SINTESI DI STORIA GRECA (PT. 3)

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APOGEO E DECLINO DELLA GRECIA CLASSICA
Nel capitolo precedente abbiamo visto “nascere” la Grecia delle poleis (VIII-VII sec.), osservando una serie di fenomeni che vanno dalla diffusione delle poleis (da quelle oligarchiche come Sparta a quelle democratiche come Atene) passando per migrazioni, tirannidi e riforme. Di guerre non ne abbiamo avuta traccia, eccezion fatta per la conquista del Peloponneso da parte di Sparta. Ebbene, la guerra porterà in soli due secoli la Grecia dapprima al suo massimo splendore, poi alla decadenza (VI-IV secolo). La prima serie di guere da studiare vede opposti i greci a una popolazione straniera, barbara: i Persiani. L’altra, sarà uno scontro fratricida, una guerra civile: la guerra del Peloponneso.

LE GUERRE PERSIANE

L’impero persiano, a seguito delle gesta di Ciro il Grande (538-529, sconfisse ed ereditò l’impero dei Medi) e di Cambise (529-521), vide aumentare enormemente la propria estensione: dalla Persia all’Indo, dal Caucaso all’Egitto, alla Cappadocia.

Dario I (521-485) si adoperò per la riorganizzazione dell’impero (divise l’immenso territorio in venti satrapie), si dedicò al rafforzamento dei confini (spedizioni contro Taci, Geti e Sciti), ma soprattutto tentò di estendere il priprio dominio anche sulla Grecia continentale (oltre che sulle città greche d’Asia Minore già in suo possesso). Il “casus belli” fu fornito a Dario dalle ribellioni delle città ioniche (dell’Asia Minore) greche stanche di dover pagare il tributo al Gran Re e di dover essere governati da uomini (greci) di sua fiducia, di fatto veri e propri tiranni. Nel 500 Aristagora, tiranno di Mileto, dopo aver tentato di conquistare Nasso con la collaborazione del satrapo Artaferne, decise di cambiare schieramento, instaurando una democrazia a Mileto e cercando di esportarla anche nelle altre città greche dell’Asia Minore. Con l’aiuto di Atene (20 navi) e di Eretria (5 navi), la ribellione va in porto (499-498): le tirannidi e i governi filopersiani sono abbattuti e le guarnigioni persiane ivi stanziate espulse. Ma la vittoria fu breve: tra il 497 e il 494 infatti, Dario sottomette di nuovo tutte le città ribelli distruggendo infine Mileto (494). Dario però non si accontenta e comincia da subito a preparare una spedizione punitiva contro Atene ed Eretria che avevano fornito, seppur in maniera limitata, aiuti ai rivoltosi della Ionia nel 498. L’obiettivo di Dario è palese: sfruttare l’occasione per allungare le mani anche sulla Grecia continentale. In breve Artaferne e Dati (i generali persiani) conquistano Nasso, le Cicladi, Delo ed Eretria. Siamo nel 490 e la sola Atene (Platea fornì mille opliti) fu così costretta a fronteggiare i 20.000 persiani sbarcati a Maratona sotto il comando di Dario. 6-7.000 opliti ateniesi si fecero incontro all’esercito del Gran Re, anziché barricarsi in Atene, in base al “decreto di Milziade”, uno degli strateghi ateniesi. La battaglia, grazie all’utilizzo della falange oplitica, fu vinta dagli ateniesi (stando ad Erodoto, che invitiamo vivamente a leggere, sul campo restarono 6.400 persiani contro solo 192 ateniesi! Al di là delle cifre effettive, la vittoria ateniese fu di vasta portata).

In città prevalse la linea politica di Temistocle, in virtù della quale Atene si dotò di una flotta imponente. Nel 482 infatti, scoperti filoni argentiferi a Maronea, si accese una diatriba tra la fazione dei “conservatori” di Aristide (ostracizzato), che volevano il mantenimento dello “status quo” e una pace con i persiani, e quella dei “liberali” di Temistocle che invece volevano un’economia attiva, il riarmo della città e un maggiore coinvolgimento nella vita cittadina dei teti. Prevalse dunque Temistocle. 100 talenti ricavati dalle miniere furono così devoluti alle 100 più ricche famiglie ateniesi che avrebbero dovuto utilizzare il denaro per costruire ciascuna una trireme. Se il lavoro sarebbe stato giudicato insoddisfacente avrebbero dovuto restituire il denaro. Atene si ritrovò così con una flotta ragguardevole. Ma c’era poco da stare allegri. Nel frattempo infatti, il successore di Dario I, Serse (484-464), organizzò una nuova spedizione, ben più consistente per uomini e mezzi di quella di Dario.L’obiettivo era lavare l’onta della sconfitta di Maratona e di sottomettere l’intera Grecia. Siamo nel 480. L’anno precedente (481), riunitisi presso l’istmo di Corinto, i Greci, captato il pericolo, decisero di mettere da parte le divisioni e le faziosità, proclamando la pace generale e richiamando gli esuli (Aristide torna ad Atene). La sola Argo, nemica di Sparta, si proclamò neutrale. I persiani dunque si attestarono in Macedonia con un esercito di circa 100.000 uomini avanzando rapidamente in Tessaglia. La fanteria greca, guidata dal re spartano Leonida si attestò presso le Termopili, la flotta presso l’Artemision.

Le truppe di terra subirono una durissima sconfitta: dei circa 7.000 opliti inviati, 4.000 restarono sul campo nonostante l’eroismo di Leonida, 300 Spartiati e altri 700 opliti Tespiesi. Alla flotta andò decisamente meglio dato che una tempesta, un attacco greco e una strenua difesa ellenica portarono all’affondamento di moltissime navi barbare. Le notizie provenienti dalle Termopili resero inutile il prosieguo dello scontro e così la flotta greca si ritirò dall’Eubea. L’avanzata via terra dei persiani fu così rapida e inarrestabile: Focide, Beozia e Attica furono messe a ferro e fuoco mettendo in ginocchio Atene la cui popolazione fu trasferita a Salamina, Trezene ed Egina in base al “decreto di Temistocle”. La città abbandonata fu così in balia dei persiani che la diedero alle fiamme (nel 480 e nel 479). Proprio a Salamina si attestò la flotta greca (di fatto ateniese) che umiliò quella persiana (e alleati Ionici e Fenici). Serse tornò a Sardi mentre l’esercito persiano svernò in Tessaglia sotto la guida di Mardonio. Gli scontri ripresero nella primavera seguente (479) e l’esito fu favorevole ai greci per terra e per mare: a Platea (in Beozia) infatti l’esercito greco guidato dal re spartano Pausania ottenne una netta vittoria; a Micale (a nord di Mileto) la flotta persiana fu distrutta completamente e i fanti massacrati.
Le guerre persiane si concludono dunque a favore dei greci, per una volta uniti. Ma quest’unità era desitanata a durare poco, complice l’imperialismo di Atene e la “chiusura” di Sparta. È paradossalmente anche il periodo di massimo splendore della Grecia “classica” che vive quello che il grande storico Tucidide ha genialmente definito pentecontaetia, 50 anni preludio della guerra civile.
LA PENTECONTAETIA
Con il termine pentecontaetia si è soliti indicare il cinquantennio che va dalla fine delle guerre persiane (indicata nel 477 con la formazione della Lega navale Delio-Attica) e l’inizio della guerra del Peloponneso. Per Tucidide i fatti accaduti in quell’arco di cinquanta anni eran preludio e gestazione dello scontro tra le due poleis per eccellenza: Atene e Sparta. Da un lato una città aperta (Atene), in espansione (nonostante le devastazioni subite nel 480 e 479), imperialista, aggressiva, audace e intraprendente, dall’altra una città (Sparta) chiusa, conservatrice, “timorosa” del cambiamento (che non a caso aprirà le ostilità).’accordo danneggiando Corinto intervenendo in favore di Corcira colonia corinzia,La crescita, l’espansione di Atene comincia con la creazione della lega navale Delio-Attica (477) grazie alla quale la città attica si pone a capo dei greci della Ionia, dell’Attica e dell’Asia Minore. Chi non può fornire navi (come Samo, Chio, Lesbo) deve versare 460 talenti annui, con il tesoro conservato presso il santuario di Delo. Per quel che concerne la politica cittadina Temistocle, che voleva rafforzare Atene in vista di un probabile scontro con Sparta per la supremazia in Grecia, rimase inascoltato e, completata la ricostruzione delle mura cittadine e avviata quella delle lunghe mura (dall’astu al Pireo), fu ostracizzato (471). Il potere passò quindi al partito di Cimone (figlio di Milziade, eroe di Maratona) che ottenne una vittoria navale e terrestre sui persiani (469), presso l’Eurimedonte, di grande prestigio senza però preoccuparsi di Sparta, ritenuta alleata. Nel 464 la città laconica era stata devastata da un terribile terremoto. Di questa situazione approfittarono gli iloti della Messenia (464-455, 3° guerra messenica). Cimone inviò un contingente in aiuto degli spartani ma, a causa del comportamento ambiguo tenuto dalle truppe ateniesi, dei buoni rapporti di Atene con poleis nemiche di Sparta come Argo, fecero sospettare gli spartani di essere in presenza di una collusione tra gli ateniesi e gli insorti. Gli attici furono così rimandati a casa. Cimone dopo il suddetto clamoroso smacco cadde in disgrazia e fu ostracizzato nel 461. Atene decise inoltre di rompere l’accordo del 481 con Sparta, alleandosi con Argo e accogliendo in Attica gli iloti ribelli e ponendo ai vertici della politica esponenti “democratici” come Efialte (assassinato dopo aver approvato la riforma dell’Aeropago, ridotto a mero tribunale per gli omicidi) e Pericle.[6][6] Pericle di fatto influenzò le sorti di Atene per un trentennio. Fu stratego nel 454, 448-446 e 443-428!
Questi per permettere a tutti di potersi candidare introdusse il salario per gli eletti alla bulè, per i giudici e per i magistrati; gli zeugiti furono poi ammessi all’arcontato. Sotto Pericle Atene raggiunse il suo massimo splendore. Caldeggiò la fondazione della colonia di Turi (in Calabria), incrementò i traffici commerciali, abbellì la città con magnifici edifici tra cui il Partenone e i Propilei, favorì artisti e uomini di cultura come Fidia (scultore), Erodoto (storico), Sofocle (tragediografo). Per quel che concerne la politica estera, questa fu prevalentemente aggressiva e non sempre vincente. La spedizione in Egitto del 460-454, in chiave antipersiana, si risolse in un clamoroso flop, ma l’obiettivo, ambizioso, era quello di conquistare Cipro e di sollevare l’Egitto (grande produttore di grano), ma la sconfitta fu pesantissima. Nel 449 Atene tenterà invano una nuova spedizione a Cipro a seguito della quale sarà firmata la pace di Callia in virtù della quale la Persia si impegnava a non attaccare le città greche dell’Asia Minore e dell’Egeo, gli ateniesi l’Egitto e Cipro. Atene poi si alleò con Megara (appartenente alla lega peloponnesiaca e vicina di Corinto, città di mare non aderente alla lega navale Delio-Attica e fedele alleata di Sparta) scatenando le ire di Corinto e dei peloponnesiaci, con una serie di scontri interrotti nel 445 con la stipula di una pace trentennale. Ma Atene non rispettò imponendo a Potidea, altra colonia corinzia appartenente alla lega Delio-Attica, di non commerciare con la madrepatria espellendo inoltre dai porti delle città della lega tutti i mercanti Megaresi. Il tutto aggravato dal fatto che dal 454 il tesoro della lega navale Delio-Attica era stato trasferito ad Atene e quindi usato a proprio piacimento dagli ateniesi che incameravano i tributi degli alleati ormai ridotti a sottoposti. Come annotò Tucidide fu dunque Atene a fare di tutto per provocare i peloponnesiaci. La risposta di Sparta non si fece infatti attendere e assurta al ruolo di paladina della libertà (contro il dispotismo ateniese) inviò ultimatum ad Atene chiedendo la libertà per Potidea, la rimozione delle limitazioni commerciali imposte a Megara, l’autonomia per le città aderenti alla lega navale e l’espulsione di Pericle.
LA GUERRA DEL PELOPONNESO (431-404)

All’ultimatum spartano Atene rispose negativamente. Sparta e gli alleati peloponnesiaci danno allora il via alle ostilità invadendo l’Attica, in quanto Atene, con i suoi interventi aveva violato la pace stipulata nel 445. Con Sparta (si veda cartina) sono tutti i peloponnesiaci (tranne Argo e gli Achei che restano neutrali), i beoti, i megaresi, i focesi, i locresi; con Atene gli appartenenti alla lega Delio-Attica (e Chio, Lesbo, Cicladi, Corcira, Zacinto, Tracia). Nettamente superiori per terra i peloponnesiaci, per mare gli attici.

La guerra (431-404) può essere divisa in due fasi: 431-421 e 421-404. La prima fase, detta archidamica (dal nome del re spartano, morto nel 427, Archidamo II), segue lo stesso copione: Sparta e alleati invadono l’Attica ma si arrestano di fronte alle grandi mura (progettate da Temistocle). Alla fine del 430 scoppia la peste ad Atene e ne fa le spese lo stesso Pericle che muore nel 429: peste che dissuade i peloponnesiaci a invadere quell’anno l’Attica. Ad Atene emersero la figura di Nicia (conservatore) e di Cleone (radicale propenso alla prosecuzione della guerra). La guerra, cruenta, proseguì tra alterne vicende, senza un evento risolutorio fino al 422 allorchè l’assedio di Anfipoli, in Tracia, precedentemente spartana, portato da Cleone si concluse con la morte del generale spartano Brasida e dello stesso Cleone. La pace di Nicia (421) sancisce lo status quo ante bellum con una tregua cinquantennale (in realtà non accettata da Megaresi, Corinzi e Beoti). Ma mantenere la pace fu impossibile. Piccoli scontri su scala locale si accesero infatti già pochi mesi dopo la stipula del trattato di pace: nel 418 Sparta ha la meglio su di una quadruplice alleanza composta da Argo, Elide, Mantinea e Calcidesi (supportati da Atene). Nel 415, mentre Nicia reprime Melo (devastando la città, sterminando gli uomini e ricedundo i restanti abitanti in schiavitù), l’altro stratego, Alcibiade, ottiene il consenso per una spedizione in Sicilia (415-413) dalla quale ottenere alleati e risorse per proseguire e vincere la guerra con Sparta. L’occasione era data dalla richiesta di aiuto inoltrata da Segesta contro Selinunte e Siracusa (colonie corinzie). Parte un corpo di spedizione imponente, sebbene Alcibiade, giunto a Catania, fosse richiamato ad Atene in quanto accusato di empietà per aver parodiato in casa sua i misteri eleusini (e di aver danneggiato le statue di Ermes la sera della partenza della spedizione). Ma Alcibiade fa perdere le proprie tracce e si rifugia dapprima ad Argo e poi a Sparta! La spedizione siciliana nel frattempo si risolveva in disastro: nessuno supportava gli ateniesi mentre Sparta e Corinto inviarono una spedizione agli ordini di Gilippo: nel 413 Nicia e Demostene (giunto con 5.000 opliti e 73 navi) sono sconfitti sul campo e giustiziati dai siracusani (contro il volere degli spartani), il tutto mentre in Grecia il re spartano Agide II occupava Decelea, 20 Km a nord-est di Atene. Nel 412 Sparta strinse un patto di alleanza con il re persiano Dario II (424-404) con i finanziamenti del quale (in cambio Sparta rinunciava alla protezione dei greci d’Asia Minore) i Lacedemoniallestirono una propria flotta nel momento in cui Atene invece doveva vedersela con le defezioni degli alleati ionici e dell’Asia Mionore (Eubea, Lesbo, Chio, Mileto, Clazomene, Efeso) e vedeva consumarsi il colpo di stato oligarchico (411). Ne è protagonista il trasformista Alcibiade che da Samo, sede della flotta ateniese, induce la città a mutare l’ordinamento cittadino in oligarchico, promettendo con il cambio di regime l’appoggio della Persia. Il potere è così dapprima nelle mani di un consiglio di 400, poi esteso ad un Consiglio di 5.000. Ma l’anno seguente (410) Cleofonte e altri radicali ripristinano il Consiglio dei 500 e le alre cariche democratiche. È questo un periodo di piccoli successi, gli ultimi, con la flotta guidata da Alcibiade (eletto stratego nel 408 e accolto ad Atene da trionfatore) poi però deposto nel 407. l’ultima amara vittoria ateniese è quella delle Arginuse nel 406: 70 navi spartane sono affondate (25 ateniesi) ma il mancato soccorso dei naufraghi provoca scalpore ad Atene e porta all’apertura di un processo agli strateghi condannati a morte. L’anno seguente (405) Lisandro a Egostpotami sbaraglia la flotta ateniese e giustizia 3.000 opliti ateniesi. Gli alleati di Atene defezionano uno dopo l’altro e nel 404 la città si arrende. Corinzi e tebani ne volevano la distruzione e la vendita dei suoi cittadini come schiavi, ma Sparta si limitò a imporre la fine dell’impero ateniese, l’abbattimento (al suono dei flauti) delle mura del Pireo e delle Lunghe Mura, la riduzione della flotta a 12 trireme, l’imposizione di una oligarchia di 30 costituenti (i cosiddetti 30 tiranni) con il compito di redigere le “leggi patrie”. Solo l’intervento di Trasibulo e di altri esuli ripristinò nel 403 la democrazia con Sparta che lasciò fare.
IL PREDOMINIO DI SPARTA E IL DECLINO DELLA GRECIA
La fine della guerra del Peloponneso sancì una situazione di declino per la Grecia: Atene che aveva avuto un’impetuosa espansione nel V secolo raggiungendo il massimo splendore, si trovò ridimensionata con una democrazia più moderata (ripristinata con le armi da Trasibulo) e irrigidita (si veda il processo a Socrate). Sparta d’altro canto che aveva combattuto in nome dell’autonomia e della libertà delle poleis greche non fece altro che sostituirsi al dominio ateniese (favorendo la diffusione di oligarchie un po’ ovunque), dominio che non poteva (e non lo fece infatti) durare a lungo. Troppo chiusa la città, inadeguati gli ordinamenti politici, cui si assommavano la diffusione di corruzione, lusso, ingiustizie, rivalità, disuguaglianze in una decadenza senza eguali (introdotta la proprietà, apertura al commercio). Il declino si realizza per Sparta anche in campo militare. Tra il 400 e il 386 al termine di tre fallimentari spedizioni in difesa dei greci d’Asia Minore, viene firmata la pace di Antalcida (o del Re, 386) in virtù della quale le suddette città passano sotto il controllo persiano. Ma Sparta perdeva colpi anche in Grecia. Dal 392 comincia un lungo scontro con Argo, Corinto (annessa da Argo) e Atene risolto nel 386 con l’aiuto dei siracusani e dei persiani. È il preludio della sconfitta, subita a opera di Tebe e, moralmente, di Atene che nel 377 ricostituisce la lega navale Delio-Attica (“per la pace, per la libertà e per l’autonomia” delle città greche).
LA BREVE EGEMONIA TEBANA (371-362)
Il declino di Sparta è dunque attestato dalla sconfitta subita per mano di Tebe e di Atene. Ma la sconfitta di Sparta servirà solo a indebolire ulteriormente la Grecia che, dopo un’egemonia decennale di Tebe, sarà definitivamente declassata a civiltà di importanza locale. Ribellatisi alle decisioni spartane (Tebe voleva il controllo della Beozia), guidati dai due condottieri Pelopida ed Epaminonda, i tebani combatterono incessantemente Sparta fino allo scontro decisivo di Leuttra (371). Il re spartano Cleombroto aveva invaso la Beozia con 10.000 uomini per imporre a Tebe di rinunciare alla Beozia, ma l’utilizzo in battaglia della falange obliqua da parte di Epaminonda portò alla vittoria dei tebani sui peloponnesiaci, aggravata dalla ribellione della Messenia. Sparta perdeva così un terzo del proprio territorio e si ritrovava senza gli iloti e i prodotti derivanti dal loro lavoro coatto. Tebe non diede respiro ai Lacedemoni: stretta un’alleanza anche con la Tessaglia e l’Arcadia, attaccò annualmente con Epaminonda il Peloponneso. Atene e Sparta si coalizzarono contro Tebe proprio mentre Pelopida moriva sui campi di battaglia della Tessaglia. Lo scontro di Mantinea (362) segna così la fine di Atene, Sparta e Tebe, dal momento che anche Epaminonda restava ucciso sul campo. È il trionfo del particolarismo, nessuna città può prevalere sulle altre e di ciò ne risente l’intera Grecia che declina e passa sotto il controllo dei “montanari” macendoni.

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