LEWIS CARROLL – ALICE NEL PAESE DELLE MERAVIGLIE e ATTRAVERSO LO SPECCHIO

*****Dedico il riassunto di questo libro a Valentina Paolacci… con la speranza di aver svolto un dignitoso lavoro… 🙂 *****

— Tanti, troppi refusi… —

**…Ultimo libro letto in un posto di mare prima del trasferimento in uno di montagna…**

LEWIS CARROLL – ALICE NEL PAESE DELLE MERAVIGLIE e ATTRAVERSO LO SPECCHIO
Alice’s Adventures in Wonderland – Through the Looking-Glass

NEWTON COMPTON EDITORI – Collana: Paperbacks Cult – Febbraio 2014

PREMESSA
Simona Vinci

INTRODUZIONE E NOTE
Paola Faini

ILLUSTRAZIONI
Sir John Tenniel

ALICE NEL PAESE DELLE MERAVIGLIE
Traduzione di Paola Faini

ATTRAVERSO LO SPECCHIO
Traduzione di Adriana Valori-Piperno

ALICE NEL PAESE DELLE MERAVIGLIE
Simona Vinci p.7

LEWIS CARROLL: LA VITA E LE OPERE
Alessia Polli p.23

I PERSONAGGI E I LUOGHI DEI ROMANZI
Paola Faini p.28

ALICE NEL PAESE DELLE MERAVIGLIE p.33

Nel meriggio tutto d’oro
Dolcemente ci lasciamo scivolare[…]
Ah, mie tiranne! Proprio in quest’ora
Di sognante languore, chiedete una storia […]
Cala il silenzio improvviso su loro,
e a passo d’elfo rincorrer potranno,
come in un sogno, una bimba che esplora
un mondo insolito, meraviglioso,
parla agli uccelli e agli animali –
E vero sembrerà, se crederci vorranno.[…]
Un paese delle meraviglie è così nato:
pian piano, storia dopo storia,
dinanzi ai nostri occhi s’è formato –
Finita è l’avventura,
e verso casa felici ritorniamo,
guardando il sole, or ora tramontato.

Alice! Accetta questa favola infantile,
e deponila con mano gentile
là dove i sogni innocenti
presto s’intrecceranno a un mistico ricordo,
come ghirlande di fiori ormai appassiti
colti dai pellegrini nei più remoti siti. (pp.35-36)

I – NELLA TANA DEL CONIGLIO p.37

Seduta in riva al fiume, Alice si annoia terribilmente mentre la sorella legge un libro. Ma ecco che d’improvviso le passa davanti un coniglio bianco dagli occhi rosa. Parla, va di fretta e tira fuori dal taschino un orologio. Incuriosita lo segue, vedendolo sparire nella sua tana…

Quand’ecco che improvvisamente le passò accanto di corsa un Coniglio Bianco con gli occhi rosa. […]
Tuttavia, quanto il Coniglio tirò fuori un orologio dal taschino del panciotto, lo guardò, e poi riprese a correre, Alice saltò in piedi, perché d’un tratto le era venuto in mente di non aver mai visto prima un coniglio con il panciotto, e neppure con l’orologio. Incuriosita, lo rincorse per il prato, e fece appena in tempo a vedere che si infilava in una grossa tana, sotto la siepe. (p.37)

Senza esitazione alcuna, Alice, che lo aveva fin lì inseguito, si lascia cadere nella tana. La discesa in essa sembra non aver mai fine, con scaffali e oggetti appesi alle pareti…

Un attimo dopo anche Alice gli andò dietro, senza fermarsi neppure un momento a pensare come avrebbe fatto a riuscirne.[…] e si trovò a precipitare giù per quel cunicolo profondo. (p.38)

Pensa molto durante la discesa e parla tra sé come sua abitudine. Vorrebbe avere lì la gatta Dina, ma a poco a poco la sonnolenza si fa strada in lei. Ma proprio poco prima che il sonno la colga, eccola toccare il fondo…

Sentì che stava per addormentarsi […]quando all’improvviso, bum!, atterrò su un mucchio di foglie secche. Era arrivata alla fine della sua caduta. (p.39)

Illesa, segue ancora il misterioso e frettoloso coniglio che perde però di vista entrando in una stanza bassa e lunga piena di porte chiuse a chiave…

L’aveva quasi raggiunto quando svoltò l’angolo, ma il coniglio era scomparso. Si ritrovò in una stanza lunga, bassa, illuminata da una fila di lampade che pendevano dal soffitto.
La stanza era piena di porte, ma erano tutte chiuse a chiave. (p.39)

Nessuna di esse si apre, neanche provandoci con una chiave trovata su un tavolino a tre zampe posto al centro della stanza…

D’un tratto si imbatté in un tavolinetto a tre gambe, di vetro spesso. Non c’era nulla sopra, tranne una minuscola chiave dorata, e il primo pensiero di Alice fu che forse era di una delle porte della stanza; ma, ahimè!, o le serrature erano troppo grandi, o la chiave era troppo piccola; e comunque, non ne apriva nessuna. (p.40)

Poi scorge però una tenda che cela una porticina alta circa trenta centimetri. La chiave funziona e dietro la porta scorge un meraviglioso giardino. Ma non può di certo accedervi senza rimpicciolire…

Tuttavia, al secondo giro, arrivò davanti a una tenda che prima non aveva notato, e dietro la tenda c’era una porticina alta sì e no trenta centimetri. Infilò la minuscola chiave dorata nella serratura, e con gran gioia scoprì che era quella giusta!
Alice aprì la porta, e vide che dava su un piccolo corridoio, poco più largo di una tana di topo: si inginocchiò e al di là del corridoio scorse il giardino più bello che avesse mai visto. Quanto desiderava uscire da quella stanza buia, e passeggiare tra le aiuole fiorite e le fresche fontane; ma non riusciva a infilare neppure la testa dentro la porticina[…] (p.40)

Mentre pensa al sistema di allungarsi e rimpicciolire come un cannocchiale, Alice scorge sul tavolo una bottiglietta con un’etichetta con su scritto “BEVIMI”. Non trovando indicazioni sulla sua possibile tossicità, la ragazzina decide quindi di assaggiarla, finendo per berla tutta…

In un attimo la finì tutta (p.41)

Ed eccola rimpicciolire!…

Ed era proprio così: ormai era alta appena venticinque centimetri[…] (p.41)

Poco dopo decide di tornare alla porticina per attraversarla ma, giunta lì, si accorge di aver dimenticato la chiave sul tavolo, ora impossibile da raggiungere per via delle sue ridotte dimensioni…

Dopo un po’, visto che non succedeva niente, decise di raggiungere il giardino; ma ahimè, povera Alice! Quando arrivò alla porticina, scoprì di aver dimenticato la minuscola chiave dorata. Tornò al tavolo per prenderla, ma ormai era impossibile arrivarci[…]

Dopo vani tentativi, affranta, inizia a piangere e a parlare da sola facendosi coraggio…

[…]e quando fu stanca di far tentativi, la poverina si mise seduta a terra e cominciò a piangere. «Suvvia, non serve a nulla piangere così!», si disse Alice, bruscamente, «ti consiglio di smetterla subito!». In genere si dava degli ottimi consigli (anche se raramente li seguiva), e qualche volta si rimproverava con tanta severità che le venivano le lacrime agli occhi[…] (p.41)

Poco dopo eccola trovare una scatolina contenente un dolce con su scritto «MANGIAMI», cosa che fa senza esitazione…

II – UN LAGO DI LACRIME p.43

Alice diventa così alta tre metri e, presa la chiave, si butta in terra aprendo la porticina. Può però solo guardare il giardino con un occhio. Inizia così nuovamente a piangere…

Proprio in quel momento la testa le urtò contro il soffitto della stanza: ormai era alta quasi tre metri, afferrò subito la minuscola chiave dorata e corse verso la porta del giardino.
Povera Alice! Tutto quello che riuscì a fare fu stendersi su un fianco e, attraverso la porta, dare uno sguardo al giardino con un occhio solo: riuscire a passare era ormai una speranza irrealizzabile, sedette a terra e ricominciò a piangere.(p.43)

Date le dimensioni attuali, dalle copiose lacrime versate si crea in breve un laghetto al centro della stanza…

Ma continuò lo stesso, spargendo litri e litri di lacrime, finché tutt’intorno a lei si formò un lago profondo quasi dodici centimetri e grande fino al centro della stanza. (p.43)

Ma ecco tornare il Coniglio Bianco con un ventaglio e guanti bianchi di camoscio. Lo chiama, ma quello, spaventatosi, fugge via perdendo gli accessori che recava seco. Alice resta nuovamente sola interrogandosi sulla propria personalità. Chi è? È ancora lei o qualcuna delle sue amiche? Forse l’ignorante Mabel? Si sente sola e piange ancora fino a che si accorge di aver infilato chissà come un minuscolo guanto del Coniglio e che… il ventaglio l’ha fatta rimpicciolire!…

«Allora chi sono? Prima ditemelo, e poi, se mi piacerà essere quella persona, tornerò su; altrimenti, resterò qui finché diventerò qualcun altro»… […]
Così dicendo, si guardò le mani, e fu stupita di vedere che, mentre parlava, aveva infilato uno dei guantini bianchi del Coniglio.[…]
[…]si stava ritirando velocemente: scoprì ben presto che la causa di tutto ciò era il ventaglio che teneva in mano, e allora lo lasciò subito cadere, appena in tempo per evitare di scomparire del tutto. (p.46)

Corre verso la porta, ma la trova chiusa e con la chiave ancora sul tavolino. Finisce per scivolare nel lago di lacrime…

E corse più veloce che poteva verso la porticina: ma, ahimé!, la porticina era di nuovo chiusa, e la chiave dorata era sul tavolo di vetro, proprio come prima[…] (p.46)
Mentre pronunciava queste parole le scivolò un piede e in un attimo, plonf!, si ritrovò nell’acqua salata, che le arrivava fino al mento. (p.47)
Scoprì ben presto che quello era un lago, il lago delle lacrime versate quando era alta tre metri. (p.47)

Nuota lì dentro fino a che si avvede della presenza di un topo, finito anch’esso in acqua. Alle sue domande non risponde, ma quando gli parla in francese si avvia una conversazione. Ma finisce per spaventarlo parlandogli prima di Dina e dei gatti, poi dei cani Terrier, tutti nemici dei topi. Alla fine però il topo si calma, promette di narrarle la sua storia, e la invita ad uscire assieme agli altri animali che nel frattempo sono finiti in acqua…

Era proprio ora di uscire, perché il lago era ormai pieno di uccelli e animali che vi erano caduti dentro: c’erano una Papera e un Dodo, un Pappagallino e un Aquilotto, e molte altre strane creature. Alice fece strada a tutto il gruppo e nuotò fino a riva. (pp.48-49)

III – LA CORSA CONFUSA E LA STORIA CON LA CODA LUNGA p.50

Il pittoresco gruppo si raduna fradicio sulla riva: come asciugarsi? Il topo promette un metodo efficace per “seccare”, ma finisce per raccontare la storia di Guglielmo il Conquistatore al termine della quale non sono di certo più asciutti…

Era proprio uno strano gruppo quello che si radunò sulla riva[…]
Il primo problema, naturalmente, era come riuscire ad asciugarsi[…] (p.50)

Il Dodo propone allora di cimentarsi in una Corsa Confusa. Il rimedio funziona e, dopo mezz’ora, eccoli tutti asciutti…

Tuttavia, dopo aver corso per una mezz’ora circa, tutti erano asciutti […] (p.51)

Ma chi ha vinto, gli chiedono? Il Dodo ci pensa su e poi dice che hanno vinto tutti. Il premio dovrà assegnarlo Alice che distribuisce confetti e riceve per se un suo stesso ditale…

Alla fine il Dodo disse: «Hanno vinto tutti, e tutti dovranno ricevere un premio». «E chi darà i premi?», chiesero in coro. «Ma lei, naturalmente», rispose il Dodo, puntando un dito verso Alice; […] (p.52)

Alice chiede poi al topo di raccontare ancora, magari la storia promessa sul perché odi cani e gatti…

Ad ogni modo alla fine tutto si concluse, e sedettero di nuovo in cerchio, pregando il Topo di raccontare un’altra storia. (p.52)

Questi inizia con una poesia sui cani cacciatopi, ma un appunto sulla forma del testo avanzato da Alice fa sì che egli se ne vada. Alice vorrebbe avere lì con sé Dina per andarlo a riprendere, ma così dicendo spaventa tutti gli altri pennuti che uno alla volta se ne vanno presto seguiti dagli altri animali. Alice si ritrova così nuovamente sola, piange, ma ecco dei passi in avvicinamento…

Con i pretesti più vari se ne andarono tutti, e ben presto Alice si ritrovò da sola. […]
E così dicendo la povera Alice ricominciò a piangere, perché si sentiva molto sola, e profondamente abbattuta. (p.54)

IV – IL CONIGLIO E LA LUCERTOLA p.55

È il Coniglio che avanza in ansiosa ricerca di guanti e ventaglio. Per empatia anche Alice si mette alla ricerca di quegli oggetti da lei avuti precedentemente in mano, fino a che lui la nota e, scambiatala per la governante Marianna, le intima di andare a casa sua a prendergliene degli altri. La ragazza, ancora di bassa statura, esegue entrando così in casa di “Coniglio B.”…

Era il Coniglio Bianco, che se ne tornava indietro trotterellando pian piano, e si guardava attorno con ansia, come se avesse perso qualcosa. […]
Alice intuì subito che cercava il ventaglio e i guanti bianchi di camoscio, e per solidarietà cominciò anche lei a cercarli, ma non c’erano da nessuna parte – pareva che tutto fosse cambiato dopo la nuotata nel lago, e la grande sala, con il tavolo di vetro e la porticina, era completamente svanita.
Ben presto il Coniglio si accorse di Alice, che era tutta intenta nella sua ricerca, e la chiamò con tono irritato: «E allora, Marianna, che ci fai qui? Corri subito a casa, e prendimi un paio di guanti e un ventaglio! Presto, di corsa!».[…]
Mentre si diceva queste parole, arrivò a una linda casetta che aveva sulla porta una targa di ottone con inciso il nome CONIGLIO B. (p.55)

Li trova ma, bevuto da una bottiglietta priva di etichetta, cresce tanto da non poter più riuscire a muoversi…

Nel frattempo era arrivata in una stanzetta ben ordinata con un tavolo davanti alla finestra, e sul tavolo (come aveva sperato) c’erano un ventaglio e due o tre paia di minuscoli guanti bianchi di camoscio: prese il ventaglio e un paio di guanti, e stava per uscire dalla stanza, quando le cadde lo sguardo su una bottiglietta accanto allo specchio. (p.56)

Infelice per la sua nuova triste condizione, Alice inizia a parlare da sola fino all’arrivo del Coniglio che, chiedendo dei guanti, sale. Ma la porta è bloccata dal gomito della gigantesca Alice e così l’animale prova invano a salire dalla finestra, respinto dal braccio della bambina cresciuta…

Continuò così, parlando e rispondendosi da sola, una conversazione davvero speciale; ma dopo qualche minuto sentì una voce da fuori, si interruppe per ascoltare. «Marianna! Marianna!», diceva la voce. «Portami subito i guanti!». (p.57)

Il Coniglio obbliga allora il giardiniere, la tonta lucertola Bill, a tentare di entrare dalla cappa fumaria. Ma Alice lo fa volare via con la gamba infilata nella cappa. Da fuori le lanciano dei sassi che, trasformatisi in pasticcini e mangiati, le consentono di rimpicciolire e di sfuggire alla caccia degli animali radunatisi fuori in attesa…

Così mangiò un pasticcino, e con grande gioia scoprì che cominciava subito a rimpicciolire. Appena fu abbastanza piccola da passare dalla porta, corse fuori dalla casa, e trovò una vera folla di animaletti e uccelli in attesa. […] Tutti si precipitarono verso Alice non appena apparve; ma lei corse via a perdifiato, e ben presto si ritrovò in un fitto bosco, sana e salva. (p.59)

Vagando nel bosco si fa dei propositi:

«La prima cosa da fare», si disse Alice mentre vagava nel bosco, «è di tornare alla mia vera statura; e la seconda è trovare il modo di arrivare a quel delizioso giardino. Credo che questo sia il piano migliore». (p.59)

Strada facendo si imbatte in un cucciolo di cane, per lei enorme date le attuali ridotte dimensioni, che distoglie facendolo giocare e stancare con un bastone. Fuggita indenne, si ferma nei pressi di un fungo sulla cui sommità giace pacifico un bruco, intento a fumare un narghilè indifferente a tutto quanto lo circonda…

Si allungò tutta, in punta di piedi, e fece capolino sopra il bordo del fungo. I suoi occhi incontrarono in quell’istante quelli di un grande bruco azzurro, seduto in cima al fungo, a braccia conserte, intento a fumare tranquillamente un lungo narghilè. Il bruco non degnava di uno sguardo né lei né quel che c’era intorno. (p.60)

V – I CONSIGLI DEL BRUCO p.61

Dopo un po’ il bruco le chiede chi sia, ma lei, confusa per le innumerevoli trasformazioni subite, non sa rispondergli. L’altro non capisce e così si genera in breve un’incomprensione che porta Alice ad allontanarsi…

Il Bruco e Alice si guardarono per un po’ in silenzio: alla fine il bruco si tolse di bocca il narghilè e si rivolse a lei con voce languida e assonnata. «Chi sei?», le domandò. (p.61)

Il Bruco la richiama dandole in consiglio di non perdere mai la pazienza. Le chiede quindi perché si senta cambiata, poi le fa recitare una filastrocca che lei sbaglia a dimostrazione del suo cambiamento. Si irrita poi quando lei le dice di voler essere più grande, di sicuro almeno più alta di sette centimetri e mezzo, sua attuale statura (e stessa del bruco). Con lentezza il Bruco se ne va dicendole da lontano che il fungo da un lato l’allungherà, dall’altro l’accorcerà. Alice ne stacca due parti e, mangiando quello che tiene nella mano destra rimpicciolisce, poi le si allunga il collo dopo aver mangiato una parte di quello che tiene nella mano sinistra…

Poi scese dal fungo, e strisciò via tra l’erba, limitandosi a commentare, mentre si allontanava: «Un lato ti allungherà, l’altro lato ti accorcerà».[…]
Ma alla fine lo circondò con le braccia ben tese da un lato e dall’altro, e ne staccò un pezzettino con una mano e un pezzettino con l’altra.[…] (p.64)

In cielo un piccione la scambia per un serpente a caccia di uova. Solo dopo molti tentativi Alice riprende le sue dimensioni originali. Parla tra sé dicendosi che metà del suo piano è realizzato. Le manca ora solo di entrare nel giardino…
Raggiunta una radura con in mezzo una casa alta un metro, si riduce la statura a venti centimetri mangiando parte di fungo rimpicciolente. Poi si avvicina ad essa…

Dopo un po’ si ricordò che aveva ancora in mano dei pezzetti di fungo, e allora cercò di morderne un po’ di qua e un po’ di là, accorciandosi e allungandosi, finché riuscì a tornare alla sua solita altezza.[…]
[…]riprese a parlare tra sé, com’era sua abitudine: «Suvvia, metà del mio piano è realizzato![…]
Ma ecco fatto, sono tornata alla mia statura: adesso non mi resta che entrare in quel bel giardino – chissà come ci riuscirò?».
Mentre lo diceva, si ritrovò all’improvviso in una radura, con una casetta di appena un metro. «Chiunque ci viva”, pensò Alice, «non avrebbe piacere di incontrare una persona di questa statura: di sicuro si spaventerebbe a morte». Così dette un morsetto al pezzo di fungo che teneva nella mano destra, e solo quando si ritrovò alta una ventina di centimetri decise di avvicinarsi alla casa. (p.67)

VI – PEPE E PORCELLINO p.68

Alice resta in attesa, indecisa sul da farsi, fino all’arrivo di un valletto-pesce in livrea che, bussato alla porta, consegna una grossa lettera al valletto-rana che gli apre. È l’invito della Regina per la Duchessa ad una partita di croquet…

Il Pesce-Valletto tirò fuori da sotto il braccio una lettera enorme, grande quasi quanto lui, e la porse all’altro, dicendo con tono solenne: «Per la Duchessa. Un invito della Regina a una partita di croquet». (p.68)

Alice si allontana un po’ per andare a ridere delle buffe parrucche dei Valletti. Al ritorno trova seduto in terra il Valletto-Ranocchio, bussa alla porta, ma quello le dice che nessuno le aprirà perché lui è lì fuori e dentro fanno troppo rumore per sentirla. L’umana chiede allora come poter entrare, ma l’altro è assorto nei suoi pensieri: quanti giorni resterà seduto lì fuori? D’un tratto la porta si apre lasciando uscire un piatto. Poco dopo Alice si decide e, aperta la porta, entra ritrovandosi un una cucina dove ci sono la Duchessa, intenta a cullare un bambino, una cuoca, impegnata a preparare una zuppa piena di pepe, e un grosso gatto ghignante…

La porta immetteva direttamente in una grande cucina, tutta piena di fumo: la Duchessa era seduta proprio in mezzo, su uno sgabello a tre gambe, e cullava un bambino; la cuoca era china sul fuoco, e rimestava in un gran pentolone che doveva esser pieno di zuppa. (p.70)

Il felino attira l’attenzione di Alice che chiede il perché del suo perenne sogghignare. Perché è del Cheschire, le risponde la Duchessa. La conversazione prosegue, quando d’un tratto la cuoca scaglia di tutto contro la padrona e il figlio. Alice le intima di fare attenzione, provocando però le ire della Duchessa che culla il bambino strattonandolo al termine di ogni strofa della filastrocca che gli va recitando. Poi lancia il bambino ad Alice dovendo andarsi a preparare per la partita a croquet con la Regina…

«Tieni! Cullalo un po’, se vuoi!», disse la Duchessa ad Alice, lanciandole il bambino. «Io devo andare a prepararmi per la partita di croquet con la Regina», e così dicendo si precipitò fuori della stanza. (p.72)

Il bambino si trasforma però a poco a poco in porcellino e così Alice lo lascia andare nel bosco, dove scorge su un ramo il gatto del Cheschire…

[…]rimase un po’ stupita vedendo il Gatto del Cheschire seduto sul ramo di un albero a qualche metro di distanza. (p.73)

A lui chiede come andarsene, ma quello le risponde giustamente che dipende da dove voglia recarsi. Altrimenti basta camminare in una direzione qualsiasi. Alice indica allora due direzioni domandandogli degli abitanti. Il Gatto le risponde che da un lato abita il Cappellaio Matto, dall’altro la Lepre Marzolina, entrambi matti. Del resto tutti sono matti, lui compreso che, prendendo a modello il comportamento dei cani, pensa di esser tutto sballato. Ed anche lei dev’esserlo di certo per essersi avventurata fin lì…

«In quella direzione», disse il Gatto, indicando con una zampa, «vive un Cappellaio; e in quella», e indicò con l’altra zampa, «vive una Lepre Marzolina. Fa’ visita a chi vuoi: tanto sono matti tutti e due».
«Ma io non voglio andare in mezzo ai matti», protestò Alice.
«Oh, non puoi evitarlo», disse il Gatto, «qui sono tutti matti. Io sono matto. Tu sei matta».
«Come fai a sapere che sono matta?», domandò Alice.
«Devi esserlo», rispose il Gatto, «altrimenti non saresti venuta qui». (p.74)

Poi scompare dandole appuntamento al campo di croquet. Torna però per chiederle del bambino. Alice lo aspetta per qualche minuto, poi si muove in direzione della dimora della Lepre Marzolina. Giunta in vista dell’enorme casa, mangia un po’ del fungo che la fa crescere di mezzo metro…

Era una casa talmente grande che non si fidò di avvicinarsi troppo finché non ebbe mangiato un po’ del pezzo di fungo che teneva nella mano sinistra, allungandosi di mezzo metro[…] (p.76)

VII – UN TÈ DA MATTI p.77

Sotto un albero, con un ghiro addormentato come cuscino, ecco la Lepre e il Cappellaio intenti a prendersi un tè. Alice si siede senza invito dando il via a conversazioni in parte astiose e strampalate…

Davanti alla casa, sotto un albero, c’era una tavola apparecchiata, e la Lepre Marzolina e il Cappellaio erano lì che prendevano il tè. Tra loro era seduto un Ghiro, profondamente addormentato, che gli altri due usavano come cuscino, e tenendoci poggiati i gomiti sopra chiacchieravano tranquillamente.[…]
Il tavolo era grande, ma quei tre se ne stavano vicini vicini in un angolo. «Non c’è posto! Non c’è posto!», esclamarono vedendo Alice che si avvicinava. «Posto ce n’è in abbondanza!», replicò Alice indignata, e sedette in una grande poltrona a un capo del tavolo. (p.77)

Un indovinello senza soluzione… e l’orologio del Cappellaio, fermo, che segna solo i giorni ma va indietro di due. Lui e il Tempo, spiega, hanno litigato, ma fino a poco prima erano amici. Mentre cantava al concerto di gala, pochi giorni addietro, la Regina lo interruppe accusandolo di star ammazzando il Tempo che da allora è fermo alle sei. Ora del tè perenne per loro che girano intorno alla tavola cambiando di posto…

«E da allora», continuò in tono lugubre il Cappellaio, «il Tempo si rifiuta di farmi anche il più piccolo piacere! Ormai sono sempre le sei del pomeriggio».[…] «È sempre l’ora del tè, e non c’è mai il tempo di lavar nulla tra un tè e l’altro». «E così girate intorno al tavolo, no?», disse Alice.
«Proprio così», rispose il Cappellaio, «man mano che usiamo le tazze». (p.80)

Svegliato il Ghiro, si fanno raccontare da lui una storia che però Alice interrompe in continuazione per chiedere spiegazioni. Dopo un cambio di posto, invitata a non parlare più dal Cappellaio dopo l’ennesima interruzione, Alice se ne va addentrandosi nel bosco. Scorta una porticina in un albero, la apre entrandovi. Si ritrova nuovamente nel corridoio dove, presa la chiave dal tavolino e aperta la porticina, mangiando il fungo rimpicciolente può finalmente entrare nel bel giardino…
Un tono così brusco era più di quanto Alice potesse sopportare: si alzò profondamente disgustata, e se ne andò.[…]
«Mai e poi mai tornerò in quel posto!», disse Alice, avviandosi verso il bosco. «È il tè più stupido al quale abbia mai partecipato in vita mia!».
Proprio mentre diceva queste parole, notò che uno degli alberi aveva una porta che consentiva di entrarci dentro. «Che stranezza!», pensò. «Ma oggi è tutto strano. Tanto vale entrarci dentro». E così fece.
Ancora una volta si ritrovò nel lungo corridoio, vicino al tavolinetto di vetro. «Dunque stavolta starò più attenta», si disse; prima di tutto prese la chiave dorata, e aprì la porta che dava sul giardino. Poi cominciò a mordicchiare il fungo (ne aveva conservato un pezzetto in tasca) finché fu alta sì e no trenta centimetri, quindi percorse il piccolo corridoio, e finalmente… si ritrovò nel bel giardino, tra aiuole dai molti colori e fresche fontane. (p.83)

VIII – IL CAMPO DA CROQUET DELLA REGINA p.85

Entrata nel giardino, Alice si imbatte in tre giardinieri, carte da gioco 2, 5 e 7 di picche, intenti a verniciare di rosso delle rose bianche. Devono farlo, le rispondono, perché la Regina di Cuori farebbe loro tagliare la testa volendo solo rose rosse…

Vicino all’entrata del giardino c’era un grande cespuglio di rose: vi crescevano dei fiori bianchi, ma c’erano tre giardinieri tutti indaffarati a dipingerli di rosso.[…]
«Be’, vede signorina, il fatto è che questo doveva essere un cespuglio di rose rosse, ma per errore ne abbiamo piantato uno di rose bianche; se la Regina dovesse scoprirlo, ci farebbe tagliare la testa a tutti e tre. […] (p.85)

Ma ecco il corteo della Regina giungere in vista e sfilare poi di fronte ad Alice (che scorge il Coniglio). La Regina si ferma e le chiede chi sia. Poi si infuria quando non sa dirle chi siano i tre distesi faccia a terra. Compreso di che si tratta, la Regina ordina di farli decapitare, ma Alice li nasconde in un vaso…

Quando il corteo arrivò davanti ad Alice, tutti si fermarono a guardarla, e la Regina disse, con tono severo: «E questa chi è?».[…]
«E questi chi sono?», domandò la Regina indicando i tre giardinieri distesi accanto al cespuglio di rose[…] (p.86)
«Come posso saperlo io?», disse Alice, sorpresa di scoprirsi tanto ardita. «Non è affar mio».[…]
«Ho capito!», disse la Regina, che nel frattempo aveva guardato ben bene le rose. «Tagliate la testa a tutti e tre!», e il corteo riprese ad avanzare, mentre tre soldati restavano indietro per giustiziare i tre sfortunati giardinieri, che corsero a rifugiarsi accanto ad Alice.
«Non sarete decapitati!», disse Alice, e li infilò in un grosso vaso da fiori lì accanto. I tre soldati li cercarono per un po’, poi sene andarono via tranquillamente e si riunirono al corteo. (p.88)

Poi si unisce al Corteo invitata dalla Regina a giocare a croquet. Al suo fianco si ritrova a camminare il Coniglio che le risponde che la Duchessa è stata condannata a morte ed è per questo assente, rea di aver tirato le orecchie alla Regina che l’aveva rimproverata per esser giunta in ritardo…

«Bene!», urlò la Regina. «Sai giocare a croquet?».
I soldati rimasero zitti, e fissarono Alice, giacché la domanda evidentemente era rivolta a lei. (p.88)

Il gioco ha inizio tra il caos generale e stramberie varie (ricci come palle da gioco, soldati come porte, fenicotteri come mazze, buche ovunque)…

Alice pensò che in tutta la sua vita non aveva mai visto un campo da croquet più strano: era pieno di solchi e di buche: le palle erano dei porcospini vivi, le mazze erano fenicotteri e i soldati, piegati ad arco e con mani e piedi poggiati a terra, formavano le porte. (p.89)

Dopo un po’ Alice pensa a un modo per squagliarsela, quand’eccola scorgere il gatto del Cheshire. Parla con lui che fa apparire la testa ma, quando quello rifiuta di baciare la mano del sopraggiunto sovrano, la punizione decretata dalla Regina è la decapitazione…

Si guardò attorno per cercare una via di scampo, chiedendosi se sarebbe riuscita a filar via senza esser notata, quando vide una strana apparizione nell’aria: in un primo momento rimase perplessa, ma dopo averla osservata per un paio di minuti capì che era un ghigno e si disse: «È il Gatto del Cheshire: almeno ora potrò parlare con qualcuno»[…] (p.90)
«Chiamerò io stesso il boia», s’affrettò a dire il Re, e corse via.(p.91)

Alice prova a riprendere la partita, poi torna dal gatto attorno al quale si è radunata una folla ed è in corso una disputa…

Tornata dal Gatto del Cheshire, fu sorpresa di vedere che una discreta folla gli si era radunata intorno; era in corso una discussione tra il boia, il Re la Regina; parlavano tutti insieme, mentre gli altri se ne stavano zitti, e sembravano molto a disagio. (p.91)

Non si può decapitare una testa senza corpo, afferma il boia. Per il re ciò è invece possibile. La Regina minaccia di far decapitare tutti i presenti se non faranno qualcosa. Chiedono allora ad Alice che suggerisce di far decidere la Duchessa, padrona del gatto. Ma mentre il boia e il Re la vanno a chiamare, il Gatto svanisce… Re e Boia si mettono a cercarlo mentre la partita riprende…

IX – LA STORIA DELLA FINTA TARTARUGA p.93

La Duchessa si mette a braccetto di Alice obbligandola a tenere viva una conversazione in cui per ogni argomento trova una morale…

«Ma che dici, piccola!», replicò la Duchessa. «In ogni cosa c’è una morale, basta saperla trovare». (p.93)

Trovatasi di fronte la Regina, la Duchessa è costretta a fuggire, mentre Alice riprende il gioco…

La Duchessa pensò bene di sparire in un baleno.
«Riprendiamo il gioco», disse la Regina ad Alice che, troppo spaventata per replicare, la seguì sul campo. (p.95)

Dopo un po’, stanca di giocare, la Regina le chiede se conosca la Finta Tartaruga. Alice risponde negativamente, e così si propone di accompagnarla ad ascoltarne la storia…

Poi la Regina, ormai senza fiato, si stancò di giocare, e disse ad Alice: «Hai già incontrato la Finta Tartaruga?».[…]
«Allora vieni», ordinò la Regina, «così sentirai la sua storia». (p.95)

Strada facendo si imbattono in un grifone addormentato che la sovrana sveglia incaricandolo di portare Alice dalla Finta Tartaruga…

«Svegliati, pigrone!», esclamò la Regina, «e porta questa signorina dalla Finta Tartaruga, ad ascoltare la sua storia. […]»
Dopo un po’ videro in lontananza la Finta Tartaruga, seduta sola soletta su una piccola sporgenza di roccia; mentre si avvicinavano, Alice la sentì sospirare, come se le si spezzasse il cuore.[…]
«Questa fanciulla», disse il Grifone, «vuole conoscere la tua storia».[…]
«Un tempo», disse finalmente la Finta Tartaruga, con un profondo sospiro, «io ero una vera Tartaruga». (p.96)

Lentamente e tra continui interruzioni e rimproveri ad Alice per le domande, inizia a raccontare la sua storia di quando era una vera tartaruga (di mare). Lo fa partendo dalle lezioni di scuola elencando le pittoresche materie di studio. Poi il Grifone le chiede di passare a raccontare dei giochi…

«Adesso raccontale qualcosa dei giochi». (p.100)

X – LA QUADRIGLIA DELLE ARAGOSTE p.101

Tra lacrime e singhiozzi eccoli a raccontarle e mostrarle la Quadriglia delle Aragoste. Tocca poi ad Alice raccontare, e lo fa narrando quanto capitatole fin lì dalla mattina dopo aver seguito il Coniglio Bianco nel sottosuolo…

«Suvvia, sentiamo qualcuna delle tue avventure».[…]
Così Alice cominciò a raccontare le sue avventure dal momento in cui aveva incontrato il Coniglio Bianco. (p.104)

Su richiesta di Alice la Tartaruga canta ancora un’altra canzone. Ma l’avviso dell’inizio del Processo (a chi?, chiede Alice…) fa sì che il Grifone la porti via subito…

«Andiamo!», esclamò il Grifone, prese Alice per mano e corse via, senza neppure aspettare la fine della canzone. (p.106)

XI CHI HA RUBATO LE PASTE? p.107

Il processo vede come imputato il Fante di Cuori, accusato di aver rubato le paste della Regina (che però sono lì, intatte, sul banco!)…

Quando arrivarono, il Re e la Regina di Cuori erano seduti sul trono, circondati da una gran folla – ogni specie di uccellini e animali, e anche tutto il mazzo di carte: il Fante era davanti a loro, in catene, sorvegliato da due soldati, uno a destra e uno a sinistra; e accanto al Re c’era il Coniglio Bianco, con una tromba in mano e un rotolo di pergamena nell’altra. Proprio in mezzo alla Corte c’era un tavolo, con sopra un gran piatto di paste[…] (p.107)

Il primo teste chiamato a deporre è il Cappellaio, seguito dalla cuoca della Duchessa. Ma nessuna delle due deposizioni dà informazioni in merito al presunto furto. A sorpresa la terza chiamata a deporre è… Alice!. Lei che nel frattempo ha preso a ingrandirsi…

Immaginate la sua sorpresa, quando il Coniglio Bianco, con tutta la forza che la sua vocina gli consentiva, esclamò il nome di “Alice!”. (p.111)

XII – LA TESTIMONIANZA DI ALICE p.112

Ma anche Alice, che nell’alzarsi in piedi fa cadere i giurati, non sa nulla in merito alla vicenda. Non sono forse lì davanti le paste? Vorrebbero cacciarla per la sua statura, ma lei rimane. Il Coniglio legge poi un foglio anonimo, da poco rinvenuto, in cui è scritta una poesia. Ma è un incomprensibile nonsense. Alice finisce per contraddire ancora la Regina che vuol allora farla decapitare. Ma ecco che l’umana si risveglia tra le braccia della sorella cui racconta tutte le sue avventure…

«Tagliatele la testa!», urlò la Regina con quanto fiato aveva. Nessuno si mosse.
«A chi credete di far paura?», disse Alice (che ormai aveva raggiunto la sua statura normale). «Siete solo un mazzo di carte!».
A queste parole tutto il mazzo roteò in aria, e ricadde addosso ad Alice, che lanciò un gridolino, un po’ di paura e un po’ di rabbia, e cercò di scuotersele di dosso, e poi si ritrovò distesa sulla riva del fiume, con la testa poggiata sul grembo della sorella, che stava pian piano togliendole dal viso alcune foglie secche cadute dagli alberi.(p.118)

Alice corre via a prendere il tè, mentre la sorella, rimasta lì, chiude gli occhi rivivendo le avventure della piccola immaginandosi nel Paese delle Meraviglie. Poi li riapre, prefigurandosi un’Alice adulta e sognatrice, intenta ad allietare i bambini con storie fantastiche…

Ma la sorella rimase seduta lì dopo che Alice fu andata via, poggiò la testa sulla mano, guardò il sole che tramontava, e pensò alla piccola Alice e a tutte le sue meravigliose avventure, finché anche lei cominciò a sognare[…] (p.118)
Rimase seduta, a occhi chiusi, e per un attimo le parve di essere nel paese delle meraviglie, anche se sapeva che non avrebbe dovuto far altro che riaprirli, i suoi occhi, e tutto sarebbe tornato alla solita banale realtà[…]
Infine, cercò di immaginare come la sua sorellina, con il passar degli anni, sarebbe diventata donna; e come avrebbe conservato, anche nella maturità, l’animo semplice e tenero dell’infanzia; e come avrebbe riunito attorno a sé altri bimbi, e avrebbe fatto brillare i loro occhi di desiderio, ascoltando il racconto di strane storie, e forse addirittura il sogno, ormai lontano nel tempo, del paese delle meraviglie; e come avrebbe condiviso i loro piccoli dolori, e avrebbe goduto delle loro semplici gioie, ricordando la sua infanzia e i giorni felici dell’estate. (p.119)

ATTRAVERSO LO SPECCHIO p.121

PREFAZIONE DELL’AUTORE p.123

I – LA CASA DELLO SPECCHIO p.127

Alice si risveglia trovando un gomitolo disfatto. Dina è intenta a lavare la sua gattina bianca, Bucaneve, quindi la colpevole è l’altra gattina, la nera Kitty. Fuori nevica, e lei va avanti a far la predica e discorsi vari alla gattina nera. Scorgendo la scacchiera con cui aveva giocato da sola al mattino, Alice pensa che sarebbe bello se Kitty divenisse la Regina Nera. Ma non sta ferma e allora la porta davanti allo specchio, minacciandola di farla passare nel paese al di là dello stesso. E via a raccontarle della Casa dello Specchio. Il “Facciamo finta che” è il gioco preferito di Alice, ormai ragazza, ma ancora sognatrice… Sarebbe bello se potessero passare nell’altro mondo. Ed ecco che il desiderio prende forma e lei passa oltre…

«Oh, Kitty! Come sarebbe carino se soltanto potessimo entrare nella Casa dello Specchio. Sono sicura che ci sono tante cose belle lì».[…]
Ancora un attimo, e Alice aveva attraversato il vetro, ed era balzata con leggerezza giù nella stanza dello specchio. (p.130)

Tra le prime cose che scorge ci sono pezzi della scacchiera nella cenere del camino. Tra questi il Re e la Regina Nera. Dal tavolo giungono invece le urla di un pedone bianco, la piccola Lily. Alice non viene da loro né vista né udita, ma sposta sul tavolo prima la Regina e poi il Re… Più tardi apre un libro che può leggere di fronte allo specchio, essendo quello scritto al contrario. Contiene la poesia di un eroe che uccide uno sconosciuto essere, un Tartaglione. Non la comprende e allora decide di andare ad esplorare il giardino…

«Ma oh!», pensò Alice, balzando improvvisamente in piedi, «se non mi sbrigo, dovrò tornare indietro attraverso lo specchio, prima di aver visto com’è il resto della casa! Diamo un’occhiata al giardino prima di tutto!». (p.135)

II – IL GIARDINO DEI FIORI PARLANTI p.136

Entrata dunque nel giardino, Alice pensa di poter vederlo meglio raggiungendo la cima della collina. Imbocca dunque il sentiero che dovrebbe condurla fin lassù, ma ogni tentativo sembra vano e lei si ritrova sempre di fronte alla casa…

«Potrei vedere molto meglio il giardino», disse Alice tra sé, «se riuscissi ad arrivare in cima a quella collina: ed ecco qua un sentiero che porta lì dritto dritto, no, veramente proprio dritto no…»[…]
E così fece: gironzolando in su e in giù, e riprovandoci una volta dopo l’altra, ma ritornando sempre alla casa, qualunque cosa facesse. (p.136)

Dopo l’ennesimo fallimento, si rimette in marcia raggiungendo una grande aiuola fiorita con ai bordi della margherite e al centro un gigantesco salice piangente. Con stupore Alice riceve risposta da un giglio tigrato che le rivela che tutti i fiori possono parlare (di norma non lo fanno perché inseriti in morbidi terreni che li tengono in stato di sonno perenne e perché non trovano mai qualcuno con cui valga la pena di farlo)…

Questa volta ella giunse a una grande aiuola fiorita, con un bordo di margheritine e nel mezzo un gran salice piangente.
«O Giglio Tigrato», disse Alice, rivolgendosi a un giglio che ondeggiava graziosamente al vento, «vorrei proprio che voi poteste parlare!».
«Noi possiamo parlare», ribatté il Giglio Tigrato, «quando c’è qualcuno con cui valga la pena di farlo». (p.136)
«E tutti i fiori possono parlare?». «Esattamente come te», dichiarò il Giglio Tigrato. «E anche molto più forte». (p.137)
«In molti giardini, spiegò il Giglio Tigrato, «fanno le aiuole di un terreno morbido come un materasso, sicché i fiori dormono sempre». (p.138)

A poco a poco vari fiori si uniscono alla conversazione (la polemica rosa, la viola e le margherite), fino all’arrivo di un altro essere vivente, la Regina Nera, cresciuta molto dall’ultima volta che la ragazza l’ha raccolta dalla cenere. È ora più alta di lei…

Alice girò lo sguardo con grande interesse, e vide che si trattava della Regina Nera. «Ed è cresciuta un bel po’!», fu la prima osservazione. Era cresciuta davvero: quando Alice l’aveva trovata per la prima volta tra la cenere era alta soltanto pochi centimetri, e ora eccola lì, alta mezza testa più di Alice! (p.139)

Decide di andarle incontro, sebbene la Rosa glielo sconsigli suggerendogli di muoversi in direzione opposta. Ed infatti la ragazza si allontana anziché avvicinarsi e, ricordandosi di trovarsi nel regno dello specchio, si muove infine in senso opposto raggiungendola…

«Credo che le andrò incontro», disse Alice[…]
«In questo modo non ci riuscirai assolutamente», dichiarò la Rosa, «io ti consiglierei di andare dalla parte opposta». […]
Un po’ seccata, tornò indietro, e dopo aver cercato da tutte le parti la Regina finalmente riuscì a scorgerla, un bel po’ lontano; allora pensò che questa volta avrebbe provato il sistema di camminare nella direzione opposta.
La cosa riuscì perfettamente. Non aveva camminato neppure un minuto, che si trovò faccia a faccia con la Regina Nera, proprio davanti alla collina che aveva tentato invano di raggiungere. (p.139)

Giunte in cima alla collina, Alice si accorge con stupore che il paesaggio sottostante è in realtà un’enorme scacchiera. Le piacerebbe tanto poter giocare, e così la Regina la accontenta. Potrà essere un Pedone della Regina Bianca, dato che la piccola Lily non sa giocare. All’Ottava Traversa potrà trasformarsi in Regina, se è quello il suo desiderio…

«Dico io, è diviso proprio come una grande scacchiera!», esclamò alla fine Alice. «Dovrebbero esserci dei pezzi in movimento da qualche parte… ah, eccoli lì», aggiunse in tono giubilante, e il cuore le batteva d’eccitazione nel proseguire. (p.140)
Oh, come è divertente! Come vorrei essere una di loro! Non mi importerebbe neppure di essere una Pedina, se solo potessi giocare con loro[…]
Tu puoi essere un pedone della Regina Bianca, se ti fa piacere, perché Lily è troppo giovane per giocare: e per cominciare puoi stare nella Seconda Traversa: quando sarai arrivata all’Ottava Traversa diventerai Regina…» (p.141)

Iniziano a correre perché bisogna farlo per rimanere fermi. Per muoversi c’è invece bisogno di correre il doppio più svelti…

Proprio in quel momento, in un modo o nell’altro, cominciarono a correre. (p.141)
«Qui invece, vedi, bisogna correre a più non posso, per restare nello stesso posto. Se vuoi andare da qualche altra parte, devi correre più svelta almeno il doppio!» (p.142)

Mentre la povera Alice riprende fiato e mangia un biscotto duro e secco, la Regina le spiega le regole del gioco e al quinto paletto piantato in terra, come preannunciato, svanisce lasciandole iniziare il gioco…

Al paletto successivo, la Regina si voltò di nuovo, e questa volta disse: «Parla in francese quando non ti viene in mente una cosa nella tua lingua; tieni in fuori le punte dei piedi mentre cammini, e ricordati chi sei!». (p.144)

III – GLI INSETTI DEL PAESE DELLO SPECCHIO p.145

Mentre si guarda attorno per studiare il paesaggio, Alice scorge in lontananza delle api-elefante! al lavoro presso giganteschi fiori. Ma, anziché dirigersi verso di loro, decide di avviarsi in direzione della Terza Casella saltando con un balzo il primo dei sei ruscelletti…

Naturalmente la prima cosa da fare era esaminare bene il paese che avrebbe attraversato.[…]
Però non era proprio un’ape normale: in realtà, era un elefante, come Alice scoprì ben presto, benché da principio quell’idea la lasciasse senza fiato. «Che fiori enormi devono essere quelli!».[…]
«Credo che scenderò giù dall’altra parte», disse dopo una pausa, «e forse potrei andare a trovare gli elefanti più tardi. E poi desidero tanto andare nella Terza Casella!».
Sicché con questa scusa scese di corsa giù per la collina e scavalcò d’un balzo il primo dei sei ruscelletti. (p.145)

Alice si ritrova a bordo di un treno dove il controllore le chiede subito il biglietto. Attorno a lei strani passeggeri e insetti parlanti, fino a che un cavallo avvisa del prossimo salto del ruscello che li porterà alla Quarta Casella. Spaventata, Alice si aggrappa alla barba del caprone vicino di posto, ritrovandosi però sotto un albero in compagnia di una zanzara (divenuta grande come un pulcino) con cui aveva discorso sul treno…

Ma la barba parve sciogliersi appena la toccò, e Alice si trovò seduta tranquillamente sotto un albero, mentre la Zanzara (che era poi l’insetto con cui aveva parlato sino allora) si dondolava su un piccolo ramo, facendole vento con le sue alucce. (p.148)

Parlano un po’ degli insetti e la Zanzara mostra ad Alice i pittoreschi omologhi di quelli da lei citati, frutto di giochi di parole (Mosca Cavalluccio; Libellula Natalizia; Farfalla Pane-e-Burro). Dopo l’ennesimo gioco di parole legato all’eventuale perdita del nome (to miss) che non piace ad Alice, la Zanzara se ne va. Alice fa ben presto altrettanto ritrovandosi poco dopo in un campo aperto con un bosco ai lati. Ed in esso, il temibile bosco in cui le cose non hanno nome, si addentra accorgendosi poco dopo di aver dimenticato il nome di tutto, compreso il proprio.

Si trovò ben presto in un campo aperto, con un bosco sul lato opposto: sembrava molto più scuro del bosco precedente, e Alice provò un po’ di ritrosia al pensiero di entrarvi. Però poi, dopo averci riflettuto un momento, decise di andare avanti: «Perché indietro non voglio tornare assolutamente», pensò tra sé, e questa era certo la sola maniera di arrivare all’Ottava Casella.[…] (pp.150-151)
«Questo», disse pensosamente tra sé, «dev’essere il bosco in cui le cose non hanno nome.[…]
E adesso, chi sono io? Voglio ricordarmene davvero, se posso! Sono decisa a ricordarmene!» (p.151)

Giunge improvviso un cerbiatto che le domanda come si chiami. Lei non sa rispondere e chiede a sua volta come si chiami lui. L’animale la invita allora a seguirlo e, giunti in una radura, entrambi recuperano la memoria. Lì si separano, data la paura dei cerbiatti per i cacciatori umani. Di fronte a due cartelli che indicano la medesima direzione, Alice si dirige nuovamente verso il bosco dove altri cartelli indirizzano il viandante nella stessa direzione, la casa del Tuiodeldum e del Tuideldì…

«E adesso, quale di questi cartelli indicatori dovrò seguire, io mi domando?»
Non era molto difficile rispondere a quella domanda, dato che c’era un’unica strada attraverso il bosco, e tutti e due i cartelli indicavano quella.[…]
[…]Andò sempre avanti, per un pezzo, ma dovunque la strada si biforcava c’erano invariabilmente due cartelli che indicavano la medesima via; su uno era scritto ALLA CASA DEL TUIDELDUM, e sull’altro ALLA CASA DEL TUIDELDÌ. (p.153)

Continuando ad avanzare parlando tra sé, Alice giunge infine al cospetto di due grassi ometti…

Così seguitò ad andare avanti, parlando tra sé mentre camminava, fino a che, a una brusca svolta, si imbatté in due ometti grassi, così all’improvviso che non poté fare a meno di indietreggiare[…] (p.153)

IV – TUIDELDUM E TUIDELDÌ p.154

Sotto un albero, immobili, ecco dunque Tuideldum e Tuideldì, riconoscibili per via delle lettere incise sui colletti delle camicie…

Stavano ritti in piedi sotto un albero, ciascuno con un braccio attorno al collo dell’altro, e Alice seppe immediatamente qual era l’uno e qual era l’altro, perché uno dei due aveva ricamato sul colletto DUM, e l’altro DÌ. (p.154)
«Stavo pensando», disse Alice molto gentilmente, «qual è la via migliore per uscire da questo bosco: si sta facendo così buio! Vorreste dirmelo, per piacere?». (pp.154-155)

Un po’ antipatici e infantili, i due fratelli non dicono ad Alice come fare per allontanarsi dal bosco. Dopo essersi stretti la mano e aver giocato a girotondo, elusa nuovamente la richiesta di Alice, Tuideldì si cimenta nella recitazione della lunga poesia Il tricheco e il carpentiere. Durante i commenti Alice ode un rumore. È il Re Nero che russa e a vederlo la conducono. La prendono poi in giro dicendole di non svegliarlo perché lei è una creatura dei suoi sogni…

Qui si fermò piuttosto spaventata, nell’udire qualcosa che parve al suo orecchio molto simile a una grossa locomotiva nel bosco vicino[…]
«È soltanto il Re Nero che russa», disse Tuideldì.
«Vieni a vederlo!», gridarono i fratelli, e presa per mano Alice la condussero dove il Re stava dormendo.[…]
Diamine, tu sei solo una specie di personaggio nel suo sogno!. «Se quel Re là dovesse svegliarsi», aggiunge Tuideldum, «tu spariresti – bang! – proprio come una candela!». (p.159)

Tuideldì le mostra poi un sonaglio nuovo rotto da Tuideldum. I due devono quindi duellare e lei è incaricata di cucire e sistemare le armature (coperte, cuscini) e di assistere alla loro tenzone. Ma l’arrivo del temibile Corvo Nero li fa fuggire. Alice si rifugia sotto un albero dove svolazza uno scialle…

«È il corvo!», esclamò Tuideldum con voce acuta e piena di spavento; e i due fratelli se la diedero a gambe e furono fuor di vista in un attimo.
Alice corse un po’ per il bosco, poi si fermò sotto un grande albero. (p.163)

V – LANA E ACQUA p.164

Alice afferra lo scialle e lo porge alla sopraggiungente Regina Bianca, che deduce esserne la legittima proprietaria, aiutandola a indossarlo…

Così dicendo afferrò lo scialle, e si guardò attorno in cerca della proprietaria: un istante dopo la Regina Bianca giunse di corsa attraverso il bosco, con tutte e due le braccia spalancate come se volasse, e Alice molto educatamente le andò incontro con lo scialle. (p.164)

Tra le due principia una discussione nel corso della quale la sovrana le spiega che lì si vive nel passato e nel futuro, di entrambi i quali resta memoria. Può di fatto prevedere il futuro e infatti inizia a strillare per una puntura al dito, su cui ha posto un cerotto, che si procura poco dopo tentando di riallacciare lo scialle con una spilla…
Più tardi un colpo di vento fa volare lo scialle oltre un ruscello al di là del quale passa anche Alice…

Mentre parlava le si era riaperta la spilla, e un improvviso soffio di vento portò lo scialle della Regina al di là di un piccolo ruscello. […] «Allora spero che il suo dito stia bene adesso», disse Alice molto cortesemente, nel traversare il piccolo ruscello per seguire la Regina. (p.167)

Ma Alice si ritrova in una bottega dove la commessa è una pecora (in essa si è dunque trasformata la regina?) intenta a ricamare…

Guardò la Regina, e le parve che si fosse improvvisamente avvolta nella lana.[…]
E quella era davvero… era davvero una pecora, che stava seduta dietro la cassa? […]
[…]di fronte a lei c’era una vecchia Pecora, seduta in un seggiolone a far la calza, che di quando in quando alzava gli occhi per guardarla attraverso un paio di occhialoni. (p.168)

La Pecora le chiede cosa voglia comprare e così Alice inizia a guardare la merce esposta negli scaffali, ma ovunque posi lo sguardo gli oggetti cambiano posizione lasciando spazio al vuoto. La vecchia le lancia dei ferri da uncinetto chiedendole se sappia remare e così… eccole a bordo di una barca con la Pecora a ricamare e lei a remare. Scorti dei fiori Alice smette di vogare per coglierli, ma per uno che ne coglie un altro più bello le si para di fronte. I fiori, frutto di illusione, svaniscono peraltro appena colti…

[…]per quanto cercasse di cogliere un quantità di fiori bellissimi mentre la barca sgusciava in mezzo a essi, ce n’era sempre uno più carino a cui non si poteva arrivare.[…]
[…]e quelli, essendo fiori si sogno, si scioglievano quasi come la neve, mentre giacevano ammucchiati ai suoi piedi, ma Alice se ne accorse appena, perché c’erano tante altre cose a cui pensare. (p.170)

Giochi di parole che lei non capisce, come “prendere un granchio”, ossia il ritmo della remata…
Ma ecco che si ritrova nuovamente nella bottega dove compra un uovo che deve però andarsi a prendere da sola. Cammina e cammina ma quello sembra non avvicinarsi mai, fino a che passa un ruscello…

[…]perché i remi della barca, e il fiume erano svaniti in un attimo, e lei si trovava di nuovo nella botteghina buia.
«Mi piacerebbe comprare un uovo, per favore», disse timidamente. «A quanto li vende?»[…]
Più cammino e più l’uovo mi sembra lontano. […]
E adesso ecco qua un piccolo ruscello. (p.172)

VI – HUMPTY DUMPTY p.173

L’uovo diventa sempre più grande rivelando essere la personificazione di Humpty Dumpty, protagonista di una filastrocca per ragazzi…

Invece, l’uovo si limitò a diventare sempre più grande, e sempre più umano: quando fu arrivata a pochi passi da lui, Alice vide che aveva gli occhi, il naso e la bocca; e quando gli fu proprio vicinissima, vide distintamente che era proprio HUMPTY DUMPTY in persona. (p.173)

Humpty è seduto su un sottile muretto e si offende nel sentirsi definire uovo. Tra i due si avvia un botta e risposta da cui emergono la puntigliosità e permalosità dell’uovo, in un continuo cambio di argomento. Humpty si adira ancor di più quando Alice scambia la sua cravatta per una cinta. Gli è stata donata per il suo non-compleanno (se ne festeggiano 364 con relativi regali…) dal Re e dalla Regina Bianca. Calmatosi, le rivela poi di assegnare alle parole il significato che vuole, pagandole per il servigio…

Evidentemente Humpty Dumpty era molto in collera, e per un paio di minuti non aprì più bocca. Quando ricominciò a parlare, fu con un profondo borbottio.
«È una cosa molto offensiva», disse alla fine, «che una persona non riconosca una cravatta da una cintura!».[…]
«È una cravatta, bambina, ed è molto bella, come dici. È un regalo del Re e della Regina Bianca, ecco!». […] […]«me la diedero come regalo di non-compleanno».[…] (p.176)
«È una gran bella cosa dare alle parole il significato che si vuole», osservò Alice tutta pensierosa.
«Quando faccio fare a una parola un lavoro simile», spiegò Humpty Dumpty, «le pago sempre lo straordinario». (p.177)

Su richiesta di Alice spiega poi il significato dell’inizio della poesia Il Tartaglione, da lei letto nel libro al rovescio. Poi le recita una poesia, al termine della quale le dice addio. Alice aspetta un po’, poi saluta riprendendo il cammino. Ma un terribile fracasso scuote l’intera foresta…

Ma non finì la frase, perché proprio in quel momento un gran fracasso scosse tutta la foresta da un’estremità all’altra. (p.182)

VII – IL LEONE E L’UNICORNO p.183

Ecco passare di fronte all’attonita Alice strampalati soldati e cavalli. Si rifugia dietro un albero, poi riprende la marcia fino ad arrivare in uno spiazzo dove siede il Re Bianco, intento a scrivere sul suo taccuino, in attesa del ritorno di uno dei due Alfieri…

Alice si rifugiò dietro un albero, per timore di essere travolta, e rimase lì a guardarli.[…]
La confusione diventava sempre più grande, e Alice fu molto contenta di uscire dal bosco in uno spiazzo scoperto, dove trovò il Re Bianco seduto per terra, tutto affaccendato a scrivere nel suo taccuino. (p.183)

Gli alfieri sono Aiga, che sopraggiunge con le sue pittoresche mosse, e Atta. Affannato e smorfioso, Aiga passa al re dei panini che lo placano. Poi gli comunica che lo scontro tra il Leone e l’Unicorno, quelli della filastrocca per bambini, è ripreso. Il Re propone di andarli a vedere…

In quel momento l’Alfiere arrivò: era assolutamente troppo sfiatato per pronunciar parola, ed era in grado soltanto di sventolare le mani e di fare le più spaventose boccacce al povero Re.[…]
«Tu mi spaventi!», disse il Re. «Mi sento svenire… Dammi un panino con l’Anitra!» (p.184)
«Chi è che ha ricominciato da capo?», si azzardò a domandare.
«Diamine, il Leone e l’Unicorno, naturalmente», disse il Re.
«A combattere per la corona?».
«Sì, proprio così», spiegò il Re. «E quello che è peggio, è che si contendono sempre la mia corona! Andiamo a vederli». (p.185)

Durante la corsa Alice prova a fare domande, ma fermarsi non è consentito e così è costretta a tacere fino a che giungono sul luogo dello scontro…

[…]finché giunsero in vista di una gran folla, in mezzo alla quale il Leone e l’Unicorno stavano lottando. (p.186)

Quando Aiga e Atta porgono loro fette di pane bianco e nero, lo scontro ha termine. Poi Atta, su ordine del Re, va a dar l’ordine ai tamburi di iniziare a rullare. Poco dopo l’Unicorno, passando davanti ad Alice, chiede di che mostro fantastico si tratti. È un’umana, le risponde Aiga, che tira poi fuori una torta. Ma ecco giungere il Leone, e anch’esso chiede chi sia Alice…

«È un mostro favoloso!», gridò l’Unicorno, prima che Alice potesse rispondere. (p.188)

A lei il Leone assegna il compito di tagliare la torna in fette, ma, sulle rive del ruscello su cui si è seduta con l’enorme piatto, Alice non ci riesce. Le fette tagliate si riuniscono sempre. L’unicorno le spiega allora che deve girare e così riesce nel compito assegnatole. Al Leone distribuisce però doppia razione, mentre per lei resta nulla. L’unicorno protesta, ma ecco che un frastuono si propaga nell’aria ad opera dei tamburi. Con un balzo Alice salta il ruscello…

«Ho già tagliato parecchie fette, ma si riuniscono sempre!». «Tu non sai maneggiare le torte del paese dello specchio», osservò l’Unicorno. «Prima falla girare, e poi tagliala».[…]
Balzò in piedi e, piena di terrore, superò con un salto un ruscelletto. (p.189)

VIII – «È UNA MIA INVENZIONE» p.191

Poco dopo il silenzio svanisce ed Alice si ridesta con ai piedi il piatto della torta: non ha dunque sognato…

Dopo un po’ il rumore parve svanire gradualmente, finché tutto fu un profondo silenzio, e Alice alzò il capo un po’ spaventata.[…]
Tuttavia ai suoi piedi giaceva ancora il gran piatto su cui aveva cercato di tagliare la torta. «Allora non ho sognato, dopo tutto». (p.191)

Ma ecco il grido di un cavaliere nero che la prende prigioniera. Ma subito dopo giunge un cavaliere bianco, ancor più goffo del precedente, che avvia una sfida per liberare Alice (pedone bianco)…

In quel momento i suoi pensieri furono interrotti da un forte grido di «Ohé! Ohé! Scacco!», e un Cavaliere in un’armatura nera venne verso di lei al galoppo, brandendo una grande mazza.
Appena la raggiunse, il cavallo si fermò all’improvviso: «Sei mia prigioniera!», gridò il Cavaliere, mentre ruzzolava da cavallo.[…]
Questa volta era un Cavaliere Bianco. Arrivò al fianco di Alice, e ruzzolò giù da cavallo proprio come aveva fatto il Cavaliere Nero[…]
«Bene, dovremo combattere per lei, allora», disse il Cavaliere Nero[…] (pp.191-192)

Lo strano e comico combattimento ha dunque inizio e si conclude con la vittoria del Cavaliere Bianco. Il Nero riparte dopo aver stretto la mano al collega Bianco…

«Lo faccio sempre», disse il Cavaliere Nero, e cominciarono a menar colpi l’uno contro l’altro con tale furia che Alice si rifugiò contro un albero per esser fuori di portata.[…]
Sembrava che un’altra Regola di Combattimento, che Alice non aveva notato, fosse di cadere sempre sulla testa, e il combattimento terminò quando caddero tutti e due in quel modo, uno a fianco dell’altro: quando si rialzarono, si strinsero la mano, poi il Cavaliere Nero risalì a cavallo e se ne andò al galoppo. (p.192)

Il Cavaliere Bianco rivela ad Alice di aver ricevuto l’incarico di scortarla fino alla fine del bosco. Superando poi da sola l’ultimo ruscello potrà diventar regina…

«E lo sarai, quando avrai attraversato l’ultimo ruscello», disse il Cavaliere Bianco. «Ti scorterò sana e salva fino alla fine del bosco, e poi dovrò tornare indietro, sai! Oltre non posso andare». (p.192)

Il viaggio ha inizio. Alice avanza a piedi, mentre il cavaliere resta in groppa al cavallo, o meglio, vi cade ripetutamente in avanti, indietro e di lato. L’equino è peraltro pieno di oggetti che il buffo Cavaliere raccoglie strada facendo con la scusa che potrebbero poi servirgli in futuro (ha perfino un alveare e una trappola per topi!). E così anche il piatto di Alice finisce nella sua sacca…

Ogni volta che il cavallo si fermava (cosa che in genere faceva molto spesso) il poveretto cadeva a faccia avanti; e ogni volta che si rimetteva in movimento (cosa che in genere faceva piuttosto bruscamente), cadeva giù all’indietro. Salvo questo andava avanti abbastanza bene, a parte il fatto che aveva l’abitudine di cadere di tanto in tanto da un parte o dall’altra; e dato che generalmente cadeva dalla parte in cui camminava Alice, ella scoprì ben presto che il sistema migliore era di non camminare troppo vicino al cavallo. (p.194)

Alice gli fa notare che forse gli manca un po’ di pratica, ma l’altro nega e, cadendo ripetutamente, le mostra comicamente la sua maestria…

«Moltissima pratica!», continuò a ripetere per tutto il tempo che Alice impiegò per rimetterlo in piedi. «Moltissima pratica!».
«Ma è una cosa troppo ridicola!», esclamò Alice, che questa volta perdette completamente la pazienza.» Dovrebbe avere un cavallo di legno a rotelle, ecco quello che dovrebbe avere!». (p.195)

Mentre il Cavaliere racconta di strampalate invenzioni impossibili da mettere in pratica, eccoli giunti al limitare del bosco. Devono separarsi ma, vista Alice perplessa (per la storia di un assurdo budino da lui inventato e mai preparato), l’uomo decide di narrarle una canzone: Seduto su un cancello…

[…]E qui debbo lasciarti. Infatti erano appena arrivati alla fine del bosco. Alice aveva un’aria piuttosto perplessa: seguitava a pensare al budino. «Tu sei triste», disse il Cavaliere in tono ansioso. «Lascia che ti canti una canzone per confortarti». (p.197)

Terminata la declamazione, il Cavaliere dà le ultime istruzioni sul percorso ad Alice, alla quale chiede di guardarlo andar via e di salutarlo da lontano con un fazzoletto bianco per dargli coraggio. Alice fa quanto richiestole, poi riprende la marcia e, saltato il ruscello, raggiunge finalmente l’Ottava Casella…

«Hai solo pochi metri da fare», disse, «giù per la collina e oltre quel ruscelletto, poi sarai Regina. Ma vuoi restare prima qui a vedermi andar via?»[…] Ti dispiacerebbe aspettare e sventolare il fazzoletto quando svolterò quella curva? Credo che questo mi darebbe coraggio, sai». […]
Così si scambiarono una stretta di mano, poi il Cavaliere si avviò cavalcando lentamente verso la foresta.[…]
Dopo il quarto o quinto capitombolo arrivò alla svolta, e allora lei gli sventolò il fazzoletto, e aspettò fino a che non fu scomparso al suo sguardo. (p.202)
«E adesso, all’ultimo ruscello, così sarò Regina! Come suona bene!». Altri pochi passi la portarono presso un ruscello. «L’Ottava Casella, finalmente!», gridò nel superarlo con un salto. (p.202)

Si ritrova su un morbido prato con in testa una corona…

E si ritrovò distesa su un prato morbido come il muschio, con piccole aiuole fiorite sparse qua e là. «Oh, come sono contenta di essere qui! E che cosa ho sulla testa?»[…] Era una corona d’oro. (p.202)

IX – ALICE REGINA p.203

Alice si alza, un po’ impacciata per via della corona, poi si ridistende accorgendosi della presenza delle due Regine. Queste le dicono che diverrà regina solo dopo aver superato un esame…

Così si alzò e si mise a camminare qua e là, un po’ rigida da principio, perché aveva paura che le cadesse la corona[…]
Tutto accadeva in modo così strano, che non fu affatto spaventata nel trovare la Regina Bianca e la Regina Nera sedute vicino a lei, una per parte[…]
Non puoi essere una Regina, sai, finché non avrai passato gli esami del caso. E più presto cominceremo, meglio sarà. (p.203)

Le due sovrane iniziano quindi a tempestarla di strane domande, fino a che la Regina Bianca si dichiara stanca e quella Nera insegna ad Alice una ninna nanna con la quale prima si addormenta la Bianca e poi la stessa Nera. Alice non sa che fare con le due Regine sul grembo, ma ecco che il loro russare si trasforma in musica e lei si ritrova al cospetto di un portone sormontato da un arco che reca la scritta “Alice Regina”…

Un minuto dopo tutte e due le Regine erano profondamente addormentate, e russavano forte. […]
Il russare diventava sempre più distinto, e sembrava quasi simile a una musica[…]
Si trovò in piedi davanti a un portone sormontato da un arco, su cui erano scritte a gradi lettere le parole ALICE REGINA[…]

Non sa a quale campanello suonare e un servitore dalla testa di becco fa capolino dicendole che non si può entrare fino alla settimana dopo la prossima. Ma lei è la Regina, deve pur entrare, pensa Alice. Ma nessuno risponde al suo suonare e bussare fino a che un vecchio Ranocchio, alzatosi e raggiuntala, inizia strani discorsi. Poi, colpita la porta con una delle enormi scarpe, si allontana e la porta si apre…

Alice bussò e suonò invano per un bel po’, ma alla fine un vecchissimo Ranocchio, che stava seduto sotto un albero, si alzò e arrancò lentamente verso di lei; era vestito di un bel giallo lucente, e aveva delle scarpe enormi. (p.208)
Poi si avvicinò e diede un calcio alla porta con uno dei suoi piedoni.[…]
In quel momento la porta si spalancò[…] (p.210)

Alice entra e la canzone intonata all’interno della casa cessa. Una cinquantina di strani ospiti, per lo più animali, occupa i posti del banchetto, al cui tavolo d’onore siedono le due Regine. Alice va ad occupare il posto libero tra le due, poi viene continuamente ripresa per presunta mancanza di buone maniere (per voler affettare un cosciotto di montone parlante e per aver tagliato una fetta di torta fatta portare via dalla Regina Nera poco prima). Le propongono un indovinello, poi accade di tutto in una baraonda e un caos crescenti ed inenarrabili…

«Farei meglio a entrare immediatamente!», ed entrò, e nel momento in cui apparve si fece un silenzio di morte.
Alice diede nervosamente un’occhiata alla tavola, mentre camminava per la gran sala, e notò che c’erano circa cinquanta ospiti d’ogni sorta: alcuni erano animali, altri uccelli, e c’erano persino dei fiori. […]
C’erano tre sedie a capotavola: due le avevano già occupate la Regina Nera e la Regina Bianca, ma quella di mezzo era vuota. Alice ci si mise a sedere, piuttosto avvilita da quel silenzio e desiderando che qualcuno parlasse. (p.211)
E poi (come ebbe a raccontare Alice in seguito) in un attimo accadde ogni sorta di cose. (p.213)

Si volta e in luogo della Regina Bianca trova il gaudente Cosciotto di Montone. Invitati nei piatti, pentole e piatti in volo…

In quel momento udì una risata al suo fianco, e si vole per vedere che cosa stesse succedendo alla Regina Bianca; ma, invece della Regina, nella sedia c’era a sedere il cosciotto di montone. (p.213)
Non c’era un minuto da perdere. Già parecchi invitati giacevano nei piatti, e il mestolo della zuppiera camminava sulla tavola avviandosi verso la sedia di Alice e con impazienza le faceva cenno di andarsene da lì. (p.214)

Alice è infastidita dal caos e, agguantata la Regina Nera, rimpicciolitasi nel frattempo, che ritiene la responsabile di tutto ciò, le promette di scuoterla fino a trasformarla in un gattino…

«Non poso sopportare ancora delle cose di questo genere!», gridò la bambina balzando in piedi, e afferrò la tovaglia con tutte e due le mani: una bella strappata, e vassoi, piatti, invitati e candele andarono a rovesciarsi tutti insieme in un mucchio sul pavimento. […]
Ma la Regina non era più accanto a lei; si era improvvisamente rimpicciolita alla grandezza di una bamboletta, e adesso era sulla tavola, e correva tutta allegra torno torno al suo scialle che si trascinava dietro.[…]
«[…]Quanto a te», ripeté, impadronendosi della minuscola creaturina proprio mentre stava per saltare su una bottiglia che per caso era rimasta ritta sulla tavola, io ti scuoterò fino a farti diventare un gattino; sì, proprio!». (p.214)

X – SCOSSE p.215

La tolse dalla tavola mentre parlava, e cominciò a scuoterla avanti e indietro con tutte le sue forze.
La Regina Nera non fece alcuna resistenza; solo la sua faccia diventò molto piccola e i suoi occhi verdi e grandi: a mano a mano che Alice seguitava a sbatterla, diventava sempre più corta, e sempre più grassa, e più morbida, e più rotondetta, e… (p.215)

XI – RISVEGLIO p.216

… Ed era proprio un gattino, dopo tutto. (p.216)

XII – CHI L’HA SOGNATO? p.217

Alice si ridesta nel mondo reale, dando la colpa del risveglio alla piccola Kitty, cui prova a far confessare di esser stata sempre con lei nel sogno in qualità di Regina Nera…

«La Vostra Nera Maestà non dovrebbe fare le fusa così forte», disse Alice, strofinandosi gli occhi e rivolgendosi al gattino in torno rispettoso, ma con una certa severità. «Mi hai svegliato da un sogno, oh! Da un sogno così carino! E sei stata sempre lì con me, Kitty, in tutto il paese dello specchio. Lo sai, tesoro?». […]
Così Alice frugò tra gli scacchi sulla tavola finché non ebbe trovato la Regina Nera: poi si mise in ginocchio sul tappeto davanti al caminetto, e mise il gattino e la Regina Bera uno di fronte all’altra. «Ora, Kitty!», gridò, battendo trionfalmente le mani.» Confessa che ti eri mutata in lei!». (p.217)

Dina era nel sogno Humpty Dumpty e Bucaneve la Regina Bianca. Ma di chi era il sogno? Suo o del Re Nero?…

Ora, Kitty, riflettiamo chi era che ha sognato tutta questa roba. […]
Vedi, Kitty, debbo essere stata io oppure il Re Nero. (p.218)
[…]

E voi, chi credete che fosse?

Navigava un bastimento,
prora dritta, vele al vento,
per il mar, tutto contento.
E tre bimbe entusiasmate, con le bocche spalancate,
mi sentian parlar di fate.
Oggi il sole è impallidito,
quel ricordo si è smarrito […] (p.218)

Quel paese spesso agogno:
la vita che cos’è, se non un sogno? (p.219)