JEAN GIONO – L’UOMO CHE PIANTAVA GLI ALBERI

 

JEAN GIONO – L’UOMO CHE PIANTAVA GLI ALBERI
(L’homme qui plantait des arbres)
SALANI EDITORE – Collana ISTRICI D’ORO – V RISTAMPA – MAGGIO 2011
TRADUZIONE: Luigi Spagnol
ILLUSTRAZIONI: Simona Mulazzani
PRESENTAZIONE. Un messaggio d’amore per l’albero.
di Franco Tassi p.5
L’UOMO CHE PIANTAVA GLI ALBERI p.9

 

Perché la personalità di un uomo riveli qualità veramente eccezionali, bisogna avere la fortuna di poter osservare la sua azione nel corso di lunghi anni. Se tale azione è priva di ogni egoismo, se l’idea che la dirige è di una generosità senza pari, se con assoluta certezza non ha mai ricercato alcuna ricompensa e per di più ha lasciato sul mondo tracce visibili, ci troviamo allora, senza rischio d’errore, di fronte a una personalità indimenticabile. (p.11)
1913. Un viaggiatore si incammina nelle Alpi Provenzali. Lande nude e monotone, desertiche, a milleduecento-milletrecento metri d’altitudine. Ovunque desolazione e assenza di esseri viventi. Dopo tre giorni di marcia l’uomo si ritrova senz’acqua. È una bella giornata di giugno, con il solo vento a farla da padrone, quando entra in un villaggio abbandonato il cui pozzo è però prosciugato. Obbligatorio riprendere la marcia, ma eccolo imbattersi cinque ore dopo in un pastore con il suo gregge. L’uomo gli dà da mangiare e da bere, ospitandolo per la notte (troppo distanti i più vicini villaggi). Con minuziosa cura il pastore seleziona le ghiande e, a lavoro ultimato, giunge il momento di andare a dormire. L’indomani il viaggiatore gli chiede di poter restare per un altro giorno di riposo, con il vero intento di studiare le azioni di quell’uomo imperturbabile…
Il pastore, lasciate le pecore in custodia al cane, porta con sé il sacco in cui ha raccolto le ghiande selezionate la sera prima invitando l’ospite a seguirlo. Pianta le ghiande in un terreno non suo. Dopo mezzogiorno seleziona altre ghiande. Ne ha piantate oltre centomila in tre anni e ne cresceranno circa diecimila. L’uomo ha 55 anni e si chiama Elzéard Bouffier. Ha scelto di vivere in solitudine, a misura d’uomo (S’era ritirato nella solitudine dove trovava piacere a vivere lentamente, con le pecore e il cane p.27), dopo aver perso figlio e moglie, scegliendo di far rivivere quel paese destinato alla morte per assenza d’alberi. Pianterà anche faggi e betulle… L’indomani il viaggiatore si accommiata riprendendo il cammino…
L’anno seguente scoppia la prima guerra mondiale e delle vicenda il viaggiatore ne perde memoria. Ma, nel 1919, ritornando in quei luoghi per ritrovare pace e serenità, vi ritrova Elzéard vivo e vegeto, ora apicoltore e con sole cinque pecore. In silenzio l’uomo lo porta in visita alla sua foresta in crescita con querce, faggi e betulle. Ad essi si sono unite altre piante (salici, giunchi, fiori) i cui semi sono stati trasportati dal vento e alimentate dai rinati ruscelli…
Dal 1920 il viaggiatore si recherà a trovarlo una volta l’anno…
Dal 1933 il governo si interessa a questa “foresta naturale”, mentre Elzéard continua imperterrito la sua disinteressata opera piantando faggi sempre più lontano dal punto originario. L’ultimo incontro tra i due avviene nel 1945, in un paesaggio completamente mutato rispetto a quello arido del 1913. Il vecchio morirà due anni dopo…
Quando penso che un uomo solo, ridotto alle proprie semplici risorse fisiche morali, è bastato a far uscire dal deserto quel paese di Canaan, trovo che, malgrado tutto, la condizione umana sia ammirevole. Ma, se metto in conto quanto c’è voluto di costanza nella grandezza d’animo e d’accanimento nella generosità per ottenere questo risultato, l’anima mi si riempie d’un enorme rispetto per quel vecchio contadino senza cultura che ha saputo portare a buon fine un’opera di Dio.
Elzéard Bouffier è morto serenamente nel 1947, all’ospizio di Banon. (p.41)
NOTA SULL’AUTORE
Di Leopoldo Carra p.43