Recensione di “Viaggio al termine della notte” di Mario Bonfantini (1933)

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Nella sezione Letteratura contemporanea della rivista Leonardo, anno IV ago-set 1933, Mario Bonfantini recensisce i tre libri che si erano contesi la vittoria al Goncourt nel 1932. Tra questi c’è ovviamente Viaggio al termine della notte di Louis-Ferdinand Céline.



GUY MAZELINE, Les
loups.

Parigi,
Nouvelle Revue

Française,
1932,
in-16 gr., pp. 622, Frs. 15.
 
LOUIS-FERDINAND CÉLINE,
Voyage au bout de la nuit.

Parigi,
Denoel et Steele, 1932, in-16 gr., pp. 624, Frs. 24.
RAMON FERNANDEZ, Le
Pari.

Parigi,
Nouvelle Revue Frarçaise, 1932, in-16, pp. 328, Frs. 15.
Se
è vero che qualche mese di intervallo (un maligno suggerirebbe
qualche anno addi­rittura, ma allora si rischierebbe di trovare
che non è più il caso di farne nulla!) serve molto meglio a
giudicare dei libri contemporanei, una rassegna dei tre romanzi messi
maggiormente in luce pochi mesi or sono dai premi letterari francesi
può riuscire non inutile. Tanto più che ora, scomparso il rumore di
qualche polemica e assestatosi su di loro un giudizio di massima, i
tre libri ci appaiono davvero caratteristici: quasi i rappresentanti
di tre diverse

correnti
o
direzioni
del romanzo francese, e magari anche del romanzo contemporaneo
senz’altro.
Il
premio Goncourt infatti, in questo ideale « emiciclo », rappresenta
una volta di più il
centro,
o magari la « concentrazione di governo », una concentrazione, come
accade, abbastanza eterogenea, e in fondo scarsamente originale
malgrado le molte artificiose apparenze; il li­
bro
di Céline sta invece decisamente per

Vestre­
ma
sinistra;
e
quello di Ramon Fernandez sim­boleggia la

destra
, la
fedeltà più o meno dichia­rata alla tradizione. […]
Tormento
di stile e di linea che non preoc­cupa certo il suo sfortunato
concorrente al premio Goncourt, L. F. Céline, o colui che (a quanto
sembra) sotto tal nome si nasconde. — Qui si narra diritto e filato: una vita, o meglio quasi vent’anni di vita, dai diciotto ai
trenta­cinque, di un nominato Bardamu: studente povero di
medicina a Parigi, in partenza: [sic] poi volontario del ’14 e cinico e
disperato guerriero, poi decorato di guerra, ammattito di spavento
durante
una licenza e ricoverato in un mani­comio di supposti disertori;
poi sperduto nel Senegal, in un assurdo impiego presso una com­pagnia
commerciale; di lì fuggiasco nel Nord-America, dove fa l’operaio da
Ford e quindi il mantenuto d’una gentilissima e appassionata
prostituta americana. Reduce infine in Francia, laureato, e supplente
in una condotta della
banlieue
parigina; per finire vice-direttore e quasi comproprietario di una
casa di salute privata non lungi dalla metropoli… Il protagonista
par­la in prima persona, e ci tiene al corrente di tutto quanto
vede e conosce, di tutta la sua esperienza psicologica durante questo
turbinar di avventure. Una

éducation sentimentale,

dun­
que; ma che
razza di «éducation»!

Voyage au
bout
de la nuit,

s’intitola il libro; [sic] e le esperienze attraverso alle quali si passa
sono le più fosche e terribili: attraverso ad una società nemica o
indifferente, senza pietà con gli umili, coi po­veri, coi
decaduti, attraverso ad una folla mi­serabile e cruda di gente
perduta, Bardamu ar­riva fino in fondo, a mescolarsi
pericolosamente al delitto, a perderne quasi la ragione. Gioca
disperatamente con tutte le forze dell’istinto per tenersi a galla, e
sulla fine miracolosamente si salva. Non mai del tutto solo, però:
come un’ombra al suo fianco in tutta la sua avventura, lo ha seguito,
continuamente e inaspettata­mente riunito a lui dal destino, uno
strano amico, un Robinson, da lui conosciuto in guerra. An­che
Robinson passa le sue stesse traversie; ma, più debole e sbandato,
quasi ottenebrato, muore sulla fine, assassinato da una donna, sotto
gli occhi sbarrati di Bardamu, che vede in lui con terrore la fine di
un suo « alter ego », quasi di un più debole fratello.
Con
quest’ultimo libro siamo arrivati come si vede all’estremità
opposta; non più trama né disegno di composizione alcuna: una serie
di annotazioni senza altro ordine fuorché la suc­cessione
cronologica, impressioni esterne e sparsi
pensieri,
il tutto mescolato alla rinfusa. Un

do­
cumento,
secondo il programma integrale del naturalismo: ma un documento da
cui dovrebbe risultare una visione originale della vita, dramma e
filosofia. Dire che tutto ciò è raggiunto nel libro del Céline
(come del resto in altri libri d’oggi fatti collo stesso sistema),
sarebbe dir troppo: opere siffatte dovrebbero, per andar bene,
assomigliare ad una implacabile raccolta di aforismi; e invece,
procedendo così alla ven­tura, è troppo facile cadere ogni
tanto nella
retorica
verbale. Con tutto ciò questo

Voyage
è forse,
tra i nuovi, il miglior libro del genere: pieno di acre sapore, e di una sorta di lugubre fantasioso umorismo che è la sua qualità più
bella. Ci sono dei punti persino, nei quali la fantasia gioca sui
fatti, con una specie di sati­rica gaiezza che solleva qualche
pagina, oso dire, nell’atmosfera del capolavoro: ci si sente un’eco
del riso di Rabelais, e non è questa dav­vero piccola lode !
Peccato che non tutto sia così: ma c’è da augurar bene per il
futuro.
A
proposito del quale futuro, credo che il lettore avrà già capito la
nostra opinione sulle tre tendenze del romanzo con questi tre libri
illustrate: o si sta attaccati alla tradizione, e allora è un altro
conto, conto sicuro ma un po’ ristretto; o si vuol andar verso il
nuovo, ed al­lora il maggior pericolo è nei compromessi.
Soltanto a un Proust fu concesso tenersi a mezza strada, e
incontrarvi un capolavoro; chi vien dopo non speri troppo di riuscire
a innestare nel tradizionale schema di un regolare disegno i
nuovissimi procedimenti dissolvitori. Potremo sbagliarci, ma gliene
dovrebbero nascere dei mostri : quando si innova si deve avere il
corag­gio di innovar fino in fondo ; magari anche, se è il caso,
«jusqu’ au bout de la nuit»! (pp.376-378)
MARIO BONFANTINI