FRANCO BATTIATO – IL SILENZIO E L’ASCOLTO Conversazioni con Panikkar, Jodorowsky, Mandel e Rocchi

FRANCO BATTIATO – IL SILENZIO E L’ASCOLTO Conversazioni con Panikkar, Jodorowsky, Mandel e Rocchi

FRANCO BATTIATO – IL SILENZIO E L’ASCOLTO Conversazioni con Panikkar, Jodorowsky, Mandel e Rocchi

CASTELVECCHI – Collana “Etcetera” – I edizione. Luglio 2014

In questo libriccino Giuseppe Pollicelli propone al pubblico parti di interviste andate in onda nel 2004 all’interno del programma di Franco Battiato Bitte, Keine Réclame (RaiDoc, 2003). I quattro “ospiti” di Battiato sono: Panikkar, Jodorowsky, Mandel e Rocchi. Gli argomenti trattati quelli tipici dell’attività di ricerca di Battiato: l’essere vivente e il rapporto con il divino; il libero arbitrio; la meditazione…

FRANCO BATTIATO – IL SILENZIO E L’ASCOLTO Conversazioni con Panikkar, Jodorowsky, Mandel e Rocchi

A cura di Giuseppe Pollicelli

RAIMON PANIKKAR p.5

PANIKKAR:

«L’uomo? E qualcosa di più di un animale razionale. A parte il fatto che questa locuzione, “animale razionale”, è una traduzione errata di una definizione geniale formulata da Aristotele, il quale ha scritto che l’uomo è “quell’essere vivente in cui il logos transita, passa attraverso”. L’uomo è come “preso” da questo logos, che è divino. Nella vita quotidiana di noi uomini manca molto la profondità, siamo talmente distratti dai mille gadget della tecnologia… Ebbene, se c’è un compito che spetta alle religioni è quello di andare in profondità! (p.7)

L’amore, del resto, non è intelligibile».

BATTIATO: «La fisica non lo può studiare, questo è certo».

PANIKKAR:

«Il mondo contemporaneo è segnato da questo grande divorzio tra conoscenza e amore. L’amore senza conoscenza può durare per due mesi, poi arriva la separazione. La conoscenza senza amore è calcolo, non è vera conoscenza, manca il rapporto ili intimità e di prossimità con la cosa conosciuta. (p.9)

In sé, il passato in quanto passato non esiste. E lo stesso vale per il futuro: neppure il futuro, in quanto futuro, esiste. La nostra “tragedia” è essere sempre di passaggio e non fermarci nel presente, non godere il presente. Io, a questo proposito, ho anche inventato una “parolaccia”: tempiternità. Pensare che l’eternità venga dopo il tempo è, filosoficamente parlando, un’aberrazione. Se è eternità, è eternità: cioè non è temporale. L’eternità non viene dopo il tempo. (p.10)

Ciò che devo fare è approfittare di questo singolo, preciso momento, che è unico. Sono chiamato ad avere consapevolezza dell’unicità.[…]

Dobbiamo scoprire la nostra unicità, avere contezza del fatto che ciò che dobbiamo fare noi non sarà mai fatto da nessun altro: dunque se non lo facciamo si produrrà una sorta di buco nella realtà, per sempre. Ognuno di noi è unico, non siamo numeri. (p.11)

Ma la verità è che ciascuno di noi è unico».

BATTIATO: «Parliamo del silenzio».

PANIKKAR: «Il silenzio ha direttamente a che fare con l’ascolto. Il silenzio non si può creare se non si sa ascoltare.[…]

Ascoltando trasformi quello che ascolti, perché vi è sempre un rapporto biunivoco. La prima cosa da fare per entrare nel silenzio è saper ascoltare. E, come in un circolo virtuoso, per saper ascoltare bisogna stare in silenzio. Se io convivo con una sorta di dialogo interiore che si muove ininterrottamente dentro di me…».

BATTIATO: «O con i continui pensieri…».

PANIKKAR: «Certo, è la stessa cosa… Bene, in questi casi posso solo ascoltare quel che ho dentro di me, senza potermi dedicare a ciò che sta al di fuori. […]

No, io sono il mio corpo. Pertanto, per poter entrare nel silenzio, devo saper stare zitto non solo con le parole ma anche con il corpo. Senza una certa immobilità del corpo non si può conseguire l’immobilità dello spirito. Uno dei grandi dogmi occidentali è quello della volontà: se fai una cosa, questa deve avere un fine. In sanscrito, invece, una parola che esprima il concetto di volontà neppure esiste. Ci manca una dimensione femminile, da intendersi come disponibilità all’accoglienza, come fiducia nello spirito. È un guaio questo voler sempre prendere l’iniziativa». (pp.12-13)

L’incommensurabilità, che sarebbe poi l’incomprensibilità, non significa che le cose non possano stare insieme armonicamente. Il punto cruciale è non vedere nell’altro il nemico, non vedere nell’altro una minaccia bensì una parte che io posso non comprendere – poiché è incommensurabile – ma che contribuisce all’armonia della realtà. In questo consiste la vera saggezza».

BATTIATO: «Che idea ha del male?».

PANIKKAR: «L’esistenza del male va accettata. Io non pretendo di capirlo, il male. Ne accetto l’esistenza, poiché è una cosa reale e svolge anche una straordinaria funzione rivelatrice. Per comprendere il male potrei andare da uno psicanalista, ma non lo capirei davvero neppure così. Cosa sia precisamente il male non posso spiegarlo, eppure esso è reale. E ci impartisce una grande lezione di realismo, di umiltà. Ci fa capire che non è possibile spiegare tutto. Quel che posso dire del male è che non mi piace». (pp.15-16)

BATTIATO: «Ogni luogo esercita un’influenza diversa: alcuni sono sacri, altri no…». […]

Un luogo esercita davvero un’influenza, perché noi siamo anche esseri spaziali e lo spazio non è omogeneo. Lo spazio non è distanza tra i corpi, questa è un’autentica aberrazione! La distanza tra i corpi permette di avere una misura dello spazio ma lo spazio non è distanza.[…]

Lo spazio è un’altra cosa: io porto con me il mio spazio e vivo in uno spazio, e questo ha un’influenza diretta, sottile e direi anche femminile su di me. Su di noi. Ci sono spazi adeguati e altri che non lo sono. Un genio architettonico sa configurare lo spazio. […]

La sacralità è una categoria della vita umana e chi non è aperto a questo messaggio perde il gusto di vivere, non può essere felice». (pp.16-17)

ALEJANDRO JODOROWSKY p.19

JODOROWSKY: «All’epoca del film La montagna sacra ero alla ricerca dei simboli. Ho fatto quel tipo di cinema per venti o trent’anni: allora mi stavo cercando e non mi ero ancora trovato e, per me, il cinema era prima di tutto un modo per incontrare me stesso. […] Sì, ciò a cui miravo era allargare le coscienze… (p.21)

Dove ci porta questo processo? Ci porta all’aura, e così giungiamo al quarto cervello, che è il cervello immateriale, grazie al quale iniziamo a pensare al di fuori di noi stessi. Il nostro pensiero è già aura e comunichiamo con gli altri. (p.22)

JODOROWSKY: «Se per te Dio non sta in ogni luogo ma è lontano, proviamo a chiamarlo in un altro modo: energia vitale. Non possiamo affermare che l’energia vitale sia “distante”, perché altrimenti saremmo morti. Dov’è ciò che ci sostiene? Ciò che ci sostiene è qui, ora. Se utilizzi quest’energia vitale – che gli sciamani dei popoli antichi chiamavano “popolo astrale” – per costruire, allora è Dio. Se la utilizzi per distruggere è il diavolo. Ma è la medesima energia, dipende

da come la adoperi. E il libero arbitrio. Dio o il diavolo sono un’energia a nostra disposizione. Se la usiamo male, certo, è una catastrofe, finiamo in disgrazia. Se la usiamo bene, Dio è qui. […]

E se siamo ciò che siamo, siamo un’entità divina, siamo fatti della stessa sostanza del divino. (p.24)

BATTIATO: «Cos’è per te l’alchimia?».

JODÒROWSKY: «Considero l’alchimia una delle più rilevanti forme di misticismo che siano mai esistite, perché è spiritualizzazione della materia ma anche materializzazione dello spirito. L’alchimia è una strada a doppio senso, è la ricerca dell’androgino, l’unione del principio maschile con quello femminile, lo yin e lo yang del Tao. Ma come possiamo unire l’uomo e la donna se non conosciamo la donna, se la vediamo solo attraverso il fallo, attraverso la mentalità maschile?[…] (p.24)

Si tratta quindi di due modalità – anche di pensiero – totalmente diverse. Io vorrei rinascere con una vagina! Questa cosa così incredibile, meravigliosa, ricettiva, umida… Così misteriosa, così ricca, così artistica… Viva la vagina!». (p.25)

Per poter arrivare all’uomo spirituale dobbiamo conoscere ambedue i lati: la notte e il giorno, il sole e la luna, il papa e la papessa dei tarocchi…». (p.25)

GABRIELE MANDEL p.27

MANDEL: «Quella religiosa è un’attività irrazionale se non la si rende viva in noi stessi, pertanto occorre esperirla in modo pratico, come ogni altra componente di questa vita. L’anima è una goccia di quell’infinito oceano che è Dio: finché resta nell’oceano, non diventa identità. Quindi è assolutamente giusto e corretto vivere la spiritualità e il misticismo in modo pratico. (pp.29-30)

In questa nostra esaltazione mistica è presente un risvolto fisico, poiché iperventiliamo i ventricoli cerebrali e quindi – possiamo dire – ci “gasiamo” : iperossigenati come siamo, raggiungiamo davvero degli stati estatici e così acquisiamo consapevolezza di dimensioni altre rispetto alla nostra abituale condizione umana. Per noi l’arte è molto importante e consideriamo la musica – in quanto è la più rarefatta – l ’espressione artistica più vicina al misticismo e al divino. Oggi tutti desiderano la pace, tutti aspirano alla pace, ma in realtà il mondo ha sempre “sentito” la pace e ogni religione predica la pace. Tuttavia una cosa è predicare e un’altra è essere: ebbene, l’arte è pace, tant’è vero che il più grande nemico di ogni opera d’arte è la guerra, che le opere d ’arte le distrugge. Ecco perché noi sufi siamo cultori dell’arte. C ’è poi un altro grande dono che ci ha dato Dio, il libero arbitrio».

BATTIATO: «Certo».

MANDEL: «Ora, se i testi sacri fossero così rigidi e formali da non essere più oggetto di interpretazione personale, dove finirebbe il libero arbitrio? Ma tutti i testi sacri sono concordi nel dire una cosa: “Comportatevi bene”. Nel Corano c’è scritto che nel giorno del Giudizio ogni comunità religiosa sarà riunita dietro i suoi libri sacri e che ciascuno verrà giudicato per le sue azioni». (p.31)

La molecola divina che è in noi è la nostra anima, il resto è solo materia: la seconda parte della nostra composizione è la psiche, che è materia; la terza è il corpo, che è materia; la quarta, globale, è l’ambiente, che pure è materia. Come può questa goccia ritornare a Dio se è inquinata? Se le azioni che compiamo sulla Terra “inquinano”, appare corretto che quanto di malvagio è stato commesso si “purifichi” in un’esistenza successiva, per consentire finalmente di ritornare in Dio. (p.33)

CLAUDIO ROCCHI p.35

Perché noi siamo molti…».

BATTIATO: «Siamo tanti…».

ROCCHI: «Sì, siamo davvero tanti! Ognuno di questi “noi” ha i suoi modi percettivi, perché ognuno di essi è prodotto da diverse aree della nostra coscienza, o meglio da diverse attivazioni di queste aree. Per intenderci, io a volte non riesco a trattenere un moto di insofferenza e altre volte l’idea di essere insofferente è lontanissima da me, ma sono sempre io. Nella mia vita sono persino arrivato a tirar calci a una sedia…».

BATTIATO: «Non ci credo».

ROCCHI: «Lo giuro, è la verità. E una cosa che ho fatto e che talora mi appare ridicola, come in effetti è. Questi molti che noi siamo, pur essendo uno, significano velocità, frammentazione, stasi. Estasi…». (pp.38-39)

ROCCHI: «Non ne veniamo fuori se non usciamo da una logica dualistica, questo è il punto. C ’è la velocità e c’è la non velocità, ma velocità e non velocità acquistano un senso solo se riusciamo a guardarle da fuori, concependole come gli estremi di un campo dinamico…». (p.40)

BATTIATO: «Come ti poni rispetto al dilemma tra sesso e castità?».

ROCCHI: «Lo dico con umiltà ma sinceramente: in questo campo ho voluto sperimentare e per tre lustri ho vissuto in castità…».

BATTIATO: «Complimenti!».

ROCCHI: «Sì, per quindici anni. Tra le tante opzioni e tecniche possibili, in quel periodo ho deciso di sperimentare quella del bhakti yoga. Bhakti in sanscrito significa devozione, e lo yoga che prende il nome da questo vocabolo ha alla base l’idea di non agire in modo interessato per non creare continui ritorni karmici. L’azione interessata crea legami, perché la si compie quando si vuole qualcosa per sé. Tutto ha un prezzo, niente è gratis… (pp.41-42)

Insomma, per fare spazio dentro di me ho sperimentato per quindici anni. All’inizio con una certa difficoltà, perché mi sento biologicamente normale… […]

Quando la mente non ci travolge più, e ne possiamo osservare i veloci flussi come guardando un videoclip, senza essere obbligati a entrare dentro le suggestioni, non siamo più controllati dalla mente ma iniziamo ad acquisire noi un certo controllo della mente». (p.43)

Quindici anni ci castità ma non solo: anche rinuncia all’uso di sostanze intossicanti o considerate tali, dalle più blande, come tè e caffè, fino all’alcol, al tabacco… Tutte. E sai cos’è successo il giorno dopo questi quindici anni di pulizia? Quando mi sono fatto la prima birra…».

BATTIATO: «L’avrai trovata meravigliosa…».

ROCCHI: «Guarda, totalmente psichedelica! Cosa voglio dire con questo? (p.44)

C ’è una sessualità sacra che può essere rivelatrice e che di fatto è mistica, per cui nella mia esperienza personale l’eterno dilemma tra sesso e castità si risolve cosi: vi è un uso proprio della sessualità e uno improprio…».

BATTIATO: «In che rapporto se i con le religioni?».

ROCCHI: «A mio modo di vedere, non esiste tradimento più vergognoso di quello operato dalle religioni, le quali teoricamente, e negli intenti delle personalità che le hanno create, avrebbero potuto, dovuto e voluto essere strumenti di evoluzione spirituale, di allargamento dell’area della consapevolezza e invece, tutte quante, possono stilare una lunga lista delle loro vergogne. Hanno tradito nella misura dell’improprio guazzabuglio che hanno realizzato. Nulla più delle religioni istituzionali è nemico della spiritualità, che è gratuita e soprattutto deve essere vissuta in modo semplice. (p.45)

La paura è da gettare nel cestino, riduce le nostre possibilità. (p.46)

L’illusione è che lo spazio ci collochi e che il tempo ci limiti. Ci sono momenti di consapevolezza che, per qualche benedetta circostanza, ci aiutano a uscire dall’idea dello spazio e del tempo, che finalmente possiamo concepire uniti, indivisi, fisicamente e strutturalmente… Uno! Quando si ha paura è perché si teme una separazione da qualcosa, dal concetto di identità. Io non esisterò più, ho paura di non esistere… Ma io cosa? Già “io” è una divisione, tanto per cominciare. Non esistere per andare dove? In quale spazio e in quale tempo? Non c’è un luogo fuori dal tutto. Se la coscienza è larga abbastanza, si è qui e adesso, punto e basta». (p.47)

NIENTE PUBBLICITÀ, MOLTO PENSIERO

Di Giuseppe Pollicelli p.49