LUIS SEPULVEDA – IL GENERALE E IL GIUDICE

LUIS SEPULVEDA – IL GENERALE E IL GIUDICE
TEA – Collana SAGGISTICA TEA – I ed Settembre 2006
[La locura de Pinochet]

TRADUZIONE
Ilide Carmignani

***Ultimo libro letto a Canepina(VT)***

UN ABITANTE DELLA MIA MEMORIA p.9

Gli articoli raccolti in questo libro sono nati i dall’indignazione e dall’impotenza. Durante i due anni, o quasi, in cui Pinochet era agli arresti a Londra, gli sforzi del giudice spagnolo Baltasar Garzón avevano aperto un piccolo spiraglio alla più legittima delle speranze: il dittatore poteva essere processato per i suoi crimini sin troppo evidenti. Ma alla fine questo non è successo e, con lo scandaloso appoggio del governo cileno, Pinochet se n’è tornato trionfante a casa. Il criminale è rimasto ancora una volta impunito. Ancora una volta si è sputato sulla memoria delle vittime. (p.9)

1 – SCOTLAND YARD p.19

2 – IL GENERALE DIETRO LE SBARRE p.23

Quando ho sentito la notizia alla radio, ero sull’autostrada vicino a Udine: i freni si sono messi a stridere, gli automobilisti dietro di me mi hanno insultato, ma che importava?
Il dittatore agli arresti. Pinochet. Per qualche I minuto, per qualche ora, magari per anni. Privato di una libertà che non merita, perché il posto dei criminali, dei delinquenti, è il carcere.
Come tutti i cileni che hanno subito la sua superbia, la sua personalità patologica, ho accolto anch’io la notizia con gioia, e quando ho saputo delle proteste del governo cileno, l’ira ha un po’ appannato la felicità di immaginare il tiranno che balbettava timide parole da vigliacco. (p.23)

Augusto Pinochet agli arresti. Che notizia memorabile. Gli offro quello che io non ho avuto, quello che nessuna delle sue vittime ha avuto: sono pronto a pagargli un avvocato che lo difenda e gli garantisca un processo giusto, nel pieno rispetto della sua integrità. (p.24)

3 – LA BESTIA ALLE STRETTE p.25

Durante questi giorni tesi in cui, con evidente soddisfazione e grande inquietudine, ci siamo goduti le immagini del tiranno privato della sua libertà, abbiamo anche visto come si è fatto liberamente ricorso all’eufemismo per giustificare quanto non è giustificabile. (p.25)
Il grande pericolo per la stabilità politica e la pace sociale del Cile si chiama «modello economico neoliberista», si chiama «darwinismo economico», si chiama «cultura del si salvi chi può’ », e il feticcio che incarna tale pericolo è il vecchio che l’ha imposto con il sangue e la tortura. Minaccia ugualmente la stabilità e la pace sociale la cavernicola destra cilena, rappresentata da personaggi come Cardemil, che propone la formazione di un governo di unità nazionale (o salvezza nazionale?) da cui sarebbero escluse tutte le forze di sinistra e di centro che hanno appoggiato l’eventuale processo al tiranno.
Il maggior pericolo per la curiosa democrazia cilena è costituito dalla mera possibilità che Pinochet ritorni trionfante in Cile, perché in tal caso fungerà ancora una volta da fattore di aggregazione per la destra più retrograda del continente americano, e polarizzerà le posizioni in seno alla debole coalizione governativa, fra quanti si metteranno dalla parte del pinocheti- smo, dopo averlo applaudito per otto anni controvoglia, e quanti, eredi bene o male di una tradizione democratica di sinistra, hanno osato proporre una riforma costituzionale che restituisca ai cittadini il diritto di eleggere liberamente i loro parlamentari, affrancandoli dall’odiosa tutela dei senatori designati o a vita.
Finché Pinochet occuperà la sua poltrona di senatore a vita, finché continuerà a essere protagonista della realtà politica come ricordo vivo dell’orrore, come garante della permanenza del modello economico e come freno a qualunque iniziativa volta alla partecipazione sociale, in Cile non esisterà la minima stabilità politica e la democrazia sarà solo una triste farsa.
Finché Pinochet e i cinquecentotrentuno uomini in uniforme citati nel rapporto Rettig come torturatori, sequestratori, assassini di oltre quattromila cileni non riceveranno la sanzione – il castigo che un’azione porta con sé, anche quando non è imposto dalla legge – della loro piena identificazione come colpevoli, la pace sociale sarà un’irraggiungibile utopia per i cileni. (pp.26-27)

Così, finché il Cile non ritroverà anche l’ultimo dei suoi desaparecidos, finché non si saprà quando e come è morto, chi sono i suoi assassini e soprattutto dove sono i suoi resti, la ferita rimarrà aperta, ed è compito degli uomini onesti tenerla aperta e pulita, perché quella ferita è la nostra memoria storica. (pp.28-29)

4 – CILE: UN PAESE, DUE LINGUAGGI p.31

E solo un processo al tiranno e ai suoi complici dimostrerà ai cileni che la democrazia non è semplicemente una condizione occasionale, uno spazio ceduto da chi detiene il potere, un vuoto d’impunità, ma un valore che si fonda sul coraggio civico e civile. (p.33)

[…]bisogna sapere che in Cile non ci sono soltanto due linguaggi, ma anche due paesi: uno è quello dei vincitori, che o hanno tratto vantaggio da uno stato in cui tutti i diritti sindacali e sociali erano stati conculcati e dove bastavano il sospetto e la delazione per licenziare, incarcerare, assassinare, esiliare, o si sono accontentati delle briciole, strombazzando in cambio eufemismi come regime militare, eccessi, autoritarismo e, nel caso più deplorevole, erigendosi a profeti che avevano avuto sentore del fallimento istituzionale durante il governo di Allende. L’altro Cile è quello dei perdenti, tema di insigni scrittori come Baldomero Lillo, Nicomedes Guzmàn o Manuel Rojas, il Cile di quanti osarono sognare la loro piccola rivoluzione e la pagarono carissima, ma quelli che sono sopravvissuti sognano ancora oggi una giustizia libera da eufemismi, il diritto di di re pane al pane e vino al vino.
Non esiste essere più vile di quello capace di affermare che non è mai stato né con i vincitori né con i vinti, e che insiste a ripeterlo dalla sua unica tribuna possibile, come buffone al banchetto dei vincitori. (p.34)

Il Cile, un paese diviso e due linguaggi. Per alcuni, la giustizia si chiama giustizia; per altri, l imprevedibili conseguenze del modello economico. Per alcuni, la campagna è la tenuta di famiglia in cui passano Testate; per altri, è la terra dove per generazioni si sono spezzati la schiena a lavorare. Alcuni parlano di flessibilità del lavoro, altri subiscono lo sfruttamento e la mancanza di diritti. (pp.36-37)

5 – LA FRATTURA E IL RANCORE IN CILE p.39

6 – UN CANCELLIERE CON L’ALZHEIMER POLITICO p.43

7 – POVERO CILE, È IL TUO CIELO TURCHINO p.47

Il senatore a vita può tornare e il suo rientro viene annunciato proprio alla vigilia delle elezioni presidenziali. (p.47)

Vista la decisione del ministro degli interni britannico è possibile che Pinochet torni in Cile, liberato per ragioni umanitarie, e che restino frustrate le speranze delle vittime, dei familiari dei desaparecidos, delle organizzazioni per la difesa dei diritti umani. Sarebbe il grande trionfo dell’impunità, si stabilirebbe un pericoloso precedente grazie al quale ogni individuo responsabile di crimini contro l’umanità può addurre problemi di salute per invocare ragioni umanitarie ed eludere l’azione della giustizia.
Se Pinochet tornerà in Cile, lo farà da trionfatore, riceverà onori da guerriero vittorioso e indomito che non ha mai meritato, e rimarrà protagonista della futura politica cilena fino al giorno della sua morte.
Solo un ingenuo o un impostore potrebbe supporre che abbandonerà volontariamente il suo posto di senatore a vita; per questo è necessaria una riforma costituzionale e, nell’ipotetico caso che si realizzasse, Pinochet correrebbe il rischio di perdere il privilegio grazie al quale è al sicuro dalla giustizia cilena.
Povero Cile, condannato a sopportare una pioggia di spazzatura. (pp.51-52)

8 – CILE: GIUSTIZIA CONTRO VIGLIACCHERIA p.53

Ma nell’altro Cile, quello degli sconfitti, ci sono ancora donne e uomini che insistono sull’onestà, sull’ostinato costume umano della giustizia. E questo il caso del giudice Guzmàn, l’uomo di legge che ha osato puntare il dito contro Pinochet indiziandolo di crimini atroci. E questo giudice, come tutto il Cile degli sconfitti, può disporre solo delle armi della ragione.
L’altro Cile, invece, ha un vero e proprio arsenale al suo servizio. Ha la minaccia malavitosa e costante delle forze armate, una casta parassitarla, ingiustificata in una nazione di appena tredici milioni di abitanti, che divora più del quindici per cento della spesa pubblica e che negli ultimi centotrent’anni ha combattuto solo contro il proprio popolo inerme. Ha un corpo di senatori designati che paralizza qualunque proposta legislativa a favore della giustizia, e ha addirittura un senatore a vita, il tiranno in persona, trasformato in tribuno di un parlamento pseudodemocratico. (p.56)

Il duello giustizia contro vigliaccheria dimostra come il muro che divide il Cile degli sconfitti che vogliono giustizia, dal Cile dei vincitori che esigono vendetta e chiedono la testa del giudice Guzmàn, sia più forte e più alto del muro di Berlino. (p.57)

9 – IL LINGUAGGIO DELLE OSSA p.59

10 – NELLA SOLITUDINE DELLA MONEDA p.65

Il grosso problema della transizione cilena sono le vittime, che continuano a chiedere giustizia. La dittatura non le ha mai ascoltate, così come non le hanno ascoltate i socialisti e i democristiani nei loro dieci anni di governo. Una legge de punto final darebbe per conclusa la transizione cilena alla democrazia e le vittime diventerebbero un gruppetto di persone stravaganti ancorate al passato. (p.66)

11 – L’INFAME STORIA DELL’INFAMIA p.69

«Parla come un proprietario terriero. » Dicono così i cileni di chiunque si esprima con la prepotenza e la sfrontata vanità del potere. J proprietari terrieri, i latifondisti creoli, e anche ; quelli forestieri giunti nel corso di successive emigrazioni in un paese che accoglie sempre lo straniero a braccia aperte, stabilirono una forma unilaterale di espressione che consisteva nel dare ordini verbali con l’appoggio dello scudiscio, la frusta per cavalli, che imparò a sfogarsi sulla pelle degli umili. Alcuni storiografi che parlano come proprietari terrieri assicurano che in Cile ci fu una borghesia illuminata, aperta al dialogo e progressista. Non è vero, non c’è mai stata. Tanto l’oligarchia terriera, proprietaria delle miniere, quanto quella che grazie alla semplice introduzione della macchina a vapore si trasformò in borghesia detentrice del plusvalore generato dagli operai, sono sempre state rozze, retrograde e assolutamente servili nei confronti di qualunque dominazione straniera. Non hanno mai avuto il senso dello stato. In loro, ha sempre prevalso il miserabile spirito degli encomenderos, dei colonizzatori.
Con lo stesso tono da proprietario terriero, si insiste a indicare nel quotidiano « E1 Mercurio » e nella famiglia Edwards i rappresentanti di questa borghesia illuminata che non è mai esistita. Niente di più falso. Sin dalla sua fondazione oltre un secolo fa, « E1 Mercurio » è stato il portavoce – certo non dei princìpi, perché non ne hanno – delle quaranta famiglie che detengono il potere economico e dei loro soci stranieri. Hanno imposto lo stile di comunicazione del proprietario terriero, violento, basato non su aperte menzogne, ma su sistematiche alterazioni e aggiustamenti della realtà ai propri interessi di classe.
La storia del Cile è scritta in un linguaggio da proprietario terriero. E un’infame storia dell’infamia, un’ininterrotta contraffazione delle sue pagine più nere, dove il ruolo di protagonista è riservato ai capoccia dei proprietari terrieri: le forze armate cilene. (p.70)
Il vero compito della carovana della morte fu seminare il terrore, un terrore inconfondibile e inequivocabile, tra la popolazione e gli ufficiali dell’esercito con velleità o tendenze costituzio- naliste. La carovana della morte fece del terrore l’unico metodo della dittatura e assicurò alla classe dominante un paese dominato, tranquillo, socialmente scisso, giuridicamente sottomesso agli ordini militari, così da poter ripristinare lo stile del colonizzatore, del proprietario terriero, che era stato messo pericolosamente in discussione dal progresso culturale e sociale dei mille giorni del governo popolare, della rivoluzione pacifica guidata da Allende.
In un Cile in letargo dal punto di vista sociale, con il terrore insediato in ogni casa, con le strade proibite durante le ore di coprifuoco, fu facile intraprendere il primo grande esperimento neoliberista e fu altrettanto facile dichiararne il successo. (p.75)

La destra cilena, rozza e cieca, non aveva la minima intenzione di lasciare il potere garantito dalla dittatura, non pensò mai di indire le elezioni, di ritornare a una sorta di normalità democratica, e fu la megalomania di Pinochet, la sensazione di impunità permanente radicata nelle forze armate, a farle accettare l’idea di un plebiscito che, date le caratteristiche di una società dominata e domata dal terrore, supponeva vinto fin dall’istante stesso del suo bando.
Ma, e questa è una delle grandi materie che aspettano quanti in futuro si incaricheranno di scrivere la storia vera, malgrado il terrore e gli sgozzamenti, malgrado i desaparecidos, malgrado la tortura e l’esilio, ci furono migliaia di cileni che tennero in vita la fiamma della legittima resistenza, del dovere di opporsi con tutti i mezzi, comprese le armi, alla tirannia, e furono queste cilene e questi cileni, specialmente le milizie rodriguiste, a sconfiggere il tiranno, che a denti stretti dovette confessare il proprio fallimento. (p.76)
L’apparente contraddizione fra la destra, i militari e la Concertación Democràtica (composta in gran parte da democristiani, più socialisti convertiti al neoliberismo) non era altro che una lotta fra diverse proposte per amministrare lo stesso modello economico. […]
Così l’impunità si eresse a forma di convivenza al potere e l’amnesia si trasformò in ragion di stato. (p.77)

12 – LA FOLLIA DI PINOCHET: NESSUNO CREDE AL GENERALE p.81

La difesa di Pinochet ha costruito la sua strategia su cinque pilastri, che sono crollati uno dopo l’altro: ha provato, attraverso alcuni esami medici, a farlo dichiarare incapace di sostenere un processo per ragioni puramente patologiche, nel senso più ampio del termine, ma si è scontrata con la debole e tuttavia esistente legislazione cilena che esime dalla responsabilità penale solo i pazzi e i dementi riconosciuti, cioè gli alienati mentali la cui patologia è stata certificata da un medico, visto che è più difficile dimostrare di essere pazzi che non il contrario.
Poi la difesa di Pinochet ha tentato di falsare la diagnosi formulata da cinque specialisti, secondo la quale l’ottuagenario primate soffriva di «demenza vascolare da lieve a moderata» […] (p.81)
Pochi giorni or sono, questa omertosa camorra cilena ha avuto un gesto di generosità verso le vittime e ha concesso ragguagli sulle sorti di duecento desaparecidos. Ma stranamente non ha fatto cenno di cosa accadde a queste persone, quando, come e dove furono uccise, chi ne ordinò la morte e in base a quali capi d’accusa. La generosità maliosa della lami- glia militare cilena riconosce soltanto, con la naturalezza di chi parla di mele cadute dall’albero, che furono gettate in mare o nei laghi della cordigliera o nei fiumi del sud del paese.(p.82)

È bene dire, inoltre, che la riunione del COSENA non ha ottenuto quanto si era prefissa (l’applicazione, assoluta, generale, senza alcun tipo di restrizioni, della legge di amnistia – proclamata a suo tempo dalla stessa dittatura per autoassolversi – a Pinochet e agli oltre quaranta ufficiali sottoposti a processo o a indagine giudiziaria)[…] (p.83)

A questo si univano le ultime raccomandazioni a Pinochet: non doveva rispondere a nessuna domanda del giudice, appellandosi alla facoltà di non rispondi dere. Ma con grande disperazione degli avvocati difensori, Pinochet non ha resistito al silenzio e ha deciso di scagionarsi da solo facendo quello che sa fare meglio, mentire, e con le sue menzogne ha buttato giù l’ultimo dei pilastri su cui si reggeva la sua difesa. (p.84)

« Questa è la sua calligrafia? » ha chiesto appena sette giorni fa il giudice Guzmàn, e Pinochet in via del tutto eccezionale ha risposto con una grande verità, ha detto sì, mentre i suoi avvocati vedevano crollare la tesi mille volte propugnata, secondo la quale Pinochet non è mai stato a conoscenza di assassini!, fucilazioni o esecuzioni di massa. (p.85)

Pinochet ha smesso di negare gli assassinii di massa, ma ha scaricato la colpa sui suoi subalterni. […]
Qualche ora fa il giudice Guzmàn ha incriminato Pinochet, che adesso è agli arresti domiciliari. (p.86)

13 – APPUNTI PER VIVERE CON L’ASSENZA p.89

Ne sentiamo la mancanza perché osavano proporre un’esistenza migliore di quella del gregge. (pp.90-91)

Avevano sognato che la felicità di tutti era possibile. Avevano sognato di creare una legge giusta, davanti alla quale saremmo stati tutti uguali. E avevano osato far diventare realtà i sogni, perché quelli di cui sentiamo la mancanza, senza tante storie né pavoneggiamenti, avevano raggiunto la dimensione superiore dell’essere umano, per questo ne sentiamo la mancanza: perché erano rivoluzionari. (p.91)

Quelli di cui sentiamo la mancanza non han- | no statue nei parchi, ma sono in salvo nella me- | moria. […]
Di loro, uomini e donne, ci restano appena alcune foto che non vogliono essere oggetto di
un pianto rituale. (p.92)

14 – ATTREZZATURA PORTATILE PER RICONOSCERE GLI AMICI E I NEMICI DELLA LETTERATURA p.95

15 – SCUSI, DON MIGUEL p.103

16 – <<CARLITOS COMES BACK>> p.107

17 – NOSTALGIE DEL SIGNORE IN SOPRAMMANICHE p.113

18 – LE PAROLE E LA RAGIONE p.117

19 – NON PIANGERE PER ME, ARGENTINA p.121

20 – PERCHÉ SCRIVO? p.127

Non sono incline a perdermi nei vecchi dubbi che tormentarono e fecero riflettere gli antichi filosofi, né ad avvertirne altri se non quelli necessari ad avanzare sull’unica strada che sento possibile, la strada della scrittura, la barricata a cui sono arrivato quando tutte erano state ormai spazzate via, quando già pensavo che non ci fosse più posto per la resistenza. Da Gui- maràes Rosa ho imparato che «raccontare è resistere» e su questa barricata della scrittura resisto agli assalti della mediocrità planetaria, la mostruosa proposta unica di esistenza e cultura che incombe sull’umanità alla svolta del millennio.
Per questo scrivo, per la necessità di resistere davanti all’impero dell’unidimensionalità, della negazione dei valori che hanno umanizzato la vita e che si chiamano fraternità, solidarietà, senso di giustizia. Scrivo per resistere all’impostura, alla frode di un modello sociale in cui non credo, perché non è vero che la cosiddetta «globalizzazione» ci avvicina e finalmente permette a tutti gli abitanti della terra di conoscersi, intendersi e capirsi. (pp.127)
Scrivo per amore delle parole che amo e per l’ossessione di dare un nome alle cose a partire
da una prospettiva etica ereditata da un’intensa | pratica sociale. Scrivo perché ho memoria e la coltivo scrivendo della mia gente, degli abitanti emarginati dei miei mondi emarginati, delle i mie utopie derise, dei miei gloriosi compagni e compagne che, sconfitti in mille battaglie, continuano a preparare i prossimi combattimenti senza paura delle sconfitte.
Scrivo perché amo la mia lingua e in lei riconosco l’unica patria possibile, perché il suo territorio non conosce limiti e il suo palpito è un continuo atto di resistenza. (pp.128-129)

21 – GIORNATE DI LOTTA p.131

Pinochet fu arrestato a Londra durante il mandato di Eduardo Frei, il secondo presidente «democratico» dopo la dittatura, la cui amministrazione fu caratterizzata dal mantenimento delle atroci leggi del tiranno e dalla tutela dei patti stretti con lui alle spalle del popolo. Era quindi evidente che sarebbe stato lo stesso
governo cileno a difendere con più accanimento il dittatore e a opporsi alla sua estradizione in Spagna.
Alla fine Pinochet riuscì a farsi beffe della giustizia e a tornare trionfante in Cile. Ma non contava sul fatto che l’esempio del giudice Bai- s tasar Garzón sarebbe stato seguito da colleghi j cileni, e i suoi difensori si videro costretti a ricorrere al più miserabile dei trucchi, dichiararlo malato di mente, pazzo, per sfuggire ancora j una volta alla giustizia. (pp.132-133)
Purtroppo dobbiamo riconoscere che non riuscimmo a far estradare Pinochet in Spagna, dove Io aspettava un processo giusto e con tutte quelle garanzie che le sue vittime non avevano avuto. Ma ho la certezza che i nostri articoli furono apprezzati da quelli che soffrivano, da quelli che soffrono, da quelli che conservano la speranza e ripetono che un altro mondo è possibile. (p.134)il giudice e il generale-1 il giudice e il generale-2