KARL MARX – LA QUESTIONE EBRAICA (ZUR JUDENFRAGE)

KARL MARX – LA QUESTIONE EBRAICA (ZUR JUDENFRAGE)

MASSARI EDITORE – Collana ERETICI E/O SOVVERSIVI n. 9 – I ed Novembre 2003

Traduzione: Giuseppe Scuto

Testo originale tedesco con traduzione a fronte

 

KARL MARX E LA QUESTIONE EBRAICA

Di Giuseppe Scuto p. 7

 

LA QUESTIONE EBRAICA

Di Karl Marx p. 27

Il testo raccoglie due interventi in commento a scritti di Bruno Bauer:

1 – BRUNO BAUER: LA QUESTIONE EBRAICA. BRAUNSCHWEIG 1843 p. 29

 

Per propria essenza lo Stato cristiano non può emancipare l’ebreo. Ma, aggiunge Bauer, neanche l’ebreo può, per propria essenza, essere emancipato. Finché lo Stato sarà cristiano e l’ebreo ebreo, saranno entrambi incapaci tanto di concedere, quanto di ricevere l’emancipazione. (p. 31)

Come risolve dunque Bauer la questione ebraica? […]

In sintesi:

Prima di poter emancipare gli altri, noi dobbiamo emancipare noi stessi.

La più rigida forma di opposizione tra l’ebreo ed il cristiano è l’opposizione religiosa. Come si risolve un’opposizione? Rendendola impossibile. Come si rende impossibile un’opposizione religiosa? Eliminando la religione. (p. 33)

L’emancipazione della religione viene perciò posta come condizione tanto all’ebreo che vuole essere emancipato, quanto allo Stato che deve emancipare ed essere esso stesso emancipato. (p. 35)

Da una parte, dunque, Bauer richiede che, per essere emancipato civilmente, l’ebreo rinunci all’ebraismo (e, in generale, l’uomo alla religione), dall’altra, e conseguentemente, per lui il superamento politico della religione comporta quello della religione stessa. (p. 37)

Egli pone condizioni che non sono fondate nell’essenza dell’emancipazione politica stessa. […]

[…]così noi rinveniamo l’errore di Bauer nel fatto che egli sottopone alla critica solo lo Stato cristiano, e non lo Stato e basta, nel fatto che egli non esamina la relazione tra emancipazione politica ed emancipazione umana e che, di conseguenza, pone condizioni che si possono spiegare solo con una confusione acritica tra emancipazione politica ed emancipazione universalmente umana. […]

La questione ebraica assume un aspetto differente a seconda dello Stato nel quale l’ebreo si trova. In Germania, dove non esiste alcuno Stato politico, cioè alcuno Stato in quanto tale, la questione ebraica è una questione puramente teologica. (p. 39)

In Francia, nello Stato costituzionale, la questione ebraica è la questione del costituzionalismo, la questione dell’incompletezza dell’emancipazione politica. […]

Solo nei liberi Stati nordamericani, o almeno in una parte di essi, la questione ebraica perde il suo senso teologico per divenire una questione realmente mondana. Solo dove lo Stato politico esista nella sua forma compiuta può il rapporto dell’ebreo, ed in generale dell’uomo religioso, con lo Stato politico, cioè il rapporto delle religione con lo Stato, venire alla luce nella propria peculiarità, nella propria purezza. La critica di tale rapporto cessa di essere critica teologica non appena lo Stato smetta di rapportarsi teologicamente alla religione. Non appena questi si rapporti alla religione come Stato, e cioè politicamente. La critica diviene allora critica dello Stato politico. (p. 41)

La questione è: che relazione c’è tra emancipazione politica compiuta e religione? Se persino nella terra dell’emancipazione politica compiuta noi troviamo non solo l’esistenza, ma persino la vivida, vitale esistenza della religione, abbiamo la prova che l’esistenza della religione non contraddice la compiutezza dello Stato.[…]

Per noi la religione non è cioè più il fondamento della limitatezza mondana, ma piuttosto solo il suo fenomeno. […]

Affermiamo che essi avranno eliminato la loro limitatezza religiosa non appena avranno superato i loro limiti mondani. (p. 43)

La questione del rapporto tra emancipazione politica e religione diviene per noi quella del rapporto tra emancipazione politica ed emancipazione umana. (pp. 43-45)

L’emancipazione politica dell’ebreo, del cristiano, dell’uomo religioso in generale, è l’emancipazione dello Stato dell’ebraismo, dal cristianesimo, dalla religione in generale. A suo modo, alla maniera propria alla sue essenza, come Stato, lo Stato si emancipa dalla religione emancipandosi dalla religione di stato, cioè allorché lo Stato in quanto tale non professa alcuna religione, ma si dichiara Stato. (p. 45)

Ne segue che l’uomo si libera da un limite tramite il medium dello Stato, politicamente, elevandosi oltre quel limite in contraddizione con se stesso, in modo astratto, limitato, parziale. Ne segue inoltre che l’uomo, liberandosi politicamente, si libera indirettamente, attraverso un medium, per quanto necessario. E ne segue infine che l’uomo, anche quando attraverso la mediazione dello Stato si proclama ateo, vale a dire quando egli proclama ateo lo Stato, rimane comunque prigioniero della religione, e ciò proprio perché egli ha riconosciuto se stesso solo indirettamente, solo attraverso un medium. […] Lo Stato è l’intermediario tra l’uomo e la sua libertà. (p. 47)

Lo stato politico compiuto è per sua essenza la vita collettiva dell’uomo in opposizione alla sua vita materiale. Tutti i presupposti di questa vita egoistica permangono inalterati al di fuori della sfera statale, nella società civile, ma come caratteristiche della società civile. Laddove lo Stato politico abbia raggiunto la sua vera forma, l’uomo conduce non solo nel pensiero, nella coscienza, ma nella realtà, nella vita, una doppia esistenza, celeste e mondana, l’esistenza della comunità politica, nella quale egli è un membro della comunità, e l’esistenza nella società civile, nella quale egli è attivo come privato, nella quale considera gli altri uomini come mezzi, nella quale degrada se stesso a mezzo e diviene un burattino in mano a forze estranee. (pp.49-51)

La differenza tra l’uomo religioso ed il cittadino è la differenza tra il commerciante ed il cittadino, tra il salariato giornaliero ed il cittadino, tra il proprietario terriero ed il cittadino, tra l’individuo vivente ed il cittadino. La contraddizione in cui si trova l’uomo religioso con l’uomo politico è la stessa contraddizione in cui il bourgeois si trova il citoyen, in cui il membro della società civile si trova con la propria pelle di leone politica. […]

[…]il conflitto tra interesse universale ed interesse privato, la scissione tra Stato politico e società civile, tutti questi contrasti mondani sono tralasciati da Bauer, che invece polemizza con la loro espressione religiosa. (p. 53)

L’emancipazione politica è certo un grande progresso. Non è cioè l’ultima forma di emancipazione umana in assoluto, ma è l’ultima forma di emancipazione umana all’interno dell’attuale ordine del mondo. S’intende: qui parliamo di emancipazione reale, pratica. L’uomo si emancipa politicamente dalla religione bandendo quest’ultima dal diritto pubblico e relegandola in quello privato. (p. 55)

La scissione dell’uomo in uomo pubblico e privato, la dislocazione della religione dallo Stato nella società civile, non è uno stadio dell’emancipazione politica, ma il compimento di quest’ultima che, dunque, tanto poco abolisce la reale religiosità dell’uomo, quanto poco intende abolirla. […]

[…]lo Stato può e deve procedere sino all’abolizione della religione, sino all’annientamento della religione[…]. (p. 57)

Lo Stato cristiano compiuto non è il cosiddetto Stato cristiano, lo Stato che professa il cristianesimo come proprio fondamento, che lo riconosce come religione di Stato e che, di conseguenza, si rapporta in modo escludente alle altre religioni. Lo Stato cristiano compiuto è piuttosto lo Stato ateo, lo Stato democratico, lo Stato che confina la religione tra gli altri elementi della società civile. Allo Stato che ancora è teologo, che ancora professa ufficialmente il cristianesimo, che ancora non osa proclamarsi Stato, a questo Stato non è ancora riuscito di esprimere in forma mondana ed umana, nella sua realtà di Stato, quel fondamento umano l’espressione entusiastica del quale è il cristianesimo. Il cosiddetto Stato cristiano è solo e semplicemente il non-Sato poiché non il cristianesimo come religione, ma solo lo sfondo umano della religione cristiana può attuarsi in creazioni realmente umane.[…] (pp. 57-59)

Il cosiddetto Stato cristiano è lo Stato incompiuto e la religione cristiana non è per lui che il complemento, che la consacrazione della sua incompiutezza. (p. 59)

Lo Stato democratico, lo Stato reale, non ha bisogno della religione per il proprio compimento politico. (p. 61)

Secondo Bauer, per poter ricevere i diritti umani universali, l’uomo deve sacrificare il “privilegio della fede”. Ma esaminiamo per un attimo i cosiddetti diritti umani[…].

Essi ricadono sotto la categoria della libertà politica, sotto la categoria dei diritti civili che, come visto, non prevedono affatto l’abolizione coerente e positiva della religione, dunque neanche quella dell’ebraismo. […]

Tra i essi si trova la libertà di coscienza, il diritto di praticare un qualsivoglia culto. Il privilegio della fede viene espressamente riconosciuto o come diritto dell’uomo, o come conseguenza di un diritto dell’uomo, e cioè della libertà. (p. 71)

L’inconciliabilità della religione con i diritti umani è così lontana dall’idea dei diritti umani che il diritto di essere religioso, di essere religioso in qualsivoglia modo, di praticare il culto della propria particolare religione, è espressamente annoverato tra i diritti dell’uomo. Il privilegio della fede è un diritto umano universale.

I droits de l’homme, i diritti umani, sono in quanto tali distinti dai droits du citoyen, dai diritti civili. Chi è l’homme che viene distinto dal citoyen? Nient’altro che il membro della società civile. […]

Innanzitutto constatiamo il dato di fatto che i cosiddetti diritti umani, i droits de l’homme, a differenza dei droits du citoyen, non sono altri che i diritti del membro della società civile, cioè dell’uomo egoista, dell’uomo separato dall’uomo e dalla comunità. (p. 75)

La libertà è dunque il diritto di fare ed esercitare tutto ciò che non danneggia nessun altro. I limiti entro i quali ognuno si può muovere senza danneggiare un altro sono stabiliti per legge, così come i confini tra due campi sono determinati mediante un palo. […]

L’applicazione pratica del diritto dell’uomo alla libertà è il diritto dell’uomo alla proprietà privata?[…]

Quella libertà individuale, come questa sua applicazione, costituisce il fondamento della società civile. Fa che ogni uomo trovi negli altri non la realizzazione, quanto piuttosto il limite della propria libertà. (p. 77)

L’egalité, qui nel suo significato non politico, non è altro che l’uguaglianza della già discussa liberté, e cioè il fatto che, senza eccezioni, ogni uomo viene appunto considerato come una monade chiusa in se stessa.

[…]

La sicurezza è il più elevato concetto sociale della società civile, il concetto della polizia, l’idea che l’intera società esista solo per garantire ad ognuno dei suoi membri la preservazione della propria persona, dei propri diritti e delle sue proprietà. (p. 79)

Nessuno dei cosiddetti diritti umani va dunque l’uomo egoista, oltre l’uomo quale membro della società civile, e cioè individuo ritirato in se stesso, nel proprio interesse ed arbitrio privato, isolato dalla comunità. […]

L’unico legame che li tiene insieme è la necessità naturale, il bisogno e l’interesse privato, la conservation delle loro proprietà e della loro egoistica persona. (p. 81)

L’emancipazione politica è al contempo la dissoluzione della vecchia società sulla quale si basa lo Stato estraniato dal popolo, il potere del sovrano. La rivoluzione politica è la rivoluzione della società civile. Qual era il carattere della vecchia società? (p. 85)

La società feudale fu dissolta nel suo fondamento, nell’uomo. Ma nell’uomo per come egli ne era fondamento, nell’uomo egoista. Quest’uomo, membro della società civile, è ora la base, il presupposto dello Stato politico. Egli è da questo riconosciuto come tale nei diritti umani.

[…]Perciò l’uomo non fu liberato dalla religione, ma ottenne la libertà di religione. Non fu liberato dalla proprietà, ma ottenne la libertà di proprietà. Non fu liberato dall’egoismo della professione, ma ottenne la libertà di professione. (p. 89)

L’emancipazione politica è la riduzione dell’uomo al membro della società civile, all’individuo egoista ed indipendente da una parte, ed al cittadino, alla persona morale dall’altra.

Solo quando l’uomo reale ed individuabile riassumerà in sé il cittadino astratto e, quale uomo individuale nella sua vita empirica, nel suo lavoro individuale, nelle sue condizioni individuali, sarà divenuto membro della collettività, solo quando l’uomo avrà riconosciuto ed organizzato le sue forces propres come forse sociali, e dunque non separerà più da sé la forza sociale nella figura della forza politica, solo allora sarà compiuta l’emancipazione umana. (p. 91)

 

II

LA CAPACITÀ DEGLI EBREI E DEI CRISTIANI DI OGGI DI DIVENIRE LIBERI. DI BRUNO BAUER p. 93

 

Sotto questa forma Bauer tratta il rapporto tra la religione ebraica e cristiana, nonché il loro rapporto con la critica.[…]

Qui Bauer trasforma dunque la questione dell’emancipazione ebraica in una questione puramente religiosa. […]

[…]l’ebreo o il cristiano, si ripete nella forma illuminata: chi dei due è maggiormente in grado di emanciparsi? Non ci si chiede cioè più: è l’ebraismo o il cristianesimo a rendere liberi?, ma, al contrario, è la negazione dell’ebraismo o quella del cristianesimo a rendere più liberi? (p. 93)

Il rapporto tra ebrei e cristiani diviene quindi il seguente: l’unico interesse del cristiano all’emancipazione dell’ebreo è un interesse genericamente umano, teorico. […]

L’emancipazione dell’ebreo non è, in sé e di per sé, un compito del cristiano. (p. 95)

Consideriamo l’ebreo reale e mondano, non l’ebreo del sabbath, come fa Bauer, ma l’ebreo quotidiano.

Non cerchiamo il segreto dell’ebreo nella sua religione, ma piuttosto il segreto della religione nell’ebreo reale.

Qual è il fondamento mondano dell’ebraismo? Il bisogno pratico, l’utile privato.

Quale è il culto mondano dell’ebreo? Il commercio. Quale è il suo dio mondano? Il denaro.

Ecco! L’emancipazione dal commercio e dal denaro, cioè dall’ebraismo pratico e reale, sarebbe l’autoemancipazione del nostro tempo. […]

Noi riconosciamo dunque nell’ebraismo un elemento universale, attuale ed antisociale[…]. (p. 97)

L’emancipazione degli ebrei è, nel suo senso ultimo, l’emancipazione dell’umanità dall’ebraismo. […]

L’ebreo si è emancipato a suo modo non solo appropriandosi del potere economico, ma anche facendo in modo che, con lui o senza di lui, il denaro diventasse un potere mondiale e che lo spirito pratico ebraico diventasse lo spirito pratico dei popoli cristiani. Gli ebrei si sono emancipati nella misura in cui i cristiani sono divenuti ebrei. (p. 99)

[…]lo spirito pratico-ebraico, l’ebraismo, si è mantenuto nella società cristiana stessa ed in questa ha persino raggiunto il proprio massimo sviluppo. L’ebreo, presente nella società civile come membro particolare, è solo un fenomeno particolare dell’ebraismo nella società civile.

L’ebraismo non si è conservato nonostante la storia, ma tramite la storia.

La società civile produce continuamente l’ebreo dalle proprie viscere.

Quale era in sé e di per sé il fondamento della religione ebraica? Il bisogno pratico, l’egoismo.

Il monoteismo dell’ebreo è perciò in realtà il politeismo dei molteplici bisogni, un politeismo che anche della latrina fa un oggetto della legge divina. […]

Il dio del bisogno pratico e dell’utile privato è il denaro.

Il denaro è il solerte dio d’Israele, al cospetto del quale non può esistere alcun altro dio. […]

Questa essenza estranea lo domina ed egli l’adora.

Il dio degli ebrei si è secolarizzato, è divenuto dio del mondo. Lo scambio è il reale dio dell’ebreo. il suo dio è solo lo scambio illusorio. (p. 103)

La nazionalità chimerica dell’ebreo è la nazionalità del commerciante o, in generale, dell’uomo legato al denaro.

La legge senza né fondamento né fondo dell’ebreo è solo la caricatura religiosa della moralità e del diritto senza né fondamento né fondo, dei riti solitamente formali dei quali si circonda l’universo dell’utile privato. (p. 105)

Il cristianesimo è sgorgato dall’ebraismo. Esso si è di nuovo dissolto nell’ebraismo.

Il cristiano è stato da sempre l’ebreo teorizzante, l’ebreo è perciò il cristiano pratico ed il cristiano pratico è divenuto nuovamente ebreo. (p. 107)

Il cristianesimo è il pensiero sublime dell’ebraismo, l’ebraismo è l’applicazione volgare del cristianesimo, ma quest’applicazione poté divenire universale solo dopo che il cristianesimo, come religione compiuta, ebbe completato teoricamente l’autoestraneazione dell’uomo da se stesso e dalla natura.

Solo a quel punto l’ebraismo poté giungere al dominio universale e rendere l’uomo e la natura estraniati oggetti alienabili e vendibili, vittime del bisogno egoistico e del commercio. (p. 109)

Poiché l’essenza reale dell’ebreo si è realizzata universalmente, si è secolarizzata, nella società civile, quest’ultima non poté convincere l’ebreo dell’irrealtà della sua essenza religiosa, che appunto è solo la concezione ideale del bisogno pratico.

[…] Non appena alla società riuscirà di superare l’essenza empirica dell’ebraismo, il commercio e i suoi presupposti, l’ebreo diverrà impossibile, poiché la sua coscienza non avrà più alcun oggetto, poiché la base soggettiva dell’ebraismo, il bisogno pratico, sarà umanizzata, poiché sarà superato il conflitto dell’esistenza individuale e sensibile con l’esistenza collettiva dell’uomo.

L’emancipazione sociale dell’ebreo è l’emancipazione della società dall’ebraismo. (p. 111)

QUESTIONE EBRAICA ED EMANCIPAZIONE UMANA. UNA RIFLESSIONE A PARTIRE DA LA QUESTIONE EBRAICA DI KARL MARX

Di Giuseppe Scuto p. 113