THOMAS ROBERT MALTHUS – PRIMO SAGGIO SULLA POPOLAZIONE

primo saggio 1

primo saggio

THOMAS ROBERT MALTHUS – PRIMO SAGGIO SULLA POPOLAZIONE
LATERZA – Collana UNIVERSALE n. 340 – 1976

TRADUZIONE: Gabriella Menozzi Nebbia

INTRODUZIONE: Di Giorgio Nebbia p. V

PREFAZIONE p.3

I p.5

La grande questione, è stato detto, è se l’uomo può continuare a correre, sempre più velocemente, verso un illimitato e finora impensato progresso o se sarà invece condannato ad una continua oscillazione fra prosperità e miseria, ritrovandosi dopo ogni sforzo ad una distanza enorme dalla meta perseguita. (p.5)

A loro volta i fautori della perfettibilità dell’uomo e della società riversano sui conservatori, che vogliono mantenere le istituzioni attuali, un disprezzo uguale, se non maggiore, bollandoli come schiavi dei più miserabili e sciocchi pregiudizi o come difensori delle ingiustizie di una società civile da cui traggono i loro profitti.(p.6)

A questo punto, ritengo di poter formulare in tutta ‘ chiarezza due postulati:
primo: il cibo è necessario alla vita dell’uomo;
secondo: l’attrazione fra i due sessi è indispensabile e si manterrà sempre, più o meno, qual è attualmente. (p.9)

Ritengo pertanto esatti i miei postulati e affermo che il potere di crescita della popolazione è infinitamente più grande di quello che possiede la terra di produrre i mezzi di sussistenza necessari all’uomo: la popolazione, infatti, se non viene frenata aumenta secondo una progressione geometrica, mentre le risorse aumentano secondo una progressione aritmetica; una sia pur minima confidenza con i numeri basta a mostrare l’enorme superiorità della prima forza nei confronti della seconda.

Nei regni animale e vegetale la natura ha sparso semi di vita con la massima possibile profusione e liberalità, mentre è stata relativamente parsimoniosa con lo spazio e con il cibo necessari a quelle vite. Se gli embrioni che si trovano sulla terra avessero cibo a sufficienza e spazio per espandersi, riempirebbero, nel corso di poche migliaia di anni, milioni di mondi, ma la scarsità (necessity), questa imperiosa legge di natura che domina tutto il creato, li restringe entro limiti ben definiti. Le specie animale e vegetale rientrano in questa grande legge restrittiva e nemmeno l’uomo riesce a sottrarvisi, per quanto aguzzi la sua intelligenza. Per gli animali e le piante gli effetti di questa legge si chiamano dispersione di semi, malattie, morte precoce; per l’uomo, miseria e vizio. La prima, la miseria, è una conseguenza inevitabile di quella dura legge, mentre il vizio forse ne deriva (per questo lo vediamo tanto esteso), ma non ne è una conseguenza assolutamente necessaria, perché c’è la virtù che insegna a resistere alle tentazioni. (pp.10-11)

II p. 13

Ritengo di poter affermare che non è mai esistito, per quanto se ne sappia, uno Stato dai costumi così puri e semplici e dai mezzi di sostentamento così abbondanti da non richiedere alcun freno a dei matrimoni troppo precoci: ai poveri questo freno sarà stato imposto dal timore di non poter mantenere la famiglia, ai ricchi dalla paura di dover ridurre il proprio tenore di vita, ma in nessuno degli Stati che conosciamo la forza esplosiva della popolazione è stata lasciata agire in completa libertà. (p.13)

Ma in uno stato di uguaglianza e di grandi valori morali, con costumi semplici e puri, e mezzi di sussistenza così abbondanti da non lasciare nessuno nel timore del domani, se il potere esplosivo della popolazione non viene frenato, si avrà nella specie umana un aumento molto superiore a tutti quelli verificatisi in passato.[…]

Negli Stati Uniti d’America, dove i mezzi erano più abbondanti che nei più moderni Stati d’Europa, i costumi morali erano più puri e di conseguenza era minore il freno ai matrimoni precoci, si è notato che la popolazione raddoppiava nello spazio di 25 anni. Questo ritmo di crescita non rappresenta il massimo della forza espansiva della popolazione, ma poiché è un dato dell’esperienza d’oggi, lo prendiamo come regola e affermiamo che: la popolazione, quando non venga frenata, si raddoppia ogni 25 anni, ossia cresce con progressione geometrica.(p.14)

[…] perciò possiamo affermare esplicitamente che i mezzi di sussistenza aumentano secondo una progressione aritmetica.(p.15)

Non poniamo alcun limite alla produzione della Terra e ammettiamo che possa continuare ad aumentare al di là di tutte le nostre previsioni. Ma il potere di crescita della popolazione è di un ordine ancora più grande e noi sappiamo che l’aumento della specie umana deve essere proporzionato all’aumento delle risorse, per effetto della dura legge di necessità che agisce da freno sulla forza maggiore. […]
Per quanto riguarda l’uomo, gli effetti di questa azione frenante sono più complessi, perché egli è spinto alla riproduzione da un istinto ugualmente potente, ma la ragione frena la sua corsa con il dilemma se gli sia lecito o meno mettere al mondo degli esseri che non sarà in grado di mantenere. (p.16)

E se la famiglia sarà numerosa, saremo capaci di mantenerla o dovremo vedere i nostri figli, in cenci e in miseria, piangere reclamando quel pane che non saremo in grado di procurare? Oppure ci adatteremo alla dura necessità di perdere la nostra indipendenza, assoggettandoci all’avara carità pubblica per sopravvivere?
È certo che queste considerazioni servono, in tutte le nazioni civili, a distogliere un gran numero di persone dai matrimoni precoci che pure la natura consiglia, ma questo freno molto spesso, anche se non sempre, genera vizio. Finora presso tutti i popoli, anche i più corrotti, la tendenza a unioni virtuose è stata così forte che se ne è avuto come conseguenza un costante aumento della popolazione; con la stessa costanza, però, questo aumento tende ad assoggettare al bisogno le classi più povere della società, impedendo un qualsiasi stabile miglioramento delle loro condizioni di vita.
Come avviene tutto questo? Cerchiamo di spiegarlo.
Supponiamo che in un paese qualsiasi i mezzi di sussistenza siano in quantità tale da bastare per un lauto mantenimento dei suoi abitanti; la tendenza ad un costante aumento della popolazione, che si riscontra anche nelle società più corrotte, accresce però il numero delle bocche più rapidamente delle risorse e pertanto gli alimenti che prima bastavano, poniamo, per sette milioni di persone, debbono poi essere ripartiti tra sette milioni e mezzo o otto milioni. Di conseguenza, i poveri sono costretti a vivere molto peggio e molti di essi sono ridotti alla miseria. Per di più, con un numero di lavoratori superiore alla richiesta di mano d’opera del mercato, la remunerazione del lavoro tende forzatamente a diminuire, mentre il prezzo degli alimenti sale e il lavoratore deve faticare più duramente per guadagnare tanto quanto prima. In questo periodo di ristrettezze economiche la paura del matrimonio e la difficoltà di mantenere una famiglia si fanno così grandi che la popolazione ristagna a un punto morto. (p.17)

Comunque, a parte il fatto che spesso i ricchi contribuiscono, con le loro associazioni disoneste, a prolungare il periodo di miseria dei poveri, dobbiamo riconoscere che nessuna forma di società potrebbe prevenire l’azione quasi costante della miseria su una larga parte dell’umanità, sia in regime di ineguaglianza sia, ancor peggio, nel caso che tutti fossero uguali.A questo punto mi pare assai chiara la teoria da cui dipende la verità di questo fatto, tanto chiara che non saprei quale sua parte possa essere confutata:
la popolazione non può aumentare senza adeguati mezzi di sussistenza (si tratta di una proposizione così evidente che non occorrono spiegazioni);
la popolazione aumenta inesorabilmente se vi sono mezzi di sussistenza (la storia di ogni popolo della terra
lo dimostra esaurientemente);
la forza espansiva della popolazione non può essere tenuta sotto controllo senza che si verifichino miseria e vizio (la presenza abbondante di questi amari ingredienti nel calice della vita umana e il perdurare delle loro cause naturali mostrano in modo ben convincente la verità di questa affermazione). (p.20)

III p. 21

Negli stadi primitivi della società, quando la caccia è l’occupazione principale dell’uomo, oltre che l’unico mezzo per procurarsi il cibo, e le risorse sono disseminate su una vasta estensione di territorio, la popolazione è inevitabilmente limitata. (p.21)

Da questa breve disamina, e tenendo conto di tutte le notizie che ci sono pervenute sui popoli cacciatori, possiamo concludere che queste popolazioni sono poco numerose per scarsità di alimenti e che aumenterebbero immediatamente se aumentasse il cibo a loro disposizione; anche lasciando fuori questione il vizio, che non riguarda i popoli allo stato selvaggio, dobbiamo ammettere che qui è la miseria a fare da freno alla forza più esplosiva della popolazione, riuscendo a mantenerla al livello dei mezzi di sussistenza. L’esperienza e la verifica dei fatti ci dicono che questo freno, salvo poche sporadiche eccezioni, agisce ancora oggi, costantemente, su tutti i popoli allo stato selvaggio e tutto induce a credere che mille anni orsono agisse con la stessa forza e che fra mille anni agirà suppergiù come in passato.
Sui costumi e sulle abitudini dei popoli dediti alla pastorizia, lo stadio successivo dell’umanità, sappiamo ancora meno che sulla vita degli uomini primitivi: tuttavia siamo a conoscenza, sulla scorta di quanto è avvenuto in Europa e negli altri paesi del mondo, che nemmeno queste popolazioni sfuggivano al destino generale di miseria derivante dalla mancanza di risorse. (p.23)

Un Alarico, un Attila, un Gengis Khan e i capi che si stringevano attorno a loro potevano anche combattere per la gloria, per la fama concessa dalle grandi conquiste, ma la vera causa che ha messo in moto la grande ondata delle migrazioni dal nord, spingendola, in momenti successivi, fino alla Cina, alla Persia, all’Italia, e perfino all’Egitto, è stata la scarsità di alimenti e la sovrabbondanza della popolazione nei confronti delle risorse. (p.25)

IV p.27

La ragione per cui la maggior parte dell’Europa è oggi più popolata che in passato è che la laboriosità dei suoi abitanti ha fatto sì che questa terra producesse una maggiore quantità di risorse per l’uomo e pertanto io ritengo ormai assodato che se si prende in esame una estensione di territorio sufficientemente vasta da consentire esportazioni e importazioni, anche lasciando un certo margine per le variazioni inevitabili apportate dalle abitudini dissipate o frugali dei suoi abitanti, la popolazione di quel territorio si manterrà in una proporzione costante con le risorse alimentari che la terra sarà in grado di produrre. (p.28)

Una inchiesta approfondita sulla situazione sociale di un qualsiasi paese d’Europa, valida anche per gli altri paesi, ci mette in grado di rispondere a questo quesito e di affermare che la previsione delle difficoltà che si accompagnano alla creazione di una famiglia agisce da freno preventivo, mentre la miseria che attanaglia alcune delle classi più povere della società, impedendo loro di dare ai figli la cura e l’alimentazione indispensabili, agisce da freno positivo all’aumento naturale della popolazione. (p.31)

Nella classe dei commercianti e degli agricoltori, ai figli viene sconsigliato il matrimonio — ed essi trovano utile seguire il consiglio — fino a quando non si siano sistemati intraprendendo qualche attività, commerciale o agricola, che gli consenta di mantenere una famiglia. Questo, però, avviene soltanto ad una certa età, sia per la scarsità di attività agricole, in Inghilterra, sia per la forte concorrenza nel campo degli affari, che non permette a tutti di avere successo.
L’operaio che guadagna diciotto pence al giorno e riesce a vivere con un minimo di agiatezza da solo, esiterà certo prima di decidersi a dividere con quattro o cinque persone quella paga che è appena sufficiente per lui: per la gioia di vivere con la donna che ama dovrà affrontare fame più dura e più dura fatica, ma dovrà anche rendersi conto, se proprio non è uno sventato, che se la famiglia diventerà numerosa o capiterà qualche disgrazia, non basteranno né la sua frugalità né un aumento di lavoro manuale a salvarlo dal vedere i suoi figli morire di fame, a meno che non voglia barattare la propria indipendenza o indebitarsi con la parrocchia per poterli mantenere. (pp.32-33)

V p.35

Il freno positivo all’aumento della popolazione (e con queste parole intendo un freno che intervenga quando un aumento si è già verificato) agisce soprattutto, anche se non esclusivamente, nelle classi più povere della società; il suo meccanismo di azione non è chiaro come quello del freno preventivo, per l’uomo della strada, e dovrei probabilmente disporre di un maggior numero di dati per dimostrare chiaramente la forza e l’intensità della sua azione. Tuttavia penso che tutti coloro che si interessano di statistiche sulla mortalità avranno rilevato che la maggior parte dei bambini che muoiono ogni anno appartiene ai ceti sociali più bassi, che non sono in grado di offrire ai loro figli cibo e cure adeguate perché esposti spesso alla miseria più nera, confinati in abitazioni malsane e sottoposti a lavori eccessivamente pesanti. (p.35)

Comunque è difficile pensare che la moglie di un lavoratore che abbia, per esempio, cinque o sei bambini e si trovi spesso senza cibo, possa fornire ai suoi figli quegli alimenti e quelle attenzioni che sono necessarie per la loro sopravvivenza.
figli e le figlie dei contadini non hanno, in realtà, quell’aspetto di rosei cherubini che viene loro attribuito nei romanzi e chi vive molto in campagna può facilmente notare che spesso subiscono rallentamenti nella crescita e stentano ad arrivare alla maggiore età. Ragazzi che giudichereste di 14 o 15 anni ne hanno in realtà 18 o 19 e quelli che guidano l’aratro, esercizio che peraltro sembrerebbe salutare, hanno raramente dei buoni muscoli, circostanza che può essere attribuita soltanto ad una scarsa o inadatta alimentazione.
In Inghilterra le « Leggi sui poveri » sono state istituite per porre un rimedio alla miseria diffusa nelle classi povere, ma si può temere che, anche se sono servite ad alleviare un poco l’intensità delle sofferenze individuali, abbiano poi contribuito ad estendere su più vasta scala il malessere generale. Nelle conversazioni si sente spesso dire, e non senza meraviglia, che i poveri, nonostante la grande quantità di denaro che viene raccolta ogni anno in Inghilterra per loro, vivono ancora nelle più grandi strettezze. (p.36)

Insomma, quando le risorse sono scarse, in rapporto alla popolazione, conta poco che i membri più poveri della società guadagnino diciotto pence o cinque scellini perché, in ogni caso, dovranno sempre adattarsi al cibo più povero e nella minima quantità.
Qualcuno dirà, forse, che un maggior numero di acquirenti per ogni articolo potrebbe dare impulso all’industria e aumentare la produzione complessiva del paese: questo potrebbe anche essere vero, fino a un certo punto, ma l’impulso che queste ricchezze immaginarie darebbero all’aumento della popolazione farebbe da duro contraccolpo e l’aumentata produzione del paese dovrebbe poi essere suddivisa fra una popolazione cresciuta in misura sproporzionata. (p.37)

Un aumento di popolazione senza una crescita proporzionale delle risorse avrebbe lo stesso effetto, e cioè ridurrebbe il valore dei singoli patrimoni, perché il cibo a disposizione degli abitanti dovrebbe essere suddiviso in quantità più piccole e il lavoro di una giornata sarebbe in grado di acquistarne una porzione minore. Un aumento dei prezzi alimentari può derivare sia da una crescita di popolazione superiore a quella dei mezzi di sussistenza, sia da una mutata distribuzione delle ricchezze nella società:[…] (p.39)

Le « Leggi sui poveri » inglesi rischiano di indebolire la condizione generale delle classi povere in due modi. In primo luogo, esse tendono ad accrescere la popolazione senza aumentare in misura adeguata le risorse indispensabili a farla sopravvivere e pertanto, in una società in cui i poveri possono sposarsi senza preoccuparsi minimamente di poter poi mantenere la famiglia in assoluta indipendenza, quelle leggi sembrano fatte apposta per creare le situazioni di povertà a cui poi offrono rimedio; e poiché le risorse alimentari di un paese, se aumenta la popolazione, debbono essere suddivise fra gli individui in porzioni più piccole, è evidente che il lavoro di quanti non godono dell’assistenza parrocchiale non basterà più a procurare loro la stessa quantità di beni di prima e li costringerà alla fine a ricorrere a loro volta alla pubblica assistenza.
In secondo luogo, la quantità di provviste che viene consumata negli ospizi, cioè da quella parte della popolazione che non può essere ritenuta la più valida, riduce le risorse che dovrebbero venir suddivise fra gli individui più laboriosi e meritevoli e così costringe anche questi a ricorrere all’assistenza delle parrocchie. Se poi i poveri degli ospizi fossero posti in condizione di vivere meglio di adesso, questa nuova distribuzione delle ricchezze non farebbe che peggiorare, col rincaro degli alimenti, la condizione di quanti vivono al di fuori degli ospizi. (p.40)

Una povertà che ci asservisce, e ne abbiamo molti esempi, deve essere considerata una vergogna e questo sentimento è assolutamente necessario per il bene del genere umano: ogni tentativo di indebolirlo, anche se apparentemente a fin di bene, non può che essere dannoso. Coloro che si lasciano convincere a sposarsi dalla prospettiva di una sovvenzione da parte della parrocchia, avendo solo una minima probabilità di poter mantenere in libertà la propria famiglia, corrono il rischio non solo di arrecare infelicità e servitù a se stessi e ai loro figli, ma anche di coinvolgere tutti gli altri, inconsciamente, nella loro caduta: un lavoratore che si sposi senza avere
mezzi per mantenere poi la famiglia può essere considerato, in un certo senso, un nemico dei suoi compagni lavoratori.
Sono sicuro che le « Leggi sui poveri » hanno contribuito, in Inghilterra, a far rincarare gli alimenti e a deprezzare il lavoro, impoverendo quella parte della società che ha come unico bene la propria attività. È inoltre difficile pensare che non abbiano contribuito grandemente a generare quella trascuratezza e quella mancanza di sobrietà che si notano nelle classi povere e che sono così contrarie all’atteggiamento abituale dei piccoli commercianti e agricoltori: i lavoratori poveri sembrano vivere alla giornata, come si suol dire, badando molto ai bisogni del presente e poco a quelli del futuro. E se anche hanno qualche possibilità di risparmiare, non lo fanno quasi mai, spendendo tutto il superfluo all’osteria[…] (p.41)

Gli operai delle industrie considerano questo genere di assistenza come un incentivo a spendere tutto quanto guadagnano e a divertirsi quanto più possono, come è provato chiaramente dal numero di famiglie che ricorrono all’aiuto parrocchiale non appena fallisce una grossa industria, mentre probabilmente le paghe corrisposte dalla stessa, quando era nel pieno rigoglio, erano abbastanza al di sopra delle tabelle correnti da permettere un risparmio sufficiente alla saldatura con un nuovo impiego.
È possibile che un uomo non si spaventi, e pertanto continui a frequentare le osterie, davanti alla prospettiva che, in caso di sua malattia o morte, la moglie e i figli dovranno ricorrere all’assistenza parrocchiale, ma probabilmente egli esiterebbe a dissipare tutta la sua paga se fosse sicuro che, realizzandosi uno di questi casi, la sua famiglia morirebbe di fame o sarebbe costretta a ricorrere alla carità privata, che c’è e non c’è. […]
Una legge inesorabile della natura impone che sia posto un limite all’esplosione della popolazione: sarà meglio che questo limite derivi dalla previsione delle difficoltà che attendono una famiglia e dal timore della povertà che rende schiavi, piuttosto che dalla repressione operata poi dalla miseria e dalle carestie. (p.42)

Il male probabilmente è andato troppo avanti perché vi si possa porre rimedio e il mio modesto parere è che se le « Leggi sui poveri » non fossero mai esistite forse ci sarebbe qualche caso in più di vera miseria, ma il popolo avrebbe un livello di benessere molto più elevato di quello che si riscontra ora.
La « Legge sui poveri » di Pitt sembra essere stata progettata a fin di bene e pertanto le critiche che le sono state rivolte sono sotto molti aspetti ingiuste e irragionevoli, tuttavia si deve riconoscere che essa è viziata alla base, come tutti i sistemi del genere, perché tende ad accrescere la popolazione senza aumentare i mezzi necessari per farla vivere, con la conseguenza di peggiorare le condizioni di quanti non godono di alcuna assistenza da parte delle parrocchie e di aumentare il numero dei miserabili.
Cercare di vincere la miseria delle classi più basse della società è un compito veramente arduo, perché il bisogno che grava su questa parte della comunità è un male cosi profondo che nessun impegno umano può arrivare a sradicarlo: se posso proporre un palliativo, — e in un caso del genere non si può parlare d’altro — suggerisco, prima di tutto, l’abolizione totale dell’assistenza da parte delle parrocchie. (p.44)

Concludendo e lasciando per ora da parte le « Leggi sui poveri », io penso di poter affermare, dopo aver esaminato la situazione delle classi povere nelle città e nelle campagne inglesi, che la mancanza di un cibo adeguato e sufficiente, il lavoro improbo e le abitazioni malsane costituiscono un freno costante all’aumento della popolazione.
In tutti i paesi di lunga tradizione, ai due grandi freni all’aumento della popolazione che ho chiamato freno preventivo e freno positivo vanno aggiunti le abitudini viziose, l’urbanesimo, le fabbriche che appestano l’aria, il lusso, le pestilenze e la guerra: tutti questi mezzi limitanti possono facilmente risolversi in miseria e vizio.
Queste sono le vere cause per cui la popolazione cresce lentamente in tutti gli Stati dell’Europa moderna: lo prova il fatto che, ogni volta che queste cause vengono in qualche modo rimosse, la popolazione aumenta invariabilmente e in misura molto più rapida. (p.46)

VI p.47

Un’abbondanza di terre fertili, che si possono avere per poco o niente, costituisce una tale spinta all’aumento della popolazione da superare ogni altro ostacolo.(p.47)

Questi fatti sembrano dimostrare che la popolazione aumenta nella stessa misura in cui vengono rimossi i due grandi freni al suo esplodere, la miseria e il vizio, tanto che si può ritenere criterio ottimo per valutare la felicità e l’innocenza di un popolo la sua velocità di accrescimento. (p.50)

VII p.53

Sembra che la peste, a Londra, sia stata compieta- mente debellata grazie al miglioramento delle condizioni igieniche. Non è improbabile, però, che fra le cause secondarie delle malattie e delle epidemie si debbano annoverare anche il sovraffollamento e un’alimentazione scarsa e scadente. (p.53)
Se in un paese ancora scarsamente popolato si ha un incremento di popolazione prima che sia cresciuta la disponibilità di alimenti e di abitazioni, gli abitanti devono per forza soffrire per la mancanza di alloggi e di cibo. (p.55)

Il disincentivo al matrimonio, la conseguente corruzione dei costumi, la guerra, il lusso, il lento ma sensibile spopolamento delle grandi città, le abitazioni malsane e l’insufficienza alimentare per la maggior parte dei poveri hanno fatto in modo che la popolazione non superasse la disponibilità dei mezzi di sussistenza. (p.59)

La grande legge di necessità che, in ogni paese, impedisce alla popolazione di crescere al di là delle risorse alimentari prodotte o acquisite, è una legge così chiara per i nostri occhi, così ovvia ed evidente per la nostra intelligenza e così pienamente confermata dall’esperienza di ogni tempo che nemmeno per un momento possiamo dubitarne. Invece i modi diversi di cui la natura si serve per prevenire o reprimere un’eccedenza di popolazione non ci risultano altrettanto chiari e regolari, ma anche se non sempre possiamo prevedere il modo, possiamo con certezza predire il fatto. Se il rapporto fra le nascite e le morti indica, per un certo numero di anni, un incremento numerico molto al di là dell’aumento di risorse di un paese o della possibilità di acquistarne, possiamo essere ben certi che, se non interviene una provvidenziale emigrazione, le morti in breve tempo supereranno le nascite e pertanto l’incremento verificatosi per alcuni anni non potrà essere assunto come incremento reale medio della popolazione di quel paese. Se non interverranno altre cause di spopolamento, il paese sarà soggetto senza dubbio allo scoppio periodico di epidemie o di carestie.
Il solo motivo valido per una crescita reale e continua della popolazione è, dappertutto, l’aumento dei mezzi di sussistenza: anche questo principio, ovviamente, è soggetto ad alcune lievi varianti, che però sono ben chiare ed osservabili. In alcuni paesi, per esempio, la popolazione è stata forzata, e cioè abituata gradualmente a vivere con quantità di cibo al limite del minimo indispensabile, tanto che si è registrato un incremento costante della popolazione senza una crescita parallela delle risorse. (pp.60-61)

Nulla è così comune quanto i suggerimenti per una crescita della popolazione e se la tendenza all’aumento dell’umanità è davvero così grande come io ho pensato, può sembrare strano che questa esplosione non arrivi, dopo essere stata così intensamente invocata. Il motivo vero è che si vorrebbe accrescere la popolazione senza preparare le risorse necessarie a mantenerla. Aumentiamo invece il lavoro agricolo e diamo impulso alle coltivazioni, accresciamo il prodotto del paese e miglioriamo le condizioni dei lavoratori: in questo modo non vi saranno più preoccupazioni per un aumento proporzionale della popolazione. Cercar di ridurre la popolazione in altro modo è vizioso, crudele e tirannico e in nessuno Stato libero dovrebbe mai accadere. (p.62)

[…]ogni paese, a meno che la sua popolazione non sia in fase decrescente, deve possedere gli alimenti necessari a sostenere in modo adeguato la massa dei suoi lavoratori.
Valendo lo stesso discorso anche per altre circostanze, si può affermare che i paesi sono popolati in ragione della quantità di alimenti che riescono a produrre e felici in ragione dell’abbondanza con cui li possono suddividere o della quantità che è possibile acquistarne con una giornata di lavoro. I paesi dove si coltiva grano sono più popolati di quelli tenuti a pascolo, e i paesi dove si coltiva riso lo sono più di quelli dove si coltiva grano. […]
La felicità di un paese non dipende, in assoluto, dalla sua povertà o dalle sue ricchezze, dalla sua giovinezza o dalla sua maturità, dal suo essere scarsamente o pienamente popolato, ma dalla rapidità con cui progredisce e dal modo in cui la crescita annuale delle sue risorse alimentari si avvicina all’incremento annuale della sua popolazione, lasciata libera da ogni freno. (p.63)

I vizi sono gli abili ed attivi ministri dello spopolamento, avanguardie della grande armata della distruzione, ma spesso in grado di compiere anche da soli il loro terribile compito. E se essi falliscono in questa guerra di sterminio, pestilenze, epidemie e flagelli avanzano in terrificante schiera e spazzano via mille o diecimila vittime. Ma il successo può sembrare ancora incompleto: una gigantesca, inevitabile carestia avanza nelle retrovie e con un colpo potente riporta la popolazione del mondo al livello dei mezzi di sussistenza.
Dopo aver esaminato attentamente le varie fasi della storia dell’umanità, possiamo concludere che in ogni epoca e in ogni Stato in cui sia esistito o esista l’uomo
l’aumento della popolazione è necessariamente limitato dai mezzi di sussistenza;
la popolazione cresce invariabilmente quando aumentano le risorse;
il potere di crescita della popolazione, che è largamente superiore, viene frenato e la popolazione effettiva viene mantenuta al livello dei mezzi di sussistenza dalla miseria e dal vizio. (pp.64-65)

VIII p.67

Chi voglia trarre conclusioni ovvie da quanto detto finora, guardando al passato e al presente dell’umanità, non può non meravigliarsi che quanti hanno scritto sulla possibilità di un miglioramento futuro dell’uomo e della società, pur accennando al problema dell’aumento eccessivo della popolazione, abbiano trattato questo argomento con estrema leggerezza, descrivendo le difficoltà che ne derivano come se si trattasse di un problema lontanissimo nel tempo. (p.67)

In ogni tempo, infatti, mentre l’agricoltura farà i previsti progressi, dal momento attuale a quello in cui la Terra sarà tutta un giardino, il bisogno di alimenti continuerà a far sentire il suo peso su tutti gli uomini, anche se fra di loro ci sarà uguaglianza.
Invano la produzione agricola aumenterebbe ogni anno, perché la popolazione cresce con un ritmo molto più rapido, e questo eccesso di popolazione dovrà essere necessariamente eliminato dall’azione costante della miseria o del vizio. (p.68)

Se si decidesse di indagare sulle richieste di assistenza da parte dei singoli, per accertare se essi hanno fatto o meno tutto quanto in loro potere, prima di chiedere l’aiuto pubblico, questo non sarebbe altro che una ripetizione su scala più larga delle leggi inglesi sulla povertà e non servirebbe altro che a distruggere i principi più veri di libertà e di uguaglianza.(p.70)

IX p. 73
progressi della medicina, la possibilità di disporre i di alimenti e di abitazioni più sani e di vivere in un modo che rinvigorisca il corpo con l’esercizio fisico senza indebolirlo con eccessi, la soppressione delle due cause principali di degradazione dell’uomo — miseria e ricchezza eccessiva — e, infine, la graduale vittoria sulle malattie ereditarie e contagiose resa possibile dal progresso delle scienze naturali, delle conoscenze in genere e dell’ordine sociale, tutte queste cose lo portano a ritenere che l’uomo, tinche se non diventerà proprio immortale, godrà di una vita naturale sempre più lunga, senza un limite prefissato, una vita che può essere chiamata, con termine appropriato, « indefinita ». (pp.73-74)

Per quanto riguarda la durata della vita umana, non sembra vi sia mai stato, dall’origine del mondo ai giorni nostri, il minimo segno o indicazione di un vero prolungamento solo la constatazione che il clima, le abitudini, il regime alimentare e molte altre cause hanno influito sulla durata della vita umana ha portato a concludere che essa possa prolungarsi oltre certi limiti, ma la fragile base su cui poggia questa affermazione è che, se la vita umana non ha un termine ben definito e noi non possiamo prevedere in anticipo l’arrivo di questa scadenza, la durata della vita stessa può estendersi all’infinito, tanto da essere detta « indefinita » o « illimitata ». (pp.75-76)

[…]in tutti i casi, dunque, si deve fare una precisa distinzione fra un progresso illimitato e un progresso i cui limiti sono soltanto indefinibili.(p.77)

[…]ho portato due esempi precisi, ricavati dal mondo degli animali e delle piante, proprio per poter chiarire ed illustrare, nei limiti del possibile, l’erroneità della teoria che deduce un progresso illimitato dal fatto che si sono avuti dei miglioramenti parziali e che non si sa fin dove essi potranno arrivare.(p.78)

Certo non è impossibile che, entro un certo grado, avvengano dei miglioramenti nella razza umana, proprio come avviene nel mondo degli animali: forse non si potrà trasmettere l’intelligenza, ma la statura, il vigore, la bellezza, il colorito e forse anche la longevità sono in qualche modo trasmissibili; l’errore consiste non tanto nel supporre che sia possibile un certo grado di perfezionamento, quanto nel non saper distinguere fra un piccolo miglioramento, dai limiti non ben definibili, e un progresso realmente illimitato. […]
Penso che non sia necessario, per una dimostrazione più completa di quanto sia improbabile l’immortalità dell’uomo sulla terra, parlare del peso enorme che una maggiore durata della vita umana avrebbe sul problema della popolazione. (p.79)

X p.81

Il meraviglioso castello di fantasie crolla al contatto con la realtà: il sentimento di carità, che prima veniva alimentato e rinvigorito dall’abbondanza, viene ora represso dal gelido soffio del bisogno, mentre tornano alla ribalta le passioni odiose che sembravano scomparse; l’istinto di conservazione prevale con la sua forza sui nobili ed elevati sentimenti dell’anima e la tentazione al male si impone alla natura umana, incapace di resistere[…] (p.87)

Questo quadro delle difficoltà che derivano dal problema della popolazione è ben diverso dal sogno di Godwin: « La popolazione potrà continuare a crescere per migliaia di secoli, e la Terra sarà sempre in grado di mantenere tutti ». (p.88)

XI p.95

La superiorità dei piaceri intellettuali sui piaceri sensuali consiste nel fatto che essi durano più a lungo, hanno una sfera più larga e sono meno esposti al pericolo della sazietà, ma non nel fatto che essi siano più reali o più essenziali. […]
L’amore casto, che si esalta nell’amicizia, ci appare come un insieme di gioie sensuali e intellettuali che si addicono in modo particolare alla natura dell’uomo, perché risvegliano nell’anima la comprensione e generano il più squisito appagamento. (p.96)

Non sono affatto convinto che l’umanità abbia raggiunto il massimo di ogni possibile progresso, e questo mio saggio tende a far risaltare l’improbabilità che le classi più povere di ogni paese riescano mai ad essere abbastanza libere dal bisogno e dalla fatica da poter raggiungere un alto grado di progresso intellettuale. (p.98)

XII p.99

Il primo obiettivo cui tende la mente è soddisfare i bisogni del corpo: quando questi sono completamente soddisfatti, uno spirito attivo può spaziare altrove, può spostarsi nei campi del sapere o trastullarsi nel regno dell’immaginazione, può pensare di essersi « liberato da questa spirale di morte » e di essere alla ricerca dell’elemento che gli è più affine. (p.102)

Dal momento che né in questi o in altri esempi simili né, per allargare la sfera, nel grande numero di soggetti vissuti nei mille e mille anni passati, si è mai rilevata qualche differenza sostanziale nella durata della vita come conseguenza dell’esercizio intellettuale, appare certa la mortalità fisica dell’uomo in dipendenza della più costante fra le leggi di natura. (p.106)

Da parte mia non sono contrario a dare all’idea dell’immortalità dell’uomo sulla terra quel certo credito che meritano le prove portate a suo sostegno. Prima di decretare l’assoluta improbabilità di un evento del genere, quindi, dobbiamo esaminare imparzialmente tutte queste prove: ed è proprio dal loro esame che potremo trarre la conclusione che vi sono meno motivi per supporre un prolungamento « indefinito » della vita umana che per immaginare una crescita illimitata degli alberi o un aumento smisurato nella dimensione delle patate. (p.110)

Gli stimoli della fame, l’amore delle bevande alcooliche, il desiderio di possedere una bellissima donna possono spingere gli uomini a certe azioni anche se essi si rendono conto, magari mentre le stanno commettendo, delle conseguenze negative che le stesse avranno per l’interesse generale della società: sopprimete i loro desideri corporali ed essi non esiteranno a scagliarsi contro simili azioni; chiedete la loro opinione su una condotta del genere in altre persone e sentirete come la disapprovano. Ma al momento, sotto la spinta di quegli stimoli materiali, la loro decisione, in quanto esseri formati di anima e corpo, è ben diversa da come sarebbe se essi fossero di puro spirito.[…]
La punizione dell’uomo deve mirare soprattutto a reprimere e a dare esempi: reprime, in quanto isola dalla società degli individui che con le loro cattive abitudini potrebbero nuocerle; dà esempi perché, esprimendo il sentimento della comunità su particolari reati e associando in forma visibile colpa e punizione, offre dei motivi validi per dissuadere altri dal commettere gli stessi errori. (p.113)

Godwin ammette come verità fonda- mentale la superiorità dei piaceri intellettuali su quelli materiali e in questo, considerate tutte le circostanze, potrei anche essere d’accordo con lui, ma non so come si possa far capire questa verità ad un uomo che non i abbia mai provato un piacere intellettuale. Sarebbe come 1 tentare di spiegare ad un cieco la natura e la bellezza dei colori! […]
Tutto ciò che io posso dirgli e che gli uomini migliori e più saggi di tutti i tempi sono stati d’accordo nel preferire di gran lunga i piaceri intellettuali e che la mia personale esperienza concorda in pieno con la loro teoria, che io stesso ho sperimentato quanto siano vani e passeggeri i piaceri sensuali, sempre seguiti da tedio e disgusto, mentre i piaceri intellettuali mi sono sempre sembrati nuovi e stimolanti; che questi hanno riempito di soddisfazioni le mie giornate, dando gusto alla mia vita e donando serenità alla mia mente. (p.115)

XIV p.117

Vivessi mille anni, se restano inalterate le leggi della natura, non ho paura (sarebbe meglio dire speranza) di essere contraddetto dall’esperienza se affermo che nessun sacrificio o sforzo dei ricchi, in un popolo di lunga tradizione, potrà mai mettere le classi più povere della comunità in una situazione uguale, sotto tutti gli aspetti, a quella che godeva il popolo degli stati del Nord America una trentina di anni orsono.
In Europa le classi povere potranno anche essere, ad un certo momento, più istruite di adesso; potranno imparare a spendere il loro poco tempo libero in modo migliore che alla birreria; potranno vivere sotto leggi migliori e più giuste di quelle che ci sono state finora in alcuni paesi; forse potranno anche avere più tempo a loro disposizione: ma è contrario alla natura delle cose che esse possano mai ottenere una quantità tale di denaro o di mezzi di sussistenza che gli permetta di sposarsi in giovane età con la certezza di poter mantenere lautamente delle famiglie numerose. (p.122)

XV p.123

È stato più volte osservato che, anche se non possiamo sperare di raggiungere la perfezione in ogni campo, possiamo ricavare vantaggio guardando a dei modelli il più possibile perfetti: l’osservazione può sembrare vera, ma generalmente non lo è, e lo capiamo da un esempio piuttosto ovvio tratto dalla vita quotidiana. (p.123)

Adam Smith ha osservato, molto giustamente, che le nazioni, come gli individui, si arricchiscono con la parsimonia e si impoveriscono con lo sperpero e che, pertanto, ogni uomo frugale è un amico del suo paese e ogni dissipatore è un suo nemico. (p.124)

XVI p.133

[…] pertanto non si può dire che ogni aumento di capitale e di rendita di una nazione avrà lo stesso effetto positivo sulla condizione dei poveri. (p.140)

XVII p.143

Pertanto, l’unico punto su cui non sono d’accordo con Smith è dove egli ritiene che ogni aumento del reddito o del capitale di una società corrisponda ad un aumento dei fondi che assicurano l’occupazione e di conseguenza contribuisca a migliorare la condizione dei poveri. (pp.143-144)

L’esperienza quotidiana dimostra che il lavoro esercitato nel commercio e nell’industria è abbastanza produttivo per gli individui, ma non lo è in uguale misura per la collettività. (p.146)

Nel progresso naturale di uno Stato verso la ricchezza, le industrie e il commercio con l’estero dovrebbero seguire, come importanza, 1’efficiente coltivazione del suolo, ma in Europa questo ordine universale di valori è stato rovesciato e al suolo viene dedicato il capitale che non trova impiego nell’industria, mentre sarebbe più giusto che nell’industria trovasse impiego il capitale sovrabbondante in agricoltura.(p.147)

[…]abbiamo visto che in ogni paese civile debbono coesistere una classe di proprietari ed una di lavoratori, ma è certo che risulterebbe vantaggioso per tutti un maggiore livellamento delle proprietà. Quanto più grande è il numero dei proprietari, tanto più piccolo risulterà il numero dei dipendenti: una parte maggiore della società sarà pertanto nella condizione felice di chi possiede, mentre solo una piccola parte sarà nella situazione infelice di chi non possiede altro che il proprio lavoro. […]
È indubbiamente scoraggiante pensare di non poter mai rimuovere il grande ostacolo che si oppone ad un vero e reale progresso della società, ma la tendenza del genere umano ad aumentare più della disponibilità di risorse è una delle leggi più stabili della natura e non abbiamo alcun motivo di credere che possa cambiare col tempo. (p.150)

XVIII p.153

Evitare il male e ricercare il bene sembra costituire tutto l’impegno dell’uomo e il nostro mondo offre continue opportunità per un esercizio del genere: è proprio tramite questo esercizio, tramite questi stimoli, che si forma l’intelligenza. Se l’idea di Locke è giusta, e vi sono molte ragioni per pensare che lo sia, il male sembra essere necessario per provocare l’azione, così come l’azione appare necessaria per sviluppare l’intelligenza.
La necessità di cibo per la sopravvivenza spinge probabilmente all’azione più di qualsiasi altro bisogno, fisico o mentale. (p.157)

Il principio di popolazione, cioè la legge secondo cui aumenta la popolazione umana, consente di evitare che i vizi degli uomini o le calamità naturali, cioè i mali parziali derivanti dalle leggi generali, intralcino il grande disegno della creazione. Questo principio mantiene costantemente gli abitanti della terra a livello dei mezzi di sussistenza e agisce sull’uomo come stimolo continuo ed efficace, costringendolo ad estendere la coltivazione della terra, perché possa essere sfamata una popolazione più numerosa. (p.159)

Nello stesso modo, anche se non possiamo aspettarci di vedere bandite dalla società la ricchezza e la miseria, sarebbe nostro dovere ricercare ed adottare un metodo di governo che riducesse il numero di quanti si trovano agli estremi della scala sociale ed aumentasse la classe intermedia. (p.161)

L’esperienza quotidiana ci dimostra che le difficoltà della vita contribuiscono ad affinare le doti dell’ingegno: le azioni che gli uomini devono compiere per mantenere se stessi e le proprie famiglie risvegliano spesso delle qualità che altrimenti sarebbero rimaste latenti per sempre. È stato anche osservato che molte volte situazioni nuove ed impreviste generano ingegni capaci di affrontare quelle difficoltà che esse stesse hanno provocato. (p.162)

XIX p.163

Una distribuzione più uniforme del benessere può fare più male che bene al carattere dell’uomo, perché il cuore che non conosce sofferenze non saprà capire nemmeno i dolori e i piaceri, i bisogni e i desideri degli altri uomini: chi non ha sofferto proprio, raramente avrà quell’esuberanza di amore fraterno, quegli affettuosi sentimenti che elevano il carattere umano anche più del possesso di alte doti di ingegno. (p.163)

Il male esiste nel mondo non per provocare disperazione, ma per spingere all’attività: non dobbiamo subirlo passivamente, ma darci da fare per evitarlo. È non solo interesse, ma dovere di ciascun individuo fare tutti gli sforzi per allontanare il più possibile il male da sé e dalla propria cerchia; quanto più l’uomo esercita questo dovere, quanto più saggiamente dirige i propri sforzi e quanto più questi sforzi saranno coronati dal successo, tanto più egli esalterà e migliorerà il proprio spirito, soddisfacendo nel modo più completo il volere di Dio. (p.172)

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