Céline e quelle lettere maledette di Angelo Spaziano

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Andrea Lombardi ci segnala la recensione sul sito di Rinascita (Quotidiano di sinistra nazionale), a firma di Angelo Spaziani, del libro Célòine ci scrive, presentato a Roma il 23 ottobre 2011.

fonte: Rinascita

fonte:L.F.-Céline blogspot

Per i tipi del Settimo Sigillo è da poco in libreria il saggio “Céline
ci scrive – Le lettere di Louis-Ferdinand Céline alla stampa
collaborazionista francese, 1940-44”, a cura di Andrea Lombardi, con
prefazione di Stenio Solinas.L’opera sarà presentata oggi, alle 18 e 30 a Roma, nello spazio
culturale “Foro 753”, in via Beverino 49, a Roma. Già la veste
tipografica del testo è, di per se, una chicca. Non meno importante è il
fatto che in questo volume vengono tradotte per la prima volta in
italiano le lettere “maledette” di Louis-Ferdinand Destouches, alias
Celine. Missive che il celebre letterato francese inviò ai vari organi
di stampa della Repubblica di Vichy nel periodo della II guerra mondiale
compreso tra l’arrivo dei tedeschi a Parigi e la vigilia che precedette
la caduta del Terzo Reich. Nella prefazione Stenio Solinas tratteggia
l’intera vicenda biografica dell’autore transalpino con una prosa che sa
di poesia. Al tempo stesso il noto giornalista dà al lettore a secco di
notizie tutte le informazioni utili sul carattere, gli ideali e i
sentimenti dell’uomo di Courbevoie.

Caratteristiche che fanno dello scrittore d’oltralpe un soggetto
stilisticamente non omologabile, né tantomeno “inquadrabile” in alcuna
corrente letteraria di definizione accademica. Céline è Céline, insomma,
un cane sciolto, uno spirito libero, un’anima inquieta e tormentata,
individualista, anarchico, nichilista, razzista, rivoluzionario,
antiborghese, antibolscevico e ferocemente ostile pure ai “terroni” di
casa. Fino al punto da augurarsi la secessione della parte nord
dell’Hexagone da quella sud, “meticcia”, “papista” e “massonica”. Il
saggio introduttivo ci offre, inoltre, un rapido excursus sulle opere
dello scrittore e ci fa comprendere perché è necessario leggerlo. Il
fatto è che il burbero uomo di cultura è stato il primo, se non l’unico,
che già agli albori del XXI secolo aveva individuato nella penosa
decadenza politica, culturale e morale francese innanzitutto e
dell’Europa in secondo luogo le tare dello spirito che attualmente
avvelenano la nostra società e l’occidente tutto. Nell’introduzione che
segue la prefazione, Andrea Lombardi scrive infatti che, proprio come
vaticinava Céline: “I sistemi democratici, le istituzioni democratiche,
sono diventati dei circhi equestri, delle palestre di buffoneria a buon
mercato”.

E questo convincimento è presente ove più ove meno un po’ in tutte le
opere dell’autore di “Viaggio al termine della notte”. Già il continuo
affiancare il linguaggio popolaresco a quello erudito, unito al
frequente uso di iperboli ed ellissi, impone Louis-Ferdinand come un
innovatore nel panorama culturale transalpino e non solo. Tuttavia egli
risulta a tratti insopportabile, offensivo, spudorato, oltraggioso,
irriverente. Troppo diretto, troppo poco diplomatico, troppo privo
d’orpelli intellettuali per piacere ai sensibili palati del pensiero
omologato. Le sue lettere hanno la sagacia ed il mordente d’un Seneca e,
soprattutto, sono “docce gelate” potenzialmente letali per le tiepide,
tremule “animucce” del culturame politicamente corretto di stampo
gallico. Per Céline null’altro che una manica d’ignavi e soppiattoni.
Gente senza onore che, presagendo la fine del lungo conflitto che
travagliava la Francia, dopo aver inneggiato all’occupante tedesco, già
si preparava a fare il “salto della quaglia” in soccorso del vincitore
angloamericano. Nell’epistola al “Je suis partout” del 15 giugno 1942,
ad esempio, il castigamatti prende spunto dalla censura che ancora mette
all’indice il suo romanzo “Beaux draps” per descrivere la nazione
d’Oltralpe come un “continuum” spaziotemporale di vigliaccheria cronica e
piaggeria inveterata. Una realtà affetta da una mortificante vocazione
al conformismo che attraversa lo spirito della nazione celtica da un
governo all’altro, da uno pseudoidealismo all’altro, svendendola per un
piatto di lenticchie alla lobby che in quel momento risulta la più
potente o la più di moda. Così come, in un’altra lettera inviata alla
redazione del collaborazionista ”Je suis partout” del 9 luglio 1943,
l’autore sembra tracciare con decenni d’anticipo sui tempi il deprimente
identikit della nostra “trista, omologata, opulenta, borghese società”.

Proprio alla luce di tutto questo anticonformismo rancoroso e
inconciliabile con il buon senso un tanto al chilo e con la politica
accomodante e accattona dei guitti della partitocrazia, Céline viene
ancora ostracizzato e bandito dai salotti letterari e dalle aule
accademiche di Marianna. Non per niente Lombardi, riallacciandosi alla
presentazione di Solinas, stigmatizza come a tutt’oggi non si riesca a
trovare un solo critico sufficientemente onesto che sappia parlare dello
spiritaccio di Clichy senza etichettarlo come “anti” o come “pro”.
Nessuno, insomma, che valuti a pieno le capacità letterarie e
stilistiche di un autore che, per quanto “maledetto” e scomodo, ha
saputo spaziare da maestro nell’universo letterario novecentesco
francese ed europeo, veleggiando di bolina dai pamphlet più ironici ai
romanzi più puramente intimistici. Infatti, malgrado il suo innato senso
della protesta, il caratteraccio impossibile e l’inguaribile
misantropia, lo scontroso medico dei poveri riesce a ritrarre la realtà
umana delle desolate periferie parigine con parole che sembrano
stilettate al curaro, certo, ma anche con accenti dolci e delicati,
quasi poeticamente nostalgici. La lettura di questo carteggio così
“doloroso”, così sconsolato e inconsolabile, è agevolata anche dalla
valida traduzione di Valeria Ferretti, fedele al testo originale e,
insieme, elegante nella forma italiana. Interessanti i dagherrotipi
dell’epoca che fungono da piacevole intervallo tra lettera e lettera.
Spunti su cui meditare provengono anche dai tre articoli
conclusivo-riassuntivi che completano il volume: “Il dialogo
franco-tedesco: il caso L.F. Céline”, di Joseph Jurt; “L’altra parte
della barricata”, di Andrea Lombardi; “Céline non ci ama” di Karl
Epting. Intervistato da Claude Sarrante di “Le Monde” Céline avrà un
giorno a dire: “Solamente a noi è stata data la parola. Questo fa l’uomo
politico, lo scrittore, il profeta. La parola è orribile… ma arrivare a
tradurre quell’emozione è così difficile che lei neppure se lo
immagina, è sovrumano, è un’abilità che uccide”. E lui infatti risultò
essere la prima vittima di se stesso e del suo dannato talento, indomito
e senza compromessi.