Rabelais o la giusta crudezza

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Rabelais o la giusta
crudezza 
TRADUZIONE
Stefano Fiorucci e Jeannine Renaux 
Estratti non censurati di
un’intervista del 1958, nella quale Céline, invitato a ricordare
l’autore di Pantagruel, deride l’affettazione che domina da
allora nella letteratura francese.

Intervista di Guy Bechtel

Il 27 novembre 1958,
Louis-Ferdinand Céline rilasciò un’intervista a Guy Bechtel, venuto
assieme a Robert Poulet e allora incaricato di dar vita a un’edizione
per il grande pubblico di Rabelais per il Club del libro. Questa
intervista servì l’anno seguente da prefazione all’opera. Ma fu
molto censurata, e i pezzi in cui Céline usciva dal tema non furono
accettati. Un pasticcio certo perché Céline aveva una lettura molto
poco accademica di Rabelais e che in fondo una sola storia
l’interessava, la sua. Pubblichiamo un estratto di questa intevista,
rispettando la sua asprezza primitiva.
Louis-Ferdinand Céline.
[…] Vedete, con Rabelais, si parla sempre di quel che non si
deve. Si dice, si ripete dappertutto: «È il padre delle lettere
francesi
.» E poi c’è dell’entusiasmo, degli elogi, si va da
Victor Hugo a Balzac, a Malherbe.
Il padre delle lettere
francesi, ah la la! È mica così semplice. In verità Rabelais ha
fatto cilecca. Si, ha fatto cilecca. Non ce l’ha fatta.

Quel che voleva fare, era un linguaggio per tutti, uno
vero. Voleva democratizzare la lingua, una vera battaglia. La
Sorbona, era contro, i dottori e tutto. Tutto quello che era
acquisito e stabilito, il re, la Chiesa, lo stile, era contro.

Non, non è lui che ha vinto. È Amyot, il traduttore di
Plutarco: lui ha avuto, nei secoli che seguirono, molto più successo
di Rabelais. È su lui, sulla sua lingua, che si vive ancora oggi.
Rabelais aveva voluto far passare la lingua parlata nella lingua
scritta: un fallimento. Mentre Amyot, la gente ora vuole sempre e
ancora Amyot, stile accademico. Questo è scrivere di merda: un
linguaggio imbalsamato.

[…]Rabelais ha
veramente voluto una lingua straordinaria e ricca. Ma gli altri,
tutti, l’hanno castrata, questa lingua, fino a renderla tutta piatta.
Così oggi scrivere bene, è scrivere come Amyot, ma questa, è solo
una lingua di traduzione.[…]
Questa è, la peste
moderna del francese: fare e leggere delle traduzioni, parlare come
nelle traduzioni. A me, ci sono delle persone che sono venute a
chiedermi se non avessi preso questo o quel passaggio dei miei libri
da Joyce. Si, me l’hanno chiesto! è logico, perché l’inglese, è di
moda. Io parlo l’inglese perfettamente, come il francese. Andare a
prendere qualcosa in Joyce! No, come Rabelais, ho trovato tutto nel
francese stesso.
Lanson (e non era uno
scemo) dice: «Il francese non è molto artista.» Niente
poesia in Francia; tutto è troppo cartesiano. Ha ragione,
ovviamente, Amyot, ecco un pre-cartesiano, ed è così che tutto è
stato rovinato. Ma non era il caso di Rabelais: un artista.

Rabelais, si, lui ha fallito, e Amyot ha vinto. I
discendenti di Amyot, sono tutti quei romanzetti castrati che escono
ai giorni nostri presso le migliori case editrici. Migliaia all’anno.
Ma, di romanzi così, io posso farne uno all’ora.

Eppure, non si pubblica che quello, dov’è l’eredità di
Rabelais, la vera letteratura? Scomparsa. La ragione ne è chiara.
Bisognerebbe comprendere una volta per tutte (basta verecondia!) che
il francese è una lingua volgare, da sempre, dalla sua nascita al
trattato di Verdun. Solamente questo, non si vuole accettarlo e si
continua a disprezzare Rabelais.

«Ah! è rabelesiano!» si dice a volte. Questo vuol
dire attenzione, non è delicata, quella roba lì, manca di
correzione. E il nome di uno dei nostri più grandi scrittori è così
servito a forgiare un aggettivo diffamatorio. Mostruoso! Perché era
un tipo molto forte, Rabelais, scrittore, medico, giurista… Ha
avuto delle seccature, il povero, anche da vivo: passava il suo tempo
a cercare di non essere messo al rogo.

No, la Francia non può
più comprendere Rabelais: è diventata preziosa. Questo qui è
terribile a pensarci, avrebbe potuto essere il contrario, la lingua
di Rabelais avrebbe potuto diventare la lingua francese.

Ma restano solo servitori, che ascoltano il padrone e
vogliono parlare come lui. Viva l’inglese, il ritegno liscio!

Rabelais, mi direte, sente un po’ il sistema: si
insomma, questo tipo, è stato braccato dalla persecuzione cattolica,
faceva breccia tra i potenti. Si, puzzava di eresia, quello che
faceva.

Ecco l’essenziale di quello che volevo dire. Il resto
(immaginazione, potere di creazione, comico, etc.), non m’interessa.
La lingua, solo la lingua. Ecco l’importante. Tutto quello che
d’altro si può dire, si trascina ovunque. Nei manuali di
letteratura, e poi leggete l’Enciclopedia. Se ne volete [sapere] di
più, andate a chiedere a tutti quei grandi scrittori che, loro,
hanno «delle idee su Rabelais». Ah ! Ne conosco…
Montherlant, tie’, si prenderà la testa tra le mani… I ragazzi
impegnati, che… Vi dirà con serietà sicuramente qualcosa come :
«Io, ho consacrato tanti anni a Rabelais.» Anche Mauriac deve avere
delle idee su Rabelais : «Rabelais, ah!, che prodigioso
inventore di parole!»[,] vi dirà.

Quelli là sono solo dei
chiacchieroni ! Attenetevi piuttosto a quello che è
interessante in Rabelais: la sua intenzione un po’ demagogica di
attirare il pubblico parlando come lui, [lo] capisco, io, Rabelais,
era medico e scrittore, come me. Si vede, solo la crudezza. Era un
buon anatomista del resto e, cosa prodigiosa per l’epoca, operava
già. Si, ha pure inventato un apparecchio chirurgico.

Non doveva credere molto in Dio, ma non osava dirlo. Del
resto, non è finito male, non ha avuto supplizio. È stato dopo, il
supplizio, quando si è accademizzato il francese che si parlava per
farne una letteratura da diploma e da licenza elementare.

Robert Poulet. Si
è fatto un francese magro, mentre si aveva un francese grasso.

L.-F. C. Peggio: scheletrico. Pure Balzac non
l’ha resuscitato. È la vittoria della ragione.

La ragione! Bisogna essere pazzi! Non si può fare
niente così, tutto castrato. Mi fanno ridere. Guardate quello che li
contraria[,] non si è mai riuscito a fare «ragionevolmente» un
bambino. Niente da fare. C’è bisogno di un momento di delirio
durante il coito.

Ma no, in letteratura, bisogna restare puliti. Allora
oggi si mettono delle file di puntini quando succede qualcosa. E poi
continua molto tranquillamente come qui: «La duchessa l’indomani…
la contessa… gli invitati al ricevimento… alle cinque.» Com’é?

R. P. « La
duchessa esce alle cinque. »

L.-F. C. O si… Oh! non raccomando l’erotologia,
mi disgusta, ma quello che è terribile è questo linguaggio troppo
educato.

Quello che effettivamente c’è di buono in Rabelais, è
che metteva la sua pelle sul tavolo, rischiava. La morte incombeva su
di lui, e la morte ispira! È la sola cosa che ispira[,] io lo so,
quando sta lì, subito dietro. Quando la morte è in collera.

Non era uno che si gode la vita, Rabelais, si dice, è
falso. Lavorava. E come tutti quelli che lavorano, era un forzato del
lavoro. Avrebbero volentieri voluto catturarlo, condannarlo. Avere i
preti al culo, era come la morte.

Altre galere, quelle del papa, è successo, è vero. E
là, ragazzi, bisognava che remassero, ne vedevano, come direbbe
Duhamel. Anche Bardamu, il mio protagonista nel Voyage, lo
direbbe. Ah!, gli imperfetti del congiuntivo…

Ho avuto nella mia vita lo stesso vizio di Rabelais. Ho
passato anch’io il mio tempo a mettermi in situazioni disperate. Mi
sono reso accuratamente odioso. Come lui, non ho niente da aspettarmi
dagli altri. Non ho che da aspettarmi gli sputi di tutti.

Si sbraita ancora, a
Meudon. Il sindaco, tutti, vogliono la mia pelle. Mettono ancora
delle sconcezze nella mia cassetta della posta. Sui muri, ci scrivono
anche… Contro Céline, il pornografo… Bella roba, il vostro De
Gaulle. Avete visto il suo buzzo, a De Gaulle ? È grosso, è
grosso. C’è qualcosa. Sta per crepare, con un pancione come quello.
Tutto marcio, là dentro. Deve avere un cancro, un coso così…
Era a Londra durante la
guerra. Il caviale, insomma… Io, ho sofferto. A Sigmaringen, curavo
i ragazzi. Solo io volevo… Déat, Abetz… Non mi si ama, e
tuttavia mi sono sacrificato. Mi hanno preso il mio appartamento, un
tizio di De Gaulle. Un colonnello. Hanno venduto tutto al mercato
delle pulci : tre camion di traslochi. E la prigione : due
anni in Danimarca. Sofferto, si… La mia ex-moglie non ha mai voluto
rivedermi. Mia figlia neanche. È sposata, ha sei figli. Non è mai
ritornata. Ah ! non è fiera di essere la figlia di Céline… È
gente perbene, insomma… La sua nascita, non se ne parla: è stata
senza dubbio solo un piccolo incidente. Nel frattempo, io, vecchio,
povero, mangio giusto una patata la sera. Non rimpiango nulla! Non mi
pentirò mai!
Che vita, ma me ne frego.
Il Camerun, dove stavo per crepare… L’America, tutto… Non amo
quelli che viaggiano oggi. I turisti… Non vanno a vedere niente.
Assoulatemente niente. Volete che vi dica!
Sapete che vanno a vedere
quando viaggiano ? Il loro cazzo, nient’altro che il loro cazzo.
Si viaggia per andare a chiavare altrove. Ah! il culo delle postine!
E la loro passera? Questa, è una parola che sta in Rabelais. Più
volte. […]