ARTHUR SCHOPENHAUER – EIS EAUTON. APPUNTI DI SAGGEZZA PER ME STESSO

ARTHUR SCHOPENHAUER – EIS EAUTON. APPUNTI DI SAGGEZZA PER ME STESSO
ACQUAVIVA – 1994

A CURA DI Fabrizio Fortini

[…]L’uomo si dispone da sé alla confessione con atto spontaneo e in questa occasione lo spirito di menzogna non fa presa così facilmente in lui, perché in ciascuno c’è un’inclinazione innata alla verità, contro la quale bisogna lottare ogni volta che si è tentati di mentire, e che nel caso presenta si fa sentire con forza incredibile. (p. 5)

3 (1822) p. 11

Già nella mia prima giovinezza notai che, mentre tutti gli altri si affaticavano per dei beni esteriori, io non riuscivo ad interessarmene; e ciò poiché porto in me un tesoro che ha un valore infinitamente più grande di qualsiasi possesso materiale e l’unica cosa importante è riuscire a far fruttare questo tesoro[…].
[…]ovvero ad indirizzare la mia attenzione sul mantenimento di me stesso e della mia libertà, e non a qualsivoglia beneficio. (p. 11)
Contrariamente a ciò che è conforme alla natura e ai diritti dell’uomo, ho dovuto sottrarre le mie energie al servizio della mia persona e all’incremento del mio benessere, per porle al servizio dell’umanità. Il mio intelletto non è mai appartenuto a me stesso, bensì al mondo. (p. 12)

4 (1822) p. 14

Volere il meno possibile e conoscere il più possibile: questo è stato il principio ispiratore della mia vita. […]
La mia vita è eroica e non si può valutare con il metro di riferimento del filisteo, e ancora meno con quello che si addice agli uomini comuni: i quali non hanno altra forma di esistenza se non quella individuale, limitata a un breve lasso di tempo; pertanto non devo lasciarmi rattristare dalla constatazione del fatto che a me manca tutto ciò che, invece, appartiene comunemente alla vita di una persona: un impiego, la casa, il podere, la moglie e un figlio. (pp. 14-15)

[…]così mi sono curato degli obbiettivi personali, concentrandomi completamente sulla mia esistenza spirituale. (p. 15)
Costringere uno spirito che dà e produce proprio ciò che nessun altro sa dare e produrre, e che per l’appunto di ciò continuerà ad essere costituto, voler costringere un simile spirito ad altre occupazioni e, in generale, il volergli assegnare compiti forzati distogliendolo dai propri doni spontanei, tutto ciò sarebbe folle e crudele al tempo stesso. (p. 16)

5 (1982) p. 17

La felicità dell’uomo comune consiste nell’alternarsi di lavoro e piacere: per me, invece, essi sono tutt’uno. (p. 17)
Un uomo del mio tipo, soprattutto fintanto che è giovane, si sente, in ogni situazione della vita, come una persona che indossa abiti che non gli si attagliano. (p. 18)

6 (1822) p. 19

Tra le cose esteriori quella chi sta più a cuore – ciò che, per me, è la camicia per il corpo – è la mia indipendenza economica, che mi permette di non essere costretto a dimenticare chi sono realmente dovendo così assumere il ruolo di un altro[…]. (p. 19)

7 (1822)

Le persone con cui vivo non mi dicono nulla, mentre i monumenti e il pensiero lasciato dagli uomini come me, che un tempo si riunivano tra loro, rappresentano la più grande gioia della mia vita. I loro scritto morti mi ispirano più fiducia che non l’esistenza dei “bipedes” viventi[…]. (p. 20)

12 (1825) p. 28

Da allora ho acquistato gradualmente un certo gusto per la solitudine: sono divenuto sistematicamente scontroso; mi sono proposto di dedicare a me stesso il resto di questa vita sfuggente e, quindi, di perdere il minor tempo possibile con quegli esseri, ai quali la comune circostanza di camminare su due gambe dà il diritto di ritenersi nostri simili[…]. (p. 29)

16 (1829) p. 34

[…]ognuno può, da solo, con un po’ di cortesia, trasformare persone ritrose e ostili in uomini disponibili e accomodanti.
Perciò la cortesia è per l’uomo ciò che il calore è per la cera. (p. 34)

17 (1829) p. 35

Per poter disprezzare, a ragione, colore che se lo meritano, ossia i cinque sesti dell’umanità, prima condizione è il non odiarli: quindi non bisogna far nascere alcun odio in se stessi, poiché, se si odia, non si disprezza pienamente. Il mezzo più sicuro per evitare di odiare gli uomini è, appunto, il disprezzo; ma un disprezzo davvero completo, che sia il risultato di una assai chiara e completa ispezione nella incredibile piccolezza del loro modo di pensare, nella enorme limitatezza della loro ragione e nell’infinito egoismo del loro cuore; dai quali emergono: clamorosa ingiustizia, squallida invidia, cattiveria e, talvolta, si giunge persino alla crudeltà. (p. 36)

18 (1830) p. 37

In un mondo nel quale almeno i cinque sesti degli uomini sono furfanti, o pazzi e stupidi, per ognuno dei rimanenti – e questo vale ancor più per colore che si tengono lontani dagli altri – quindi, un’esistenza ritirata deve essere la base del loro sistema di vita: e sarà tanto migliore quanto più sarà ritirata.
La convinzione che il mondo sia un deserto, nel quale non si può fare affidamento sulla comunità deve divenire un’abituale e precisa certezza. […]
così la società costringe il mio spirito, mentre la solitudine lo rende ancora libero di spaziare. (p. 37)
In un mondo così assolutamente banale ogni persona non comune sarò necessariamente portata all’isolamento, e, in effetti, è così. (p. 38)

20 p. 41

C’è sempre stata, nelle nazioni con un certo grado di cultura, una specie di monaci naturali; uomini che, consci delle preponderanti forze del proprio spirito, preferiscono lo studio e l’esercizio di questo a qualsiasi altro bene, quindi conducono una vita contemplativa e spiritualmente attiva, dei cui frutti ha sempre goduto, più tardi, l’umanità intera. Per questo costoro hanno sempre ripudiato il benessere, il guadagno, la stima terrena, i possedimenti delle proprie famiglie: è la legge di compensazione che porta a tutto ciò. (p. 41)
Se fossi un re, nessun ordine sarebbe dato altrettanto spesso ed energicamente quanto quello riguardante me stesso: lasciatemi solo! I miei sudditi dovrebbero vivere nell’illusione di essere gli unici uomini su di un pianeta spopolato e fare di necessità virtù. (p. 42)
Mi sono abituato a sopportare molto dalle persone, poiché mi sono accorto subito che dovevo farlo se volevo frequentarne qualcuna. Ma questa massima di comportamento è della giovinezza, del periodo in cui si sente il bisogno di compagnia: l’esperienza e la maturità rendono ciò insopportabile, e sarebbe assurdo tollerarlo ulteriormente con infinita pazienza. (p. 43)
La prima regola per non essere un giocattolo nelle mani di un bambino o la beffa di un pazzo è quella di “starsene abbottonati”.[…]
Per questa ragione non mi sembra opportuno aprirmi agli altri, per nessun motivo. Il giusto atteggiamento verso di loro è quello dell’ironia[…]. (p. 44)
Bisogna abituarsi ad ascoltare praticamente tutto con calma, anche le cose più folli; a considerare l’irrilevanza dell’interlocutore, della sua opinione evitando di essere coinvolti in una discussione: allora, più tardi, si ripenserà alla situazione soddisfatti di se stessi. (p. 45)
Poiché la loquacità conduce alla sincerità, non ci si dovrà mai abbandonare alla voglia di parlare “tanto del parlare”. (p. 46)

21 p. 47

Poiché con l’aumentare della confidenza diminuisce il rispetto – in quanto le nature comuni tendono a disprezzare tutto ciò il cui raggiungimento non è stato reso loro difficile – bisognerà, contrastando la spontanea tendenza ad essere socievoli, essere parsimoniosi al massimo con l’affabilità. (p. 47)

22 (1831) p. 48

In seguito a ciò lo sdegno per i singoli individui dovette, gradualmente, cedere il posto al disprezzo per l’intera umanità. (p. 49)

2 (1831) p. 51

Perciò, fin dalla giovinezza, i miei sogni di felicità sono costituiti da scene di tranquillità, silenzio, solitudine e piacere di sé. (p. 52)
La perdita della possibilità di poter disporre liberamente della mia persona sarebbe una disgrazia assai maggiore dei vantaggi che potrebbe portarmi l’acquisizione di un’altra persona. […]
[…]visto che vivo soprattutto nel mio mondo di pensieri, che non amo compagnia e divertimenti e che, oltre a ciò, non sempre sono di buon umore, le speranze che una donna possa vivere felicemente con me sono ben poche. (p. 53)
Per la disponibilità libera e indiscriminata di me stesso ho rinunziato al possesso di qualsiasi altra persona. Poiché, se questa mi dovesse appartenere, le dovrei appartenere anch’io… (p. 54)

28 (1833) p. 61

Anche se non c’è nessun motivo particolare per agitarsi, porto in me una costante ansia interiore che mi fa vedere e cercare pericoli lì dove non ce ne sono, inoltre mi ingrandisce la più piccola avversità facendola apparire enorme rendendo così più difficile il mio rapporto con gli uomini. (p. 63)

30 (1840) p. 68

[…]considero la disponibilità del proprio tempo come il massimo bene terreno. (pp. 68-69)

32 (1840) p. 73

Non ho mai avuto una considerazione peggiore degli uomini di quella che suscita in me il veder loro parlare senza senso, sentire l’abbaiare dei cani o allevare canarini. (p. 75)

33 (1844) p. 76

Già a trent’anni ero davvero stanco di dover vedere degli esseri che si ritenevano miei simili quando non lo erano affatto. […]
Ciò che li accomuna e li unisce sono: la loro bassezza, pochezza, dabbenaggine, debolezza mentale e miserevolezza. (p. 76)

34 (1850) p. 78

Se si proverà ripugnanza degli uomini a prima vista, dalle loro fisionomie e dalle loro maniere, allora non ci si farà tentare dal desiderio di approfondire la loro conoscenza[…]. (p. 79)

35 (1852) p. 80

Tutti gli esempi, davvero impressionanti ed eclatanti, di cattiveria, malvagità, invidia, stupidità, perfidia, infamia e stoltezza che sono stati sopportati o subiti, non devono assolutamente essere ignorati bensì fungere da “alimenta misantrophiae”: sempre richiamati alla memoria e tenuti presenti, sì da essere sempre coscienti della reale natura degli uomini per non compromettersi con loro in alcun modo. (p. 80)
Quando si inizia a familiarizzare con una persona bisognerebbe sempre rammentare che, una volta conosciutala più da vicino, probabilmente la si dovrà odiare o disprezzare. (p. 81)

38 p. 84

(Ho sempre sperato di morire tranquillamente); infatti chi ha condotto una lunga vita in solitudine conosce meglio di altri questa faccenda solitaria.
Invece di finire la mia vita fra gli imbrogli ideati a misura delle misere capacità dei “bipedes”, morirò con la rasserenante consapevolezza di ritornare lì da dove sono venuto pieno di talento, certo di aver portato a termine la mia missione. (p. 84)