vasto pubblico, e basta leggere alcune lettere pubblicate nella rubrica Questionano della rivista per averne sentore. (p.346)

Anche le soluzioni d’impaginazione e di montaggio delle copertine non sembrano, del resto, pensate per soddisfare esclusivamente un gusto popolare. Quella praticata dalla «Difesa della razza» è infatti la visualizzazione di un «modernismo reazionario», che coniuga la lezione grafica sovietica, cara a Interlandi, con l’estetica volkisch nazionalsocialista[…]. (p.347)

L’antisemitismo in copertina evoca, infatti, la dimensione di uno scontro apocalittico, di una contrapposizione frontale fra arianità ed ebraicità. L’allusione a un conflitto indissolubile, insidioso e onnipresente, scaturisce innanzitutto dalla rappresentazione della minaccia ebraica come pericolo incombente sulla romanità fascista.[…]
Altrettanto consueto è il ricorso alla zoo- morfizzazione della figura dell’ebreo[…]
La visualizzazione metaforica dell’ebreo, animalizzato o trasformato in macchia, si accompagna paradossalmente alla descrizione della sua invisibilità[…] (p.348)

Alla minaccia giudaica corrisponde, specularmente, la violenza dell’ azione antisemita fascista.[…]
Se la dinamicità della dialettica ariano-ebreo caratterizza l’an- 5 tisemitismo espresso dalle copertine del quindicinale interlandia- ?.. no, la fissità dell’inferiòrità gerarchica del nero rispetto al bianco è invece il tratto dominante delle immagini legate al razzismo coloniale. Il rapporto di subordinazione è espresso nella maggior par- j te dei casi tramite la contrapposizione fra scultura classica e manu- | fatto indigeno – evocante una dicotomia bello/brutto58 – o tramite |
il confronto tra la riproduzione artistica, siihbolo di « cultura», e 1 le fotografie di indigeni, condannati allo stato di « natura». […]
La rappresentazione del nero è strettamente legata all’incubo j del meticciato, elemento dominante delle copertine della «Difesa della razza» con soggetto eugenetico. Se si escludono, infatti, le riproduzioni di pedigrees e di alberi genealogici, o le fotografie di madri e bambini, emblema del natalismo fascista, è il pericolo dell’ibridazione a ossessionare l’iconografia eugenetica del periodico.(p.349)

Ma è soprattutto con l’ingresso. dell’Italia nel secondo conflitto morirvi diale che l’«uomo nuovo» fascista sembra trovare una collocazione più incisiva nelle copertine della rivista. (p.350)

In questo paesaggio di riferimenti iconografici, che oscilla fra il mito della romanità e il millenarismo medievale, anche l’odio antiebraico torna prepotentemente sulle copertine del periodico, sospinto dall’immàgine di un conflitto definito nei termini di una « guerra giudaica».(p.351)

2 – VISUALIZZARE L’INVISIBILE: L’IMMAGINE DELL’EBREO p.351

Caricatura, pittura e fotografia sono i tre linguaggi visivi che si contendono, nelle pagine della <<Difesa della Razza>>, la rappresentazione dell’ebreo. (p.351)

A cliché fotografici di ebrei dell’Europa orientale, di provenienza sostanzialmente nazista, la rivista alterna un repertorio di caricature70, che rivela l’esistenza di una sorta di «internazionale delle immagini». […]
All’«internazionale» della caricatura si affianca, nella «Difesa della razza», il riferimento alla stereotipizzazione antiebraica della figura dell’ebreo propria dell’arte cristiana. (p.352)

Questo universo estetico, che si muove disinvoltamente da Fips a Giotto, da Caran d’Ache a Gustave Dorè93 fino alle fotografie naziste dei « tipi ebraici» dell’Europa orientale, costituisce il presupposto fondamentale del processo di sistematica decontestualizzazione dell’immagine, operato dalla «Difesa della razza» nella sua rappresentazione dell’ebreo. Un primo elemento in tale direzione è individuabile nel rovesciamento del rapporto fra immagine e didascalia.(pp.352-353)

Una seconda dinamica decontestualizzante scaturisce dal dialogo fra l’immagine e il testo di cui essa intende essere commento o illustrazione. (p.353)

Ad alimentare ulteriormente l’amalgama iconografico e concettuale si aggiunge poi V annullamento delle differenze fra i linguaggi rappresentativi impiegati – caricatura, pittura, fotografia – ottenuto grazie all’adozione di un procedimento generale di caricaturalizzazione dell’immagine. Per quanto riguarda le fotografie, l’uso caricaturale è reso quanto mai evidente dalle indicazioni didascaliche.[…]
Un discorso simile vale anche per i riferimenti pittorici gotici o rinascimentali, rispetto ai quali la stereotipizzazione antigiudaica già presente nell’iconografia di matrice religiosa si traduce tout court in tipologizzazione morfologica e razziologica.(p.354)

Oltre a fornire «una conferma, – per usare le parole di Marro, alla nostra concezione antropologica sugli ebrei»110, la predominanza del modulo espressivo caricaturale appare del tutto funzionale al processo di destituzione fisica dell’individuo, messo in atto dal discorso antisemita. La zoomorfizzazione e la vegetalizzazione sono i procedimenti maggiormente utilizzati in tal senso: l’ebreo viene disegnato, di volta in volta, come ragno, serpente, ratto, insetto, avvoltoio, a raffigurare in chiave simbolica la sua influenza nociva e infestante; oppure si trasforma in funghi velenosi, come quelli disegnati da Fips sulle pagine dello «Stiirmer»111. L’efficacia simbolica della bestializzazione antisemita è talmente potente da giungere persino ad oltrepassare i limiti del disegno caricaturale: nel giugno 1942, la sola immagine fotografica di un serpente, contrapposto alle aquile fasciste, incarna l’incombente minaccia ebraica112.
Accanto alla mitologizzazione fantasmagorica, è paradossalmente il processo opposto, ovvero la visualizzazione dell’invisibile, ad alimentare la fortuna della rappresentazione caricaturale antisemita. Se la giudeofobia della «Difesa della razza» è ossessionata, come si è visto, dalla presenza dell’«ebreo invisibile», allo stesso modo la sua iconografia è interamente pervasa dalla ricerca di segni e indizi, che ne visualizzino il tropismo e l’azione cospirazionista. Le fotografie dei «tipi ebraici» si traducono così in lezioni di fisionomica, finalizzate a leggere il volto come un mosaico di segni razziali. (pp.355-356)

In quest’ottica, può essere interessante notare come lo stesso paradigma centrale dell’antisemitismo cospirazionista, ovvero l’esistenza di un complotto ebraico nascosto dietro gli eventi storici, alimenti una paradossale ansia di rappresentazione di ciò che, per definizione, dovrebbe essere invisibile. L’immagine-slogan dell’«ebreo-mondo» ne è la riprova.(pp.356-357)

In altri casi, la visione della storia come cospirazione ebraica viene proposta, in forme ricreative e facilmente accessibili, attraverso strisce disegnate, quasi fumettistiche, le quali illustrano il cambiamento di condizione socio-economica degli ebrei grazie ai profitti ricavati dalle rivoluzioni o dalle guerre da essi stessi provocate. (p.357)

A partire dal gennaio 1941, le pagine centrali della «Difesa della razza» ospitano, con una certa continuità, una fotocomposizione che, mescolando caricature, fotografie e miniature medievali, mira a descrivere i differenti aspetti della cospirazione ebraica mondiale. (p.358)

Il rapporto fra iconografia e antisemitismo cospirazionista trova espressione anche nel tema dell’«anglo-giudaismo», particolarmente presente nelle fotocomposizioni centrali della «Difesa della razza». […]
Oltre a designare i caratteri morfologici dell’ebreo e a descrivere la sua azione cospiratrice, l’immagine è chiamata anche a illustrare e legittimare la discriminazione e la persecuzione in corso.(p.360)
A partire dall’inizio della seconda Guerra mondiale, le pagine della «Difesa della razza» cominciano ad ospitare fotografie che rivelano gli effetti dell’occupazione nazionalsocialista dell’Est europeo: gli ebrei denutriti e laceri dei ghetti di Lublino, di Varsavia, di Cracovia140. In un contesto iconografico in cui le xilografie medioevali, gli affreschi di Giotto e Paolo Uccello, le caricature delVaffaire Dreyfus e i cliché fotografici degli ebrei orientali sono stati totalmente decontestualizzati e amalgamati in un sincretismo razzista, il quale ha sancito l’idea dell’eterna pericolosità dell’ebreo e avvalorato la giustificazione dell’antisemitismo come forma di legittima autodifesa, il passaggio dalla rappresentazione alla realtà diviene ora quasi impercettibile, tanto da rendere visivamente scontata la persecuzione nazista in corso: anche sul piano dell’immagine, oltre che su quello dell’ideologia, quanto accade agli ebrei in Europa orientale assume, pertanto, i contorni della «profezia che si autoadempie».
Non è, tuttavia, nelle fotografie dei ghetti dell’Europa orientale, ma in quelle degli ebrei italiani soggetti alla precettazione civile a scopo di lavoro ordinata dal ministero dell’interno nel maggio 1942, che il corto circuito fra immagine e realtà operato dalla «Difesa della razza» raggiunge il suo apice. (p.361)

3 – UN FALSO CHE DICE LA VERITÀ: DALLA VENERE OTTENTOTTA ALLE FOTOGRAFIE DI CIPRIANI p.363

Il caso della Venere ottentotta illustra significativamente le modalità seguite dall’antropologia fisica fascista per trasformare un capitolo rilevante degli studi anatomici ottocenteschi in un’icona di primitivismo e di mostruosità funzionale alla politica coloniale razzista del regime. (p.365)

La selezione di fotografie, effettuata dall’ antropologo toscano perle pagine del periodico razzista, rispecchia chiaramente la precisa intenzione di offrire dei cataloghi di tipi razziali, ovvero dei «dati empirici che comprovano, e quindi legittimano, una teoria precedentemente formulata, trasmettendo al pubblico una ben definita immagine dell’“altro”, influenzando in misura determinante le modalità di percepirlo»164. Ad essere privilegiati sono infatti ìsomatotìpi, ovvero i classici ritratti di soggetti ripresi di fronte e di profilo, raramente a corpo intero. In alcuni casi, lo sguardo si concentra sugli elementi culturali significativi nell’uso del corpo, come gli eventuali tatuaggi o le cicatrici simbolico-rituali, le acconciature dei capelli, le modificazioni prodotte in particolari parti del corpo per motivi socioculturali. L’intento pedagogico alla base di tale scelta è chiaro: dimostrare visivamente non solo la diversità biologico-antropometrica, dei neri, ma anche la loro profonda distanza culturale. • .
Oltre che dall’impostazione tecnica della fotografia, l’oggetti- vazione razzista del soggetto fotografato emerge dal corredo interpretativo che accompagna l’immagine. Il somatotipo fotografico è spesso chiamato, infatti, a raffigurare le tesi di Cipriani sull’inferiorità biologica dei neri e sulla pericolosità del meticciato. (pp.366-367)

BIBLIOGRAFIA p.377

APPARATI p.391

INDICE DEI NOMI p.399